regalìa (diritto)
s. neutro pl. latino medievale (da regalis, regale) usato in italiano come sm. pl. (talora adattato nel f. regalìe). Nel Medioevo e dopo, le prerogative e i diritti sovrani (iura regalia) e anzitutto quelli spettanti all'imperatore. In particolare, nel Medioevo, vennero considerati regalia i diritti di natura prevalentemente demaniale e fiscale, diritti spesso ceduti o usurpati dai feudatari. Di essi si erano, a vario titolo, appropriati anche i Comuni cittadini, sicché toccò a Federico Barbarossa rivendicarli all'Impero nella famosa Dieta di Roncaglia del 1158. L'elenco dei regalia citava i diritti sulle pubbliche strade, sui porti, sui fiumi navigabili e sulle loro ripae; il diritto di batter moneta, di esigere dazi e multe, di devoluzione dei beni dei condannati; diritti a determinate prestazioni personali (angariae) o alla fornitura di carri e di navi; a essere spesati con il seguito durante le expeditiones e di tenere palazzo nelle città; diritto di nomina di funzionari e magistrati; diritti sulle miniere e sulle saline, ecc. La possibile cessione di tali diritti a feudatari e l'analogia, tipicamente medievale, tra sfera pubblica e privata, fecero sì che spesso per regalia si intendessero, e s'intendano ancora, le prestazioni in natura dovute dall'enfiteuta, livellario o colono al signore del fondo. In età moderna, e precisamente durante l'assolutismo, la teoria dei diritti sovrani fu ampliata e approfondita, per cui ai “regalia minori”, e cioè ai diritti fiscali e demaniali sopra ricordati, vennero ad aggiungersi i “regalia maggiori” (o iura maiestatica) modellati sul diritto romano-bizantino delle codificazioni giustinianee. Così, il diritto di emanare costituzioni ed editti e di esercitare in sommo grado la giurisdizione, di far guerra e pace, di stringere alleanze e di inviare ambasciatori, di concedere grazia, ecc. a cui si devono aggiungere i cosiddetti iura regalia circa sacra e in sacris, e cioè la pretesa d'ingerirsi nelle cose ecclesiastiche, controllando la nomina dei vescovi (diritto di placet), autorizzando o meno l'esecuzione delle bolle pontificie (exequatur), esercitando il veto verso provvedimenti ecclesiastici (ius vetandi) o giudicando in ultimo appello controversie di competenza di tribunali della Chiesa (appello ab abusu), ecc. Sicché da questa pretesa ingerenza nella sfera ecclesiastica venne a questa prassi politico-ecclesiastica il nome di regalismo e più tardi di giurisdizionalismo.