Sallustio
La vita
Gaio Sallustio Crispo (Amiternum, Sabina 86-Roma 35 a.C.) era di famiglia agiata, probabilmente di origine plebea. Il fatto di non appartenere alla classe dirigente influenzò senz'altro i suoi giudizi storici. Si sa poco della sua formazione culturale: dai suoi scritti si rileva che tra gli autori latini conoscesse bene Catone e, tra i greci, senz'altro Tucidide.
La carriera politica
Per completare la sua educazione si recò a Roma, dove intraprese la carriera politica da homo novus. Sostenitore delle esigenze dei "provinciali", sempre più coscienti della propria importanza, entrò nel partito democratico e fu fedele seguace di Cesare, che aveva impostato una politica tesa a valorizzare le classi dirigenti di tutta la penisola. Probabilmente fece esperienze militari tra gli anni 70 e 60. Debuttò nella politica come questore (55 o 54), entrando così in Senato e nel 52 divenne tribuno della plebe. In quell'anno Clodio, fedele a Cesare era stato ucciso dai sicari dell'aristocratico Tito Annio Milone; Sallustio, anche per inimicizia personale, attaccò violentemente Milone, che fu processato e condannato, nonostante fosse difeso da Cicerone con una celebre orazione. Si attirò l'ostilità degli ottimati e nel 50 fu espulso dal Senato sotto la generica accusa di vita scostumata, accusa probabilmente pretestuosa, che intendeva privare Cesare di un risoluto sostenitore.
La guerra civile
Raggiunse allora in Gallia Cesare, che gli affidò incarichi importanti durante la guerra civile contro Pompeo. Reintegrato nel Senato (49) e posto al comando di una legione, Sallustio compì nel 49 un'azione militare contro i pompeiani che assediavano Dolabella e Antonio nell'isola di Curicta, nelle acque del Quarnaro, ma l'impresa non ebbe l'esito sperato. Nel 48 divenne nuovamente questore; nel 47 come pretore designato per l'anno successivo fu inviato a sedare un ammutinamento delle truppe di Cesare in Campania, di nuovo senza successo. Come pretore fece la campagna d'Africa nel 46; al comando di una parte della flotta conquistò l'isola di Cercina presidiata dai pompeiani, impadronendosi di ingenti scorte di frumento. Dopo la vittoria di Tapso (46), venne nominato da Cesare, col titolo di proconsole, governatore dell'Africa Nova, la provincia appena formata da gran parte del regno di Numidia, il cui re Giuba si era schierato dalla parte di Pompeo. Qui rimase fino al 45 o all'inizio del 44.
Il ritiro dalla vita politica
Al ritorno a Roma fu accusato di malversazione per aver depredato la provincia da lui amministrata. Le prove erano dubbie, ma la cattiva amministrazione delle province da parte dei governatori per arricchirsi era un fatto consueto ed è probabile che l'accusa anonima di rapacità lanciatagli avesse una base di verità. È certo, comunque, che aveva accumulato un'immensa fortuna, ma non fu processato per intervento di Cesare; si ritirò però per sempre dalla vita pubblica, o perché fu costretto dal venir meno del favore di Cesare assassinato, oppure volontariamente, come egli sostenne. La sua ricchezza gli consentì di acquistare la villa di Cesare a Tivoli e di farsi costruire uno palazzo a Roma, nella valle tra il Quirinale e il Pincio, circondato da vasti e splendidi giardini, gli horti Sallustiani. In questo lussuoso ritiro si dedicò alla composizione delle opere storiche. Morì, secondo la testimonianza di san Girolamo, nel 35-34 a.C. Non si sa se egli avesse avuto una crisi di coscienza, ma il fervore morale per l'onestà e per la virtù, l'impegno per il bene del popolo, che appaiono nei suoi scritti, contrastano in modo evidente con la sua censurabile condotta di vita.