L'età del jazz
- Introduzione
- Da New Orleans a Chicago
- Louis Armstrong, il primo "classico" del jazz
- New York, New York
- 52esima Strada
- Duke Ellington
- Coleman Hawkins
- Lionel Hampton
- Art Tatum, funambolo dell'improvvisazione
- Benny Carter
- Django Reinhardt: lo tzigano nel jazz
- Il canto e il dolore di vivere: Billie Holiday
- La gioia del canto: Ella Fitzgerald
- Riepilogando
In sintesi
Redazione De Agostini
Chicago | Dopo New Orleans, la nuova capitale del jazz fu Chicago. Nel 1915 vi giunse J.R. Morton e poco dopo altri pionieri del jazz, che avevano lasciato New Orleans in cerca di lavoro. Il jazz, nato in una pigra e calda città meridionale, si ritrovava sbalzato in una metropoli industriale del Nord. Tra i bianchi, molti figli della borghesia scoprirono con entusiasmo il jazz (nonostante le barriere razziali) e ne crearono una variante aspra, nervosa, che suonavano nei night. Nel ghetto, invece, il jazz nero da un lato conservò un carattere semplice, contadino, di festa privata fra immigrati; dall'altro si rinnovò, assorbendo la spettacolarità scintillante dei "ruggenti" anni Venti (L. Armstrong). |
New York | Harlem, il quartiere di New York affollato di emigranti giunti dal Sud e dai Caraibi in cerca di lavoro, si animò già negli anni Dieci e Venti di un'intensa vita notturna. Dal 1915 le sue feste private ospitarono sfide tra pianisti virtuosi (per esempio, E. Blake, L. Roberts, J.P. Johnson), nelle quali il ragtime scritto si trasformò in jazz improvvisato (stride piano). A partire dal 1920 circa, sorsero e pullularono via via celeberrimi locali e club: si ebbe così una fioritura di pianisti (Fats Waller, Willie the Lion Smith) e orchestre jazz (D. Ellington, C. Calloway), di ballerini (Bojangles, J. Baker) e balli (charleston) che conquistarono il mondo. |
Duke Ellington | Ellington divenne famoso con il suo gruppo, una piccola orchestra, al Cotton Club (1926-31), il celebre locale di Harlem dalla clientela esclusivamente bianca. Gli anni al Cotton Club furono decisivi per la creazione del linguaggio ellingtoniano, che si arricchì di un'ampia varietà di arrangiamenti musicali. L'abitudine dei suoi musicisti di suggerire cambiamenti, interludi e variazioni portò Ellington a scivere per un membro specifico dell'orchestra o per una determinata sezione. Durante il periodo swing Ellington toccò uno dei vertici della sua produzione. Nel 1943 coronò il sogno di comporre una vasta suite ed eseguirla alla Carnegie Hall, il Black Brown and Beige, poema epico sulla lunga marcia dei neri in America. Agli inizi degli anni Cinquanta, però, iniziò per l'orchestra un periodo difficile; dal 1956 l'orchestra ritrovò splendore e ricominciò un periodo di grande creatività della produzione ellingtoniana. |
Altri classici | Per ricordare i principali protagonisti di quest'epoca, chiamata poi "età del jazz", occorre menzionare perlomeno: |
Henderson | F. Henderson per primo comprese l'importanza dell'orchestrazione e degli arrangiamenti (dovuti a D. Redman prima e a B. Carter poi) e in quanto la sua fu la prima vera orchestra jazz per impulso di L. Armstrong. |
Armstrong | Armstrong, la cui cornetta e le cui esecuzioni, apparentemente semplici, ma cariche di intuizioni e soluzioni innovative, aprirono la via al jazz solistico. |
Hampton | La personalità positiva e spettacolare di L. Hampton, che per primo diede al vibrafono una fisionomia espressiva. |
Reinhardt | Lo stile originale, caratterizzato da sottili reminiscenze tzigane, la musica, riflessiva e impulsiva secondo le circostanze, di D. Reinhardt. |
Hawkins | Il lirismo del sassofono di C. Hawkins, basato su un approccio fondamentalmente "vocale" e su una profonda elaborazione armonica. |
Tatum | Art Tatum e la sua straordinaria padronanza tecnica della tastiera. |
Ella Fitzgerald | Il canto gioioso di Ella Fitzgerald, basato anzitutto sulla purezza dell'espressione, sulla valorizzazione del ritmo, sulla flessibilità timbrica. |
Billie Holiday | La voce dolentemente tremula e il canto sensitivo di Billie Holiday. |