Le origini e gli sviluppi dell'epistemologia
La filosofia della scienza diviene campo disciplinare pienamente autonomo intorno al 1920-30 per opera dei neopositivisti del circolo di Vienna e del circolo di Berlino (M. Schlick, H. Reichenbach e O. Neurath). A dare grande impulso a questo campo di studi contribuisce l'esistenza di un movimento organizzato con una forte motivazione a privilegiare questo ambito, attribuendogli una funzione centrale nella battaglia contro la metafisica.
Il neopositivismo spicca anche per il taglio fortemente riformatore e unilaterale delle sue tesi rispetto alla filosofia tradizionale. Oltre alle eredità più lontane del positivismo, dell'empiriocriticismo, del convenzionalismo di H. Poincaré (che riduce la scienza a un sistema di convenzioni sulla base di criteri economici e funzionali), dell'induttivismo di J.S. Mill, i fondatori neopositivisti dell'epistemologia mettono a frutto l'eredità delle riflessioni metodologiche convenzionalistiche dei fisici P. Duhem e N.R. Campbell. Il primo grande dibattito della nuova disciplina è intorno al processo di "liberalizzazione dell'empirismo" che negli anni '30 con R. Carnap, H. Feigl, E. Nagel, segna il passaggio dalla fase del positivismo logico a quella dell'empirismo logico e l'allargamento del criterio empirico di significanza alla verificabilità empirica indiretta.
Un indirizzo parzialmente diverso da quello logico-empirista (o verificazionista) è il falsificazionismo di K.R. Popper, la cui tesi centrale è che ogni teoria non può avere una convalida una volta per tutte, ma è sempre una ipotesi "azzardata", il cui carattere scientifico è dato dal fatto di contenere un asserto base che possa essere smentito dall'osservazione (il cosiddetto falsificatore potenziale).
Un indirizzo parallelo a questi è l'epistemologia storica francese, iniziata da G. Bachelard, J. Cavaillés e G. Canguilhem, che si concentra sulla trasformazione dei concetti nella storia delle scienze, temi che saranno scoperti dall'epistemologia anglosassone a partire dagli anni '60.
Emblematicamente la svolta più importante può essere fatta coincidere con la pubblicazione del saggio La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962) di T. Kuhn, che apre una prospettiva relativistica, ripresa ed estremizzata dall'anarchismo metodologico di P.K. Feyerabend. La critica del "postempirismo" all'empirismo logico e a Popper è radicale: non si tratta di accertare la verità e la falsità delle teorie, poiché nel loro sviluppo si ha una "variazione di significato" dei termini e perciò non esiste un linguaggio osservativo indipendente dalla teoria. Due teorie diverse quindi "guardano mondi diversi" e, poiché vi è "incommensurabilità" fra le teorie, non esistono criteri per scegliere razionalmente fra teorie concorrenti.