ciceronianismo o ciceronianésimo
sm. [dal nome di M. T. Cicerone]. Studio di Cicerone e imitazione della sua lingua e del suo stile lungo i secoli. La fortuna di Cicerone presso i contemporanei è testimoniata da Cornelio Nepote, che auspica l'estensione alla storiografia del modello stilistico ciceroniano, mentre anticiceroniani si dichiarano Sallustio e Asinio Pollione. Prevale tuttavia nel sec. I d. C. l'ammirazione per l'opera letteraria di Cicerone, appassionatamente difesa da Quintiliano contro il periodare breve e asimmetrico di Seneca. Un declino del culto di Cicerone si ha nel sec. II con la scuola arcaicizzante di Frontone; si è intanto iniziato, sotto il segno di un ciceronianismo filosofico e stilistico, il processo di sintesi tra classicità e cristianesimo a opera degli scrittori latino-cristiani: Lattanzio, per il suo stile terso ed elegante, sarà chiamato il “Cicerone cristiano”; San Girolamo non riesce a sottrarsi al fascino del grande scrittore latino. Nel Medioevo, la fama di Cicerone come modello di arte retorica e maestro di verità morali è assai viva presso i dotti e i poeti, da Abelardo a Giovanni di Salisbury, da Vincenzo di Beauvais a Dante. B. Latini volgarizza nella Rettorica il De inventione di Cicerone, riportando il mondo ciceroniano agli interessi comunali e, nel Trésor, lega la retorica alla politica, scrivendo, sulla scorta del De officiis, un vero e proprio manuale di formazione dell'uomo politico. Ma solo con Petrarca, fortunato scopritore di orazioni e lettere di Cicerone e appassionato cultore del suo stile, sorge il ciceronianismo in senso stretto, cioè il ciceronianismo umanistico, nel quale si rispecchia la concezione della letteratura come sintesi tra sapienza ed eloquenza. Un fervore di studi ciceroniani anima gli umanisti del primo Quattrocento, da C. Salutati, che dà un prezioso contributo alla conoscenza delle lettere Ad Familiares di Cicerone, a G. Barzizza. Nei suoi Elegantiarum latinae linguae libri VI L. Valla ricava da Cicerone le regole del perfetto classicismo linguistico. La dottrina dell'imitazione di un solo modello, formulata dal Valla, offre l'occasione a una polemica tra P. Cortese, intransigente sostenitore del ciceronianismo, e il Poliziano, che si scaglia vivacemente contro le “scimmie di Cicerone”, sostenendo un eclettismo stilistico che favorisca l'affermazione di una personalità poetica libera da servile imitazione. L'ammonimento del Poliziano rimane però lettera morta per i latinisti del primo Cinquecento che, sotto il pontificato di Leone X, portano il ciceronianismo al suo apogeo. Segretari del papa mediceo sono i più eleganti ciceroniani del tempo, P. Bembo e I. Sadoleto, a loro volta protettori del francese Ch. de Longueil (Longolio) che del ciceronianismo è il più fanatico propugnatore. All'estetismo paganeggiante degli umanisti italiani reagisce vigorosamente Erasmo da Rotterdam, che nel trattato Ciceronianus (1528) mette in caricatura la pretesa assurda di travestire le cose della vita moderna con le parole dell'uso latino. Nel Seicento francese si accende la querelle tra i sostenitori della maniera ciceroniana (J.-L. Guez de Balzac, J. B. Bossuet, F. Fénelon) e i propugnatori di un ritorno all'anticiceroniano Seneca (J. de La Bruyère, M. de Montaigne, B. Pascal). Il romanticismo tedesco coinvolge Cicerone nella svalutazione del mondo latino; e Th. Mommsen vede nel grande oratore arpinate l'esponente di un'eloquenza verbosa, non sorretta dal vigore del pensiero. Mentre negli studi si è oggi affermata una più equilibrata valutazione della personalità umana e stilistica di Cicerone, il ciceronianismo sopravvive nelle scuole come canone grammaticale per lo studio del latino.