western
s. angloamericano (propr., dell'ovest, occidentale, detto specialmente degli USA e del Canada) usato in italiano come agg. e sm. Genere cinematografico, il più antico, popolare e persistente del cinema americano. § La nascita del western risale agli inizi del secolo (Il grande assalto al treno, 1903, di E. S. Porter); i suoi primi eroi (G. M. Anderson detto Broncho Billy, western S. Hart detto Rio Jim) alla preistoria detta delle horse operas o film a cavallo; i suoi primi registi (D. western Griffith, Th. H. Ince) segnarono le origini narrative, spettacolari e artistiche del cinema negli USA. Ambientato geograficamente nel Far West e storicamente nel periodo della colonizzazione, il western si caratterizzò, nei primi decenni di fioritura, per alcuni temi ricorrenti: la trasmigrazione di carri, mandrie e cow-boy da est a ovest, l'edificazione della ferrovia transcontinentale e la corsa all'oro; la lotta tra il pioniere e il pellerossa, tra lo sceriffo e il bandito, tra la “civiltà” e la “barbarie”, tra il nord industriale e il sud agricolo; e insieme il conflitto, interno alla narrazione, tra la mentalità puritana da una parte (il cavaliere alla Tom Mix, paladino senza macchia e senza paura al soccorso della vergine bionda) e, dall'altra, la violenza della conquista, della rapina e del genocidio. Da ciò i parametri linguistici, destinati a non mutare sostanzialmente nella lunga storia: l'ambientazione in esterni, nella prateria e nei canyon, il ritmo secco dell'azione e delle sparatorie, la contrapposizione elementare tra i buoni e i cattivi, l'assenza di psicologia; tutto in funzione dell'aura mitica che avvolgeva le gesta dei colonizzatori e talora, come nell'eccezionale The Vanishing American (1925; Stirpe eroica) di G. B. Seitz, si riverberava perfino sulla disperata difesa degli indiani. Punteggiata di tappe basilari, da The covered vagon (1923; I pionieri) di J. Cruze e The Iron Horse (1924; Il cavallo d'acciaio) di J. Ford al famoso Stagecoach (1939; Ombre rosse ) dello stesso Ford, tappe che a loro volta diedero il via a imitazioni e varianti, l'evoluzione del western conobbe anche momenti di stanchezza, specie negli anni Trenta del XX sec., quando il gangster soppiantò il cow-boy e il sonoro confinò il genere alla categoria B. Tuttavia, con i successivi film di Ford e di altri maestri il western divenne artisticamente e culturalmente (anche se non sempre ideologicamente) maggiorenne. A partire da The Outlaw (1944; Il mio corpo ti scalderà) di H. Hughes e da Duel in the Sun (1946; Duello al sole) di K. Vidor si fecero i conti col puritanesimo. Con My Darling Clementine (1946; Sfida infernale) e Fort Apache (1948; Il massacro di Fort Apache) ancora di Ford, Red River (1948; Il fiume rosso) di H. Hawks, Broken Arrow (1950; L'amante indiana) di D. Daves, High Noon (1952; Mezzogiorno di fuoco) di F. Zinnemann, Shane (1953; Il cavaliere della valle solitaria) di G. Stevens, The Last Hunt (1956; L'ultima caccia) di R. Brooks, The Left Handed Gun (1957; Furia selvaggia) di A. Penn, Rio Bravo (1958; Un dollaro d'onore) di Hawks e con i western di A. Mann, da Winchester '73 (1950) a Man of the West (1958; Dove la terra scotta) si cominciarono a fare i conti con la storia piuttosto che col mito, restituendo la necessaria attenzione agli interni, alle psicologie, alle ragioni degli sconfitti. Sulla soglia degli anni Settanta la revisione era, se non completa, molto avanzata (Tell Them Willie Boy is Here, 1969, Ucciderò Willie Kid, di A. Polonsky; The Wild Bunch, 1969, Il mucchio selvaggio; The Ballad of Cable Hogue 1970, La ballata di Cable Hogue e Pat Garrett and Billy the Kid, 1973, Pat Garrett e Billy Kid, di S. Peckinpah; Soldier Blue 1970, Soldato blu, di R. Nelson; Little Big Man, 1970, Piccolo grande uomo, di A. Penn); il western serviva ormai di metafora per un discorso sulla società contemporanea e le sue crisi e per un esame di coscienza. Il genere si è fatto “sporco” (dirty western), nel senso che vi è stata inserita una tale carica di ambiguità problematica da sfiorare addirittura non solo la smitizzazione, ma la soppressione del genere stesso (Hearts of the West, Pazzo pazzo West, 1975, di H. Zieff; Buffalo Bill and the Indians, or Sitting Bull's History Lesson, Buffalo Bill e gli indiani, 1976, di R. Altman). Al cosiddetto “antiwestern” era comunque arrivato, per altre vie e negli anni Sessanta, il western all'italiana di S. Leone, che del modello smontava il meccanismo, mettendone a nudo la violenza e insidiandone la leggenda. A partire dal decennio successivo è apparso chiaramente il declino del western come genere. Nonostante i tentativi di dichiararlo rinato a seguito di questa o quella coincidenza, si deve rilevare che comunque il filone pare definitivamente inaridito e i pochi (e magari anche notevoli) titoli che ne utilizzano o ne rileggono i codici e i luoghi sono da considerarsi esempi di cinema avventuroso o storico, o come commedie tout court. In ogni caso è da rammentare la coerenza e la fedeltà di un cultore come W.Hill, che non solo ha provato a rileggere la storia della frontiera spogliandola del mito ma rivestendola di romanticismo (The Long Riders, 1980, I cavalieri delle lunghe ombre, per Jesse James; Geronimo: an American legend, 1993, Geronimo, per il celebre capo Apache), ma ha anche tentato di trasferirne gli stereotipi nel cinema d'azione contemporaneo o comunque più in là nel tempo Last Man Standing (Ancora vivo, 1997). Tra manierismo e rilettura critica si sono poi situati i tentativi di L. Kasdan con Silverado (1985) e Wyatt Earp (1994), di C. Cain con Young Guns (Young Guns-Giovani pistole; 1988) e di G. Pan Cosmatos con Tombstone (1994). Se S. Raimi ha fatto un'operazione di omaggio cinefilo con la parodia dello spaghetti western di The Quick and the Dead (1995; Pronti a morire), R. Donner ha messo in commedia una derivazione di un successo televisivo con Maverick (1995), J. Kaplan ne ha tentata una variazione al femminile con Bad Girls (1994), e M. Manchevski una "europeizzazione" con Dust (2001); J. Jarmush, infine, ne ha fatto quasi un pretesto per una ironica e filosofica meditazione sulla morte con Dead Man (1995). Sono solo tre i titoli che si stagliano sino a raggiungere vette di assoluto valore artistico: il kolossal grandioso e fallimentare di M. Cimino Heaven's Gate (1980; I cancelli del cielo), l'ecologico e politicamente corretto Dances with Wolves (1990; Balla coi lupi) di K. Costner e l'asciutto e cupo Unforgiven (1992; Gli spietati) di C. Eastwood; non a caso questi ultimi due sono stati premiati con numerosi Oscar, da considerarsi non solo come omaggio alla qualità e al successo, ma anche come una malinconica parata d'onore a quello che un tempo era il principale dei generi cinematografici.