Donna

Il ruolo delta donna all’interno della società è divenuto oggetto di indagine storiografica solo negli ultimi decenni. In diverse epoche storiche si sono espresse straordinarie figure di donne regnanti, sante o protagoniste della vita artistica e sociale, ma, almeno fino all’avvento dell’età illuministica, il naturale imporsi delle qualità possedute dalle grandi donne non è mai stato considerato in contrapposizione alla gerarchia tradizionale dei ruoli che nella maggior parte delle civiltà vede la donna in posizione subalterna rispetto all’uomo.

La donna dall’antichità al Medioevo
Nella civiltà sumerica e babilonese la donna godeva di una certa indipendenza giuridica, a differenza che in Egitto, dove pure poteva governare come regina. Presso gli Ebrei la sua posizione era strettamente subordinata a quella dell’uomo, anche se non mancano nella Bibbia esempi di donne celebrate e rispettate anche nel loro ruolo pubblico. A ogni modo, la tendenza dominante nelle civiltà antiche era quella di escludere la donna dalla vita politica: così avvenne in Cina, in India, in Grecia, a Roma, nel mondo barbarico e in quello arabo dopo l’avvento dell’Islam. All’interno della famiglia il ruolo di guida era affidato all’uomo, in particolare a Roma dove il paterfamilias era l’unico soggetto di diritto. Nel Cristianesimo il modello femminile per eccellenza è quello di Maria; grandi figure di donne in tutto il corso del Medioevo contribuirono a mantenere vivo questo spirito mariano: tra le altre si ricordano santa Caterina da Siena e santa Chiara, oltre a donne di elevata preparazione culturale, come Rosvita di Gandersheim, Eloisa (l’amante di Abelardo), Ildegarda di Bingen. Anche nella Chiesa, il ruolo centrale rivestito dall’Incarnazione e dall’Eucaristia, e di conseguenza dal sacerdozio maschile, implica per la donna uno statuto giuridico e gerarchico inferiore a quello dell’uomo.

Dall’età moderna al 1800
Il Rinascimento e l’epoca moderna non apportarono sostanziali cambiamenti nella condizione della donna. Non vennero neppure meno sospetti di varia natura – che già avevano alimentato la “caccia alle streghe” fin dal Medioevo – nei confronti di pratiche che sfuggivano al controllo maschile (in particolare legate all’ambito della sessualità e del parto). A cominciare dai secc. XIV-XV le donne accusate di stregoneria iniziarono a essere processate e condannate al rogo nel quadro di vere e proprie persecuzioni, particolarmente violente in Germania, Spagna e Inghilterra, a opera tanto dei cattolici quanto dei protestanti. Le prime rivendicazioni di parità tra i due sessi si manifestarono solo sul finire del ’700, radicate nella “cultura dei diritti” illuminista e nei mutamenti strutturali apportati al ruolo della donna dal modello familiare borghese. Primi timidi tentativi di parificazione tra uomo e donna si ebbero con la Rivoluzione Francese (Costituzione del 1791, legge sul divorzio del 1792) e con l’ampia diffusione, nei circoli femminili, della “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina” scritta da Olympia de Gourges (1790). Si narra infatti che Madame de Staël (1766-1817) difese davanti al giovane Napoleone Bonaparte il diritto delle donne a parlare di politica affermando che: “...in un Paese in cui si taglia loro la testa è naturale che esse abbiano almeno il desiderio di sapere perché”. Il processo di emancipazione della donna fu bloccato sul nascere proprio dalla codificazione napoleonica che riaffermò il predominio giuridico maschile.

I cambiamenti del 1800
La tradizionale disparità tra uomo e donna fu messa in discussione durante tutto il 1800, cominciando dagli USA, dall’Inghilterra e dalla Germania. Le richieste fondamentali riguardavano l’acquisizione del diritto di voto e la parità giuridica. Il primo movimento femminile che si pose come obiettivo il suffragio elettorale alle donne fu quello delle suffragette, fondato da John Stuart Mill nel 1865. Sul finire del 1800 movimenti e congressi femminili tornarono ad ampliare i confini del dibattito oltre il problema elettorale, grazie all’impulso dato dai movimenti socialisti, entro i quali ebbero un ruolo significativo molte donne (A. Kuliscioff nel suo Il monopolio dell’uomo del 1890 pose il problema dell’inferiorità giuridica e sociale della donna). Entro una cornice più tradizionale si svilupparono le organizzazioni femminili cattoliche: in Italia la Lega promotrice degli interessi femminili fu fondata da A.M. Mozzoni nel 1881. Ciò che più conta è però che i mutamenti socioeconomici del XIX sec. mettevano ormai in discussione il ruolo tradizionale della donna, che in una società contadina era, per quanto subordinato, legato al lavoro, non solo intrafamiliare. Nella società borghese, con la netta distinzione tra casa e lavoro, tra affetti e produzione, la donna veniva posta nello specifico ruolo di “casalinga”, idealizzando il suo compito di “custode del focolare” e di organizzatrice della vita familiare. Iniziava a diffondersi una specifica stampa femminile, di impostazione sia pratico-pedagogica sia puramente di evasione e di moda. L’intero processo di industrializzazione coinvolse però pesantemente le donne e i minori delle famiglie operaie, posti nelle fabbriche in condizioni lavorative pesantissime, tardivamente tutelati da una legislazione sociale.

La donna nel XX secolo
Grazie anche all’azione dei movimenti femminili (clamorose furono le manifestazioni pubbliche in Inghilterra organizzate da E. Pankhurst e dalla sua organizzazione, l’“Unione sociale e politica delle donne”), nei primi decenni del ’900 scomparvero gradualmente in Occidente le più grandi forme di disparità giuridico-politica tra uomo e donna, con l’introduzione nella legislazione di molti Paesi del diritto di voto e della piena autonomia in campo economico. Nel XX sec. il diritto di voto alle donne (già concesso tra il 1893 e il 1908 in Nuova Zelanda, Australia, Finlandia e Norvegia, nonché nei diversi Stati degli USA tra il 1869 e il 1920) fu riconosciuto anche in Austria e Germania (1918), Gran Bretagna (1928), Francia (1945), Italia (1946). La presenza di diverse donne all’interno del gruppo dirigente bolscevico (I. Armand, A. Kollontaj, C. Zetkin) favorì in Russia, dopo la Rivoluzione del 1917, l’approvazione di leggi emancipatrici della donna. Il suffragio alle donne non significò, tuttavia, una parità totale, data la permanenza in vari ambiti di norme differenziate e discriminanti, che costituirono la premessa di nuove rivendicazioni sul piano giuridico, professionale. salariale e assistenziale. Dal 1910, tali rivendicazioni vengono emblematicamente richiamate ogni 8 marzo nella Giornata mondiale della donna, istituita dal Consiglio Mondiale dei Movimenti Femminili. Non vanno peraltro sottovalutate le conquiste ottenute dalle donne in campo previdenziale, con particolare riferimento alla maternità. Rispetto all’ideale tracciato dalla cultura familiare-borghese del 1800, le donne occidentali hanno sviluppato modelli di vita sempre più autonomi, recuperando il senso (e in molti casi la necessità) di un lavoro extrafamiliare, ponendo in discussione con il femminismo i ruoli fissi della famiglia e della società legati alla differenza sessuale e rivendicando “pari opportunità” di lavoro (sia come possibilità di accesso a determinate carriere sia come trattamento giuridico-economico). Significativa dal punto di vista della storia dell’emancipazione femminile fu anche la Prima Guerra Mondiale, quando le donne furono chiamale a svolgere ruoli tradizionalmente “maschili” a causa dell’ingente chiamata degli uomini al fronte. Nel secondo dopoguerra, in Italia i temi complessi dell’assistenza e della tutela delle donne furono messi in risalto dall’Unione Donne Italiane, legata ai partiti di sinistra, mentre in campo cattolico operava il Centro Italiano Femminile. A partire dagli anni Sessanta si affermarono negli USA (Women’s Lib) e in Europa (MLD, Movimento di liberazione delle donne) correnti di pensiero animatrici del femminismo (emblematico il contributo della statunitense B. Friedman con la sua Mistica della femminilità, 1963): la questione femminile cessava di essere posta solo in termini giuridici per investire in generale i problemi connessi alla relazione uomo-donna, dalla sfera della sessualità sino alla valorizzazione della specifica identità femminile. Più recentemente, alcune tendenze estremiste del femminismo si sono spinte fino al punto di rivendicare per le donne la funzione sacerdotale all’interno delle confessioni cristiane, riuscendo a ottenerla nell’ambito della Chiesa anglicana e di alcune Chiese protestanti. Si tratta in effetti di eccessi, dal momento che l’esclusività maschile del sacerdozio non può in alcun modo divenire pretesto per rivendicazioni di questo genere fondandosi su ragioni simboliche e dottrinali di una portata incommensurabile. Per finire, nei Paesi del mondo non occidentale il processo di emancipazione della donna è stato frenato sia dalle differenti condizioni socioeconomiche sia dalla differente indole degli uomini e delle donne orientali, ancora attaccati alle proprie tradizioni e perlopiù indifferenti al bisogno di rivendicazione proprio all’Occidente.