diacrìtico
agg. (pl. m. -ci) [sec. XVIII; dal greco diakritikós, atto a distinguere]. Di segni grafici convenzionali usati negli alfabeti fonetici per trascrivere la complessa gamma dei suoni di una lingua che i normali alfabeti rendono sempre in modo più o meno inadeguato. Anche i normali alfabeti di certe lingue hanno segni, come la cediglia, che in francese dà alla lettera c davanti ad a, o, u il valore di s sorda (ça, ciò, qua; garçon, ragazzo; reçu, ricevuto); la tilde, che in spagnolo conferisce alla lettera n il valore della nasale palatale (niño, bambino); la pipa, che in varie lingue slave denota che la lettera c rappresenta un suono palatale e non affricato (croato čar, incanto; car, imperatore). Spesso segni diacritici sono usati anche nelle traslitterazioni da un sistema di scrittura a un altro, talvolta anche con valori diversi: così un punto sottoscritto a t d (ṭ ḍ) indica nella traslitterazione dell'alfabeto devanagarico un suono cacuminale, mentre nella traslitterazione dell'alfabeto arabo indica un suono enfatico. § In epigrafia, i segni diacritici sono segni usati nella pubblicazione di un'iscrizione per renderne comprensibili lo stato e il contenuto. I principali sono: le parentesi tonde ( ) per risolvere le abbreviazioni; le parentesi quadrate [ ] per integrare parti andate perdute; le parentesi angolate 〈 〉 per indicare lettere aggiunte dall'editore perché dimenticate per errore dal lapicida; le graffe { } per lettere da eliminare, in quanto aggiunte per errore; le doppie parentesi quadre per lettere o parole erase nell'antichità. Le lettere illeggibili vengono indicate da altrettanti punti; se il numero di esse è imprecisabile, da alcune lineette; quelle di incerta lettura si indicano con un puntino sottoscritto.