Definizione

sf. [sec. XVIII; dal greco kosmogonía]. Teoria della formazione dei corpi celesti del sistema solare e in generale dei sistemi planetari. In particolare, nella storia delle religioni, il complesso di miti che narrano le origini del mondo.

Astronomia

La cosmogonia rappresenta il tentativo culturale più antico di dare una spiegazione in termini intuitivamente o razionalmente comprensibili del mondo attorno a noi e del cielo stellato sopra di noi, puntando alla ricostruzione degli eventi e delle tappe della sua costituzione. Una parte notevole di questo sforzo è rintracciabile nella tradizione religiosa, nei miti e nelle leggende della creazione e si confonde, ai primordi della filosofia occidentale, con il tentativo filosofico di individuare il principio costitutivo dell'Universo, nel doppio senso di essenza soggiacente e di origine materiale unica del suo formarsi differenziato. Ma buona parte della storia della filosofia, dai presocratici in poi, contiene suggestive proposte cosmogoniche, quali quelle di Platone, degli stoici e degli epicurei, dei neoplatonici, ecc. Tuttavia è possibile individuare una vera e propria cosmogonia, costituita in sapere autonomo e dotata di principi metodologici espliciti, solo a partire dalla cosiddetta “rivoluzione scientifica” alla metà del sec. XVII. Al 1644 risale infatti l'opera di CartesioLe monde ou traité de la lumière, che presenta una ricostruzione della formazione del Sole, dei pianeti e delle stelle avvalendosi della teoria dei vortici, teoria razionale in quanto basata unicamente sulla materia e sul suo moto. Da questo momento ogni cosmogonia che pretenda al nome di scienza dovrà collegarsi alle conquiste della nuova fisica sperimentale e in particolare della meccanica celeste. Ma l'Universo delineato dal geniale creatore di questa meccanica, cioè Newton, non era autosufficiente: Dio, il “grande orologiaio”, doveva talvolta intervenire per correggere gli effetti di piccole irregolarità, mentre ogni ricerca sulle cause della gravitazione oltrepassava i limiti metodologici di una scienza fisica che intendeva fare a meno di ogni ipotesi non necessaria. Quella fede, che in Newton completava la scienza umana, ma annullava lo slancio cosmogonico, venne progressivamente emarginata nel newtonianesimo del sec. XVIII, grazie agli impressionanti successi ottenuti dall'osservazione astronomica di comete e nuovi pianeti e alla dimostrata “potenza” predittiva della teoria della gravitazione, ormai scienza “vera” per eccellenza e mezzo conoscitivo essenziale e non metafisico nelle mani dell'uomo. Su questa base il naturalista francese G. L. L. de Buffon nella sua Histoire Naturelle (1749-88) avanzò l'ipotesi cosmogonica di una cometa che, cadendo sul Sole, ne avrebbe staccato piccole parti destinate a conservare nel loro moto la forza impulsiva dell'urto e a costituire l'attuale sistema solare. Tale ipotesi, detta poi “del secondo corpo”, avrebbe avuto un seguito, nei primi anni del Novecento, a opera di J. H. Jeans e M. Jeffreys. La medesima concezione del newtonianesimo come “vero sistema del mondo”, se da un lato costrinse I. Kant a porsi il problema filosofico fondamentale dei limiti della conoscenza empirica e della necessità di una critica della ragione, dall'altro lo indusse, nel 1755, a teorizzare nella sua Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels (Storia universale della natura e teoria del cielo) la formazione dei mondi stellari per effetto della condensazione di materia nebulare originariamente immobile e suddivisa in piccole masse discrete. Questa teoria, condivisa quasi integralmente da J. M. Lambert nelle sue Kosmologische Briefe (Lettere cosmologiche, 1761), fu riproposta sotto forma di ipotesi e limitatamente al sistema solare da P.-S. de Laplace nel 1796 in appendice alla sua Exposition du systhème du monde: qui la massa di gas veniva supposta estremamente rarefatta, ad alta temperatura e già dotata di movimento rotatorio. Collegandosi alla precedente dimostrazione che le perturbazioni delle orbite planetarie oscillavano attorno a un valore medio e che quindi il sistema solare era sostanzialmente stabile, la cosmogonia laplaciana mirava a escludere ogni presenza teologica o metafisica nella cosmologia e apriva la strada a un'indefinita possibilità di conoscenza del mondo sul modello dell'astronomia e delle scienze fisico-matematiche. A questo ruolo e a questa funzione la cosmogonia rimarrà ancorata per tutto il sec. XIX, sorretta anche dall'inquadramento positivistico delle scienze, che considerava praticamente già completato il programma di ricerca della meccanica celeste. Solo dopo il 1855 l'impulso dato da Clausius alla termodinamica e l'estensione all'universo del concetto di entropia comporteranno nuove riflessioni cosmogoniche, giacché la prospettiva della “morte termica” dell'Universo rinviava a un istante iniziale visto come stabilimento di dislivelli energetici. La crisi della fisica classica alla fine del secolo e l'apparizione della teoria della relatività, in particolare le Kosmologische Betrachtungen (Considerazioni cosmologiche) di Einstein del 1917, renderanno più evidente l'inadeguatezza della cosmogonia, con la sua breve storia e le sue fragili basi ipotetiche, a sostenere l'enorme edificio della fisica moderna e quindi l'astrofisica e la radioastronomia. Da questa data, la cosmogonia scompare come scienza separata e diviene una parte della cosmologia moderna.

Religione

Nella storia delle religioni, le origini del mondo raramente si svolgono da atti creazionistici veri e propri. Per lo più il mondo (la realtà attuale) prende forma da atti di trasformazione, da lotte o guerre, da sequenze genealogiche; la trasformazione, oltre che in senso proprio (per esempio, la Luna che da animale diventa il pianeta), va intesa come riordinamento o “nuovo assetto” (per esempio, il Cielo e la Terra prima non erano separati; e c'è un mito che narra come furono separati); le lotte e le guerre si svolgono tra esseri mitici caotici (o precosmici) e cosmici; la vittoria dei secondi sui primi dà origine al mondo attuale. A questo filone sono riducibili i miti in cui l'eroe sconfigge un mostro (drago, serpente, ecc.), sbloccando così una situazione che impediva la “nascita” del mondo. Si hanno invece sequenze genealogiche quando le diverse forme della realtà sono personificate da figure divine e il formarsi della realtà equivale alla nascita delle figure divine stesse; il mito cosmogonico diventa così un mito teogonico e si riduce a narrare accoppiamenti e nascite di dei. Questa tipologia ha però soltanto valore orientativo. Nella realtà storica, i diversi motivi si intrecciano variamente e assumono significato in funzione dell'idea di cosmo portata da una determinata cultura. Fra i miti più importanti, quello dell'uovo cosmico, che, schiudendosi, dà origine a tutte le realtà dell'Universo (tema presente in un'area vastissima, dalla Polinesia all'India, fino al mito greco orfico dell'uovo che aprendosi fa nascere l'essere primordiale Phanes). Altro tema cosmogonico è quello dell'esistenza di una coppia originaria costituita dal Cielo e dalla Terra, uniti, e la cui separazione segna l'origine effettiva del cosmo (in Grecia, il mito esiodeo di Gea e Urano; presso i Maori della Nuova Zelanda il mito di Rangi, il Cielo, e Papa, la Terra, separati dal figlio Tane-mahuta).

Bibliografia

Per le religioni

Autori Vari, Symbolisme cosmique et monuments religieux, Parigi, 1953; U. Bianchi, Teogonie e cosmogonie, Roma, 1960; M. Eliade, Mito e Realtà, Torino, 1966; idem, Il mito dell'eterno ritorno, Torino, 1968; Fang Li Zhi, Li Shu, Xian, La creazione dell'universo, Milano, 1990.

Per l'astronomia

H. C. Urey, The Planets, Their Origin and Development, New Haven, Connecticut, 1957; J. Jeans, Astronomy and Cosmogony, Cambridge, 1961; P. J. Brancazio, A. G. W. Cameron (a cura di), The Origin and Evolution of Atmospheres and Oceans, New York, 1963; A. Elvins, From Plasma to Planets, New York, 1972; G. Bertazzi, R. Caimmi, Cosmo spazio tempo, Brescia, 1988.

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