Il manierismo a Venezia e nel Veneto
Nell'ambito veneziano, dopo la morte di Giorgione, fu Tiziano l'indiscusso protagonista della pittura: le sue doti ebbero subito eco nelle corti italiane, e ricevette numerose commissioni dai principali ducati. Ma tra il 1540 e il 1560 giunse anche nel Veneto il manierismo, i cui anticipatori in pittura e in architettura erano stati il Pordenone e tutti gli artisti che, in seguito al sacco di Roma, si erano rifugiati o erano passati dal Veneto.
Pordenone
Giovanni Antonio de' Sacchis, detto il Pordenone (Pordenone ca 1483 - Ferrara 1539), elaborò il suo stile a contatto con Giorgione (Madonna della Misericordia, 1515, Pordenone, Duomo) con Palma il Vecchio e L. Lotto (Trasformazione, Milano, Brera). Per lui fu fondamentale il soggiorno romano del 1516, durante il quale si accostò a Raffaello e a Michelangelo. Nelle opere che seguirono, come le Storie della Passione (1521-22, Cremona, Duomo), gli affreschi nella Madonna di Campagna (1529-31, Piacenza) e S. Lorenzo Giustiniani (1532, Venezia, Gallerie dell'Accademia) dimostrò il suo graduale distacco dal classicismo veneziano, per prediligere effetti grandiosi e atteggiamenti magniloquenti di intensa drammaticità.
Jacopo Bassano
Jacopo da Ponte detto il Bassano (Bassano 1510/15-1592) era figlio di Francesco il Vecchio (1470 ca-1540), capostipite della famiglia di pittori Da Ponte, soprannominata Bassano dalla città di provenienza. A Bassano aprì una bottega di grande successo. Nei primi capolavori (Fuga in Egitto, Bassano, Museo Civico; Disputa al tempio, Oxford) l'artista rivela la conoscenza del naturalismo lombardo, del romanismo del Pordenone e delle stampe di Raffaello. Negli anni a cavallo della metà del secolo la sua cultura figurativa si arricchì a contatto con le stampe tedesche e le opere manieristiche (Sansone, Dresda; Martirio di S. Caterina, Bassano, Museo Civico; SS. Trinità, Parrocchiale di Angarano; Decollazione di S. Giovanni Battista, Copenaghen, Statens Museum for Kunst). Un'ulteriore evoluzione stilistica lo indirizzò verso una resa dei colori in una vasta gamma di contrasti tonali (Vergine tra i SS. Martino e Antonio abate, Monaco, Alte Pinakothek; Ultima Cena e Adorazione dei pastori, Roma, Galleria Borghese). Nell'ultimo periodo la sua bottega elaborò una serie di tipi figurativi (animali, nature morte, pose della figura umana) che costituiranno l'antecedente diretto della pittura veneta di genere seicentesca.
Tintoretto
Jacopo Robusti, detto il Tintoretto (Venezia 1518-1594), visse e operò sempre a Venezia. Inserì gli assunti estetici manieristici tosco-romani nella tradizione veneta. La sua costante ricerca della luce, intesa come prima componente ed elemento coordinatore delle scene che si risolvono in visioni, è tutta tesa a tradurre la sua spiritualità intensa e drammatica (Ultima Cena, 1547, Venezia, S. Marcuola; Miracolo di S. Marco, 1548, Venezia, Gallerie dell'Accademia). Nei ritratti, si preoccupò soprattutto di mettere a fuoco l'interiorità del personaggio come nel Ritratto della famiglia Soranzo (1550, Milano, Castello Sforzesco); Ritratto di gentiluomo dalla catena d'oro (1556-60, Madrid, Prado); Doge Alvise Morosini (1570, Venezia, Gallerie dell'Accademia); Autoritratto (Venezia, Scuola Grande di S. Rocco).
La sua opera più importante furono i tre cicli per la Scuola di S. Rocco, con le Storie del Vecchio e Nuovo Testamento (1564-87, Venezia, Scuola Grande di S. Rocco), costituite da una cinquantina di "teleri" in cui basò l'articolazione spaziale su forti scorci prospettici e figure agili e dinamiche, il tutto fuso e animato dalla forza costruttiva della luce. Le Storie rimangono il più completo ed esauriente racconto pittorico dell'arte della riforma cattolica.
Veronese
Paolo Caliari, detto il Veronese (Verona 1528 - Venezia 1588), si affermò giovanissimo (1553) come decoratore di altissimo livello a Venezia. Nei primi cicli veneziani (per la sala del Consiglio dei Dieci in Palazzo ducale, 1553; per la Chiesa di S. Sebastiano; per la Libreria di I. Sansovino, 1556), la sua cultura appare ispirata ai modelli del manierismo romano ed emiliano. La serenità olimpica e profana della sua pittura si espresse, dopo il suo viaggio a Roma del 1560, nell'assoluto capolavoro degli affreschi della Villa Barbaro a Maser: impostati sull'illusionismo architettonico di stampo manierista, mostrano anche l'interesse del Veronese per il classico, con l'inserimento di ruderi classici, figure di pura immaginazione. I valori scenografici del suo linguaggio trovarono la massima espressione nella serie delle celebri Cene, dalla Cena in Emmaus (ca 1560) e dalle Nozze di Cana (1562); ambedue ora al Louvre di Parigi), all'Ultima Cena per il Convento dei SS. Giovanni e Paolo (1571-73, ora alle Gallerie dell'Accademia di Venezia) che costituirono l'espediente per rappresentare la vita della nobiltà veneziana e che in un caso (Ultima Cena poi trasformata col titolo di Convito in casa Levi -1573, Venezia, Galleria dell'Accademia) gli procurò la censura da parte dell'Inquisizione per la poca aderenza al fatto evangelico.
Trattò anche la ritrattistica, sia autonoma (La famiglia Cuccina, 1571, Dresda, Gemäldegalerie), sia inserita nelle sue grandi composizioni. Alla fase tarda della sua attività appartengono la decorazione del soffitto della sala del Collegio in Palazzo Ducale (1575-77) e le quattro Allegorie dell'amore (ca 1580), dipinte per Rodolfo II d'Asburgo e ora alla National Gallery di Londra.
Sansovino
Jacopo Tatti, detto il Sansovino (Firenze 1486 - Venezia 1570), compì la sua formazione di architetto e scultore a Roma (1506-11). A Firenze realizzò varie opere scultoree, tra cui il Bacco fanciullo (ca 1514, Bargello). Di importanza determinante fu il secondo soggiorno romano (1516-27). Le opere di scultura di questo periodo mostrano una tendenza ad amplificare in chiave monumentale i suoi schemi (Tombe in S. Marcello al Corso, 1520) e una personale sensibilità pittorica nel modellato (Madonna del parto in S. Agostino).
Le prime prove come architetto rivelano l'intelligenza e l'abilità con cui il Sansovino intervenne sul linguaggio bramantesco, nonostante le alterazioni subite dai suoi edifici (Palazzetti Lante e Gaddi; chiesa di S. Marcello, 1519).
Col trasferimento a Venezia dopo il sacco di Roma (1527), ebbe inizio il periodo più fecondo della sua attività. Le sue architetture (Scuola Nuova della Misericordia, dal 1532; Palazzo Corner, dal 1533; S. Francesco della Vigna, dal 1534) rappresentarono l'ingresso perentorio e trionfale in Venezia del classicismo romano. Specialmente Palazzo Corner, geniale versione del tradizionale schema del palazzo veneziano in forma classicista, costituì un esempio destinato ad ampia fortuna. Ma il capolavoro massimo di Sansovino resta la ristrutturazione di Piazza S. Marco, ripensata sull'evidente modello del forum degli antichi: dal 1537 terminò le Procuratie Vecchie, costruì la Libreria Marciana, la Zecca, la Loggetta del campanile. Nell'entroterra veneto è un altro suo capolavoro, la Villa Garzoni a Pontecasale (dal 1540-45). Tra le ultime opere spiccano la Scala d'Oro in Palazzo Ducale (1544), le Fabbriche Nuove di Rialto (ca 1555) e l'Ospedale degli Incurabili (dal 1560).
Sanmicheli
Michele Sanmicheli, o Sammicheli (Verona 1485-1559), fu architetto esponente del classicismo cinquecentesco. Completò la sua formazione a Roma con gli architetti che lavoravano attorno al Bramante e ai Sangallo (Giuliano, 1445 ca-1516, che nella Villa medicea di Poggio a Caiano, creò il prototipo della villa cinquecentesca; Antonio il Vecchio 1455 ca-1534; Antonio il Giovane 1484-1546). Lavorò come ingegnere e architetto militare nel Veneto e in Dalmazia e come architetto civile a Verona (Cappella Pellegrini in S. Bernardino; Palazzi Canossa, Bevilacqua e Pompei; complesso del Lazzaretto, cupola di S. Giorgio in Braida) e a Venezia (Palazzo Grimani).