mito
IndiceLessico
sm. [sec. XIX; dal gr. mýthos, parola, discorso, narrazione].
1) Narrazione favolosa intorno agli dei, agli eroi o alle origini, alle tradizioni, alle gesta di un popolo: il mito di Ercole; il mito di Romolo e Remo. In particolare, personaggio o fatto mitico: Icaro è un mito. Per estensione, elaborazione fantastica di un personaggio o di un avvenimento storico divenuto leggendario: il mito di Cristoforo Colombo; le vicende di Garibaldi sono diventate un mito.
2) Ideologia che si fonda più sulla fantasia e sulla speranza che sulla realtà; sogno irrealizzabile, utopia: il mito di una società senza classi. Per estensione, qualunque convinzione che non trovi piena rispondenza nella realtà; anche scherz.: la sua intelligenza superiore è soltanto un mito. In particolare, il motivo fondamentale che ricorre nell'opera di un autore, di una scuola, di un'epoca: il mito della realtà nei pittori naturalisti.
Storia delle religioni: generalità
Nel linguaggio tecnico della storia delle religioni, racconto sacralmente garantito che ha la funzione di dare un fondamento metastorico alla realtà. La garanzia sacrale consiste in prescrizioni che possono concernere sia il momento e il modo della narrazione, sia la persona stessa del narratore. La fondazione metastorica della realtà realizzata dal mito consiste nell'integrazione in un determinato sistema di valori (cioè in una cultura) dei diversi elementi che la compongono. In altri termini, equivale alla valorizzazione culturale (soggettiva: diversa da una cultura all'altra) della realtà naturale (obiettiva). Il meccanismo della valorizzazione culturale a mezzo del mito si fonda sull'ipotesi di un “tempo mitico” (il tempo a cui si riferiscono i “racconti”) precedente il “tempo storico” (l'attuale) e qualitativamente diverso; la diversità è espressa nei modi più vari: gli animali parlavano, gli uomini camminavano a testa in giù, il sole brillava notte e giorno, ecc. È un “tempo prima del tempo”, come è stato talvolta definito; è un tempo in cui tutto poteva succedere, mentre nel tempo attuale certe cose non succedono più; e le cose che non succedono più sono appunto quelle di cui il mito narra le origini, fissandole formalmente in una struttura cosmica. Si può pertanto dire che ogni mito è mito delle origini: origini del mondo (mito cosmogonico), degli dei (mito teogonico), degli uomini (mito antropogonico), delle istituzioni, ecc. Come tale, esso orienta una cultura dal passato, e ne sottrae al divenire storico le componenti fondamentali. Un rovesciamento di prospettive viene realizzato da certe religioni di salvezza (tra cui il cristianesimo) che invece forniscono un orientamento dal futuro, e cioè guardando alla “fine” del tempo storico anziché alle “origini”; è un altro modo, ma sempre un modo di sottrarre certi valori alla storia, e non è perciò strano che anche questo tipo di “fuga dalla storia” si esprima sotto forma di mito (è il cosiddetto mito escatologico) nel quale si narra “ciò che avverrà”, invece di “ciò che è avvenuto” una volta per sempre. Per la funzione del mito l'azione mitica è più importante dei suoi protagonisti, in quanto la “fondazione” che ne deriva è valida di per sé, soltanto perché è avvenuta nel tempo sacro del mito, e non sempre per le qualità specifiche del “fondatore”; molto spesso il “fondatore” è tale solo accidentalmente. Comunque sia è possibile rilevare una tipologia dei protagonisti mitici: il Creatore, la cui azione si esplica nella creazione del mondo; il Trickster (termine convenzionale introdotto dall'etnologia anglosassone), che fonda gli aspetti negativi della realtà, talvolta in opposizione al Creatore; il Primo Uomo, dal quale ha origine l'umanità; l'Antenato Mitico, a cui si fa risalire l'origine di un determinato gruppo umano, per legarne i componenti con fittizi vincoli di sangue; l'Eroe Culturale, il fondatore delle istituzioni economiche e sociali di una comunità; il Dema (parola melanesiana divenuta termine tecnico storico-religioso), un particolare eroe culturale che, sottoposto a morte violenta, fa nascere dal suo corpo sepolto (spesso in pezzi) la pianta alimentare fondamentale per l'economia di un determinato popolo (fonda la realtà agraria). Nella cultura occidentale, a partire da Roma, il termine mito ha un suo senso in opposizione al termine storia, come emerge anche da quanto si è detto circa i valori metastorici realizzati e organizzati da una mitologia. Ma nella cultura greca a cui la parola appartiene (mýthos) il significato di mito si delinea prima come discorso poetico (legato a una realtà superordinata) contrapposto al discorso prosastico (legato alla realtà quotidiana o profana), e poi, nei termini della speculazione, come discorso alogico (e perciò falso) contrapposto al logos (il discorso “logico” e perciò vero). L'illogicità (e al contempo la “falsità”) del mito non condusse tuttavia a una demitizzazione della cultura greca; il mito vi restò e vi fu giustificato come un elemento da “logicizzare”, come una “materia” indispensabile a cui occorresse dare una “forma” (logica), secondo la dialettica aristotelica. La “logicizzazione” del mito portò alla sua interpretazione in termini allegoristici ed evemeristici; l'allegorismo cercava nel mito un fondamento di verità celato sotto le spoglie poetiche; l'evemerismo considerava i miti come eventi storici trasfigurati dalla tradizione con il passare del tempo.
Storia delle religioni: alcune teorie scientifiche
Con l'avvento di una scienza storico-religiosa, a partire dal secolo scorso, si cominciò a porre il problema del mito nei termini della nostra cultura, rinunciando alle interpretazioni greche perduranti fino ad allora, anche se non più funzionali, e ridotte a semplici fatti letterari. La prima teoria, detta “intellettualistica”, fu quella avanzata dalla scuola antropologica inglese (Tylor): il mito era visto come una spiegazione inadeguata, perché pre-scientifica, della realtà. Per contro, soprattutto da parte di studiosi germanici della scuola di L. Frobenius, fu sostenuta una teoria “irrazionalistica”: il mito come espressione irrazionale di sentimenti scaturiti dall'esperienza delle vicende della natura. Un “naturalismo” di base accomuna queste, sia pure opposte, teorie che, superate dagli studi successivi, permangono, tuttavia (specialmente l'intellettualistica) quasi come luoghi comuni in ogni approccio non-specialistico al materiale mitologico; così come permangono, allo stesso livello, perfino l'allegorismo e l'evemerismo greci. A una comprensione scientifica del mito si è giunti: fissando la sua funzione culturale, rilevando il suo rapporto antitetico con la storia e apprestando un metodo adeguato di lettura. Il tutto è stato ottenuto non con la formulazione di astratte teorie ma con lo studio concreto del materiale mitologico. La funzione culturale (la “fondazione di valori” di cui si è parlato) è emersa dall'interpretazione di mito in correlazione, quanto più dettagliata, con tutti gli elementi (istituzioni, usanze, norme, ecc.) della popolazione presso cui sono narrati; ciò secondo i dettami della scuola etnologica detta funzionalista (Malinowski, Radcliffe-Brown, ecc.). L'antitesi tra mito e storia, ossia tra il mitico tempo delle origini e il tempo storico, è stata proficuamente posta, sul piano fenomenologico, da M. Eliade. Alla lettura scientifica del mito, infine, un contributo decisivo è stato dato da Claude Lévi-Strauss: è la lettura “strutturale”), per la quale si assume come significativa soltanto la struttura di un mito, prescindendo dai singoli elementi che lo compongono (personaggi, simboli, temi e motivi mitici), sui quali prima si accentrava tutta l'attenzione quasi che fossero capaci di significare qualcosa di per sé. Per concludere, sia l'approccio funzionalistico sia quello strutturalistico, non si pongono mai come oggetto un singolo mito, bensì considerano ciascun mito nel complesso organico di mito, o mitologia, rinvenibile nella tradizione di un determinato popolo. Una mitologia non è soltanto una raccolta di miti diversi; essa si compone anche delle varianti di uno stesso mito; e proprio dalle varianti, che hanno la funzione di mettere a fuoco ora questo e ora quell'elemento della realtà significata, emerge la portata e la funzionalità di un mito. Il linguaggio delle varianti si atrofizza inevitabilmente quando una mitologia viene fissata per iscritto. Tuttavia l'uso della scrittura non basta, di per sé, a snaturare i miti e a renderli quasi recitazioni rituali. Se ciò è successo per alcune culture (la cultura mesopotamica, p. es.), non si può dire lo stesso della cultura greca, dalla quale procede sia il termine sia il concetto di mito; nella religione greca, infatti, i miti sono clamorosamente dissociati dall'azione rituale, e i loro narratori, i poeti, svolgono la propria azione in assoluta libertà e senza irrigidimenti di tipo sacerdotale.
Filosofia
Il mito è inteso come forma non perfetta di verità, e come categoria autonoma e originaria di accesso alla verità. In Platone si trovano entrambi i significati, poiché per un verso egli dice che il mito rispetto all'intellezione è connesso con la fantasia e quindi è solo verosimiglianza, per l'altro apprezza il mito come insostituibile nel suo rappresentare qualche verità che la ragione non può adire (si pensi al celebre mito platonico della “caverna”). Dispregiatori del mito furono i sofisti, ma anche Aristotele afferma che la filosofia deve venire purificata dai miti. Il movimento razionalistico del pensiero moderno indusse sempre più a vedere nel mito null'altro che una traduzione allegorica, favolosa, del pensiero logico, e quindi riconducibile a esso. Vico definì il mito una forma originaria dello spirito, e lo identificò con la fantasia artistica, organo privilegiato d'ispirazione divina. Nell'età romantica, tale concezione del mito si caricò di implicazioni irrazionalistiche e si amplificò in una vera e propria metafisica teologica con Schelling, che vedeva nel mito una diretta manifestazione dell'Assoluto; l'interpretazione vichiana sarà poi ripresa da B. Croce. Nella seconda metà del sec. XIX si era intanto rinnovato l'interesse sull'origine e la natura del mito in seguito alla fondazione della scienza sociologica e allo sviluppo degli studi etnologici e antropologici. Un indirizzo fondamentale negli studi sul mito è quello della scuola psicologica, che si può far risalire a Tarde, ma che ha avuto il massimo sviluppo nell'ambito della psicanalisi e, soprattutto, della psicologia dell'inconscio collettivo di Jung. Acutissima è infine l'analisi del mito compiuta da Cassirer, che rileva come nei tempi moderni, mentre si è diventati inetti all'attività mitificante estetica, si è invece stati fertili nella costruzione di funesti miti politici, come quelli dello Stato assoluto e della razza.
Sociologia
Nelle società prive di scrittura, il mito risponde all'esigenza di conservare e trasmettere in forma simbolica, e spesso in associazione con riti ed eventi religiosi, le acquisizioni sociali della comunità. I miti favoriscono, pertanto, la memorizzazione e la selezione del patrimonio culturale collettivo, ma in un contesto che non distingue sacro e profano. La loro natura, in quanto connessa all'esercizio del potere e alla gestione del sacro, produce perciò effetti rilevanti anche sui moderni sistemi politici. Il concetto di mito politico risale a G. Sorel e al suo saggio Réflexions sur la violence (1906), in cui il mito rivoluzionario – espresso nell'idea di sciopero generale – trae alimento e potere evocativo da una ragione intuitiva e da uno slancio emozionale che prescindono da mediazioni intellettuali e da argomentazioni teoriche. Nel sec. XX, però, saranno soprattutto i regimi totalitari di massa a servirsi del mito politico – si pensi ai nazionalismi europei fra le due guerre – come strumento di mobilitazione e di esaltazione aggressiva dell'identità. Le scienze sociali si sono dedicate negli ultimi decenni a indagare il mito politico nelle situazioni di crisi e trasformazione, nelle quali simboli e narrazioni raccolgono ed esprimono aspettative diffuse e non particolarmente strutturate (come nel caso delle ideologie). Esemplari, in questo senso, appaiono i miti legati all'epopea della liberazione nazionale nei Paesi ex coloniali.
Per la religione
W. Nestle, Mythos und Logos, Stoccarda, 1940; C. G. Jung-K. Kérenyi, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, Torino, 1948; M. Eliade, Le Mythe de l'Èternel Retour, Parigi, 1949: A. E. Jensen, Mythos und Kult bei Naturvölkern, Wiesbaden, 1951; M. Eliade, Mythes Rêves et Mystères, Parigi, 1957; C. Lévi-Strauss, La pensée sauvage, Parigi, 1962; M. Eliade, Myth and Reality, New York, 1964; M. Détienne, Il mito. Guida storica e critica, Bari, 1975; H. Blumenberg, Elaborazione del mito, Bologna, 1991.
Per l'etnologia
M. Leenhardt, Do Kamo. La personne et le Mythe dans le monde mélanésien, Parigi, 1947; R. Pettazzoni, Miti e leggende, 4 voll., Torino, 1948-63; J. Campbell, The Mask of God. Primitive Mythology,Londra, 1960; H. A. Murray, Myth and Mythmaking, New York, 1960; M. Eliade, Aspect du Mythe, Parigi, 1963; J. Middleton, Myth and Cosmos, Garden City, 1967; R. A. Georges, Studies on Mythology, Homewood, 1968; S. Adriani, Miti, dei, eroi, La Spezia, 1989.