laménto
IndiceLessico
sm. [sec. XIII; dal latino lamentum].
1) Voce, espressione di dolore mista al pianto, in particolare riferito al compianto per la morte di una persona: mandare un lamento, essere sordi ai lamenti di qualcuno; lamento funebre. Per estensione, verso di dolore di un animale: il lamento di un cane; anche qualsiasi suono prolungato e straziante. Fig. espressione di rammarico, di risentimento, rimostranza.
2) Componimento in versi o in prosa in cui si lamenta un fatto doloroso di carattere storico (distruzione di una città, morte di un eroe, ecc.) o amoroso (lontananza della persona amata, suo tradimento, ecc.). Anche brano musicale che accompagna un testo particolarmente doloroso.
Religione
Il lamento, parte integrante del rito funebre, è già presente nella cultura babilonese: inni in tono di lamento erano cantati per la morte di Tammūz, accompagnati dal flauto; al lamento partecipava tutta la natura, perché impotente a produrre fino alla nuova comparsa del dio; nell'antico Egitto è celebre il lamento d'Iside con la sorella Nephtys sul corpo di Osiride. Ricomponendo il corpo del defunto marito Iside osserva tutti i riti della liturgia funebre, il che dimostra che il lamento, oltre al naturale significato di espressione dell'interno dolore, era parte integrante del rito funebre; nella mitologia greca è noto il lamento di Afrodite sul corpo del perduto Adone; Macrobio attesta il culto di Adone anche in Siria, dove le vergini ogni anno piangevano la morte prematura del dio. A Roma il lamento era affidato alle prefiche, le donne che conservavano al pianto funebre il suo formulario rituale, quando ormai i mutati costumi avevano fatto smarrire il senso religioso e i modi del rito.
Letteratura
I più antichi esempi di lamento sono le bibliche Lamentazioni di Geremia sulla distruzione di Gerusalemme, i thrénoi omerici di Achille in morte di Patroclo e di Andromaca in morte di EttoreMedioevo, il genere ebbe larga fortuna sotto la forma del planctus, dal celebre Planctus de obitu Karoli, in memoria di Carlo Magno, al De planctu naturae di Alano di Lilla, fino ai planctus lirico-amorosi di Abelardo. Dal planctus deriva, nelle letterature romanze, il provenzale planh (celebre quello di Sordello in morte di Blacatz) e il francese complainte (come, nel Roland, il compianto di Carlo Magno sui paladini caduti a Roncisvalle). Diffusissimo è il lamento nella poesia italiana dei sec. XIII e XIV, nella duplice forma religiosa (i Pianti della Madonna, tra cui quello famoso di Iacopone da Todi) e profana (il Lamento della sposa padovana, il Già mai non mi conforto di Rinaldo d'Aquino, ecc.). Esteso, a partire dal sec. XIV, anche alla lirica politica, dall'anonimo Lamento per la battaglia di Montecatini (1315) ai sirventesi di A. Pucci, il lamento ha avuto fortuna anche nella lirica moderna: basti citare il Llanto por Ignacio Sánchez Mejías (1935) di García Lorca.
Musica
In campo musicale, i lamenti, vocali e di struttura monodica, non ebbero uno schema musicale fisso. Rari sono i lamenti strumentali, come il cosiddetto Lamento di Tristano (sec. XIV) in forma di estampida, o il più tardo Lamento sopra la dolorosa perdita di Ferdinando IV (1656) di J. J. Froberger, primo tempo di una suite per clavicembalo. Il lamento è anche una scena tipica dell'opera barocca, di varia struttura, in genere attribuita a eroine femminili (famosi il lamento di Arianna e di Ottavia di C. Monteverdi). G. Carissimi introdusse il lamento nell'oratorio (lamento della figlia di Jephte) e nella cantata (Lamento di Maria Stuarda).