Mirabeau, Gabriel-Honoré Riqueti, cónte di-

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uomo politico francese (Le Bignon, Provenza, 1749-Argenteuil 1791). Figlio del marchese Victor (“l'Ami des Hommes”) assai noto ai suoi tempi per gli studi di economia e di politica, Mirabeau rivelò fin da ragazzo un carattere estroso e indocile che la carriera delle armi, abbracciata appena diciottenne, anziché mitigare, esaltò, fino a costringere il padre a farlo chiudere in prigione. E in prigione, o esiliato in lontani castelli, passò quasi tutta la prima giovinezza, assillato dai debiti o travolto da scandali amorosi. Si sposò a 21 anni e fuggì ben presto per sottrarsi ai debiti. Innamorato poi della giovanissima moglie del marchese de Monnier, Sophie de Ruffey, fuggì con lei in Olanda. Intervenne il Ministero degli Esteri che chiese e ottenne l'estradizione della coppia. Imprigionato, scrisse le Lettres à Sophie, ma ben presto, dimentico della donna che per lui si uccise, passò a nuovi amori. Al suo primo scritto politico, Essai sur le despotisme (1775) fece seguire (1782), due anni dopo la scarcerazione, Des lettres de cachet et des prisons d'État, in cui svolge coerentemente il suo pensiero costituzionale: il potere risiede nel popolo; i magistrati sono al suo servizio; il re è il primo dei magistrati. Un pensiero non nuovo (si pensi, per esempio, alla Dichiarazione della Virginia del 1776), ma sostenuto con passione e con fermezza. Seguirono, sempre in uno stile rapido e violento saggi (Considerations sur l'ordre de Cincinnatus), pamphlets, opuscoli su problemi e retroscena della politica del suo tempo, in cui le idee di Mirabeau si precisarono e si condensarono nella teoria “dei contrappesi”, che dovrebbe essere alla base dello Stato ideale. Sul finire del 1788 scoppiò un altro grosso scandalo: una delle sue amanti, la libraia M.me Lejay, gli sottrasse e pubblicò l'Histoire secrète de la Cour de Berlin, dove Mirabeau si era venuto a trovare per una missione di cui era stato incaricato l'anno precedente. Il fatto provocò un vero e proprio terremoto politico minacciando seriamente i rapporti diplomatici tra Francia e Prussia. Non sono mancati tuttavia i sospetti che Mirabeau stesso avesse sottratto di proposito scottanti documenti segreti per scopi venali. Dal soggiorno berlinese Mirabeau aveva però tratto materia anche per un saggio di un certo rilievo, De la monarchie prussienne née sous Fréderic le Grand pubblicato nello stesso anno. Fortunatamente la marea montante degli Stati Generali annegò polemiche e accuse e Mirabeau, già espulso dall'ordine nobiliare, apparve risoluto, nonostante tutto, a entrare nella mischia. Vi entrò trionfalmente, eletto a Marsiglia e ad Aix-en-Provence, per il Terzo Stato, divenendo, fino alla morte, uno dei maggiori protagonisti, nelle luci e nelle ombre, della Rivoluzione francese. “Superbo e orrido” Mirabeau, idolatrato dal popolo di Parigi, dominò con la sua eloquenza fin dalle prime battute l'Assemblea. Come l'enorme maggioranza del Terzo Stato, egli non voleva la repubblica e propugnò la tesi di un re forte (al monarca doveva essere riservato il diritto di guerra e di pace e il diritto di veto) battendosi per una forte Costituzione e mostrandosi inflessibile nella battaglia per l'abolizione di ogni residuo feudale. Simpatizzante per i giacobini, ai quali era spiritualmente più vicino (tanto che il 28 febbraio 1791 tenne al loro circolo uno dei suoi discorsi più importanti), non fece tuttavia parte di alcun club. Luigi XVI, sempre irresoluto sulla politica da scegliere, irresoluto anche sull'opportunità di una controrivoluzione che Mirabeau in certo senso auspicava e pretendeva di organizzare, superando molte riserve, chiese infine il suo consiglio, offrendogli in compenso il pagamento dei debiti e un appannaggio. Mirabeau accettò e suggerì al re un piano che, abbandonando l'idea della controrivoluzione, apparve un autentico capolavoro di intuizione politica: da una posizione di forza, il re doveva accettare lealmente le riforme dettate dall'Assemblea. Ma Luigi XVI non accolse il suo invito e l'astro di Mirabeau cominciò ad affievolirsi nell'ombra dei sospetti. “Mi hanno pagato – dirà a se stesso –, non mi hanno comperato”. Morì al momento giusto. Il popolo in un primo tempo volle che i suoi resti riposassero nel Panthéon ma nel 1792, scoperto l'accordo col re, la sua bara venne tratta dal tempio e sepolta nel cimitero dei ghigliottinati.

P. Dominique, Mirabeau, Parigi, 1947; A. Vallentin, Mirabeau dans la Révolution, Parigi, 1947; Duc de Castries, Mirabeau, Parigi, 1960; J. Bénétruy, L'Atelier de Mirabeau, Parigi, 1962; L. Barthou, Mirabeau, Milano, 1964; J.-P. Dubost, Eros und Vernunft. Literatur und Libertinage, Francoforte, 1988.

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