magistrato
IndiceLessico
sm. [sec. XIV; dal latino magistrātus-us].
1) Chi fa parte dell'ordine giudiziario ed esercita la funzione giurisdizionale.
2) Antiq., chi esercita una carica pubblica, chi ha funzioni di autorità.
3) Meno comune, la carica rivestita; magistratura.
Cenni storici: Grecia
Nelle città-Stato greche (póleis) come negli Stati federali greci (koiná) i magistrati (genericamente archontes) erano in età storica i continuatori dei poteri dell'antico re omerico; l'archè per eccellenza resta per Aristotele il Consiglio (boulé o gherusía), continuazione del Consiglio che assisteva il re e che ne aveva ereditato il potere esecutivo e le funzioni religiose, militari, giudiziarie e amministrative. I rapporti fra le magistrature greche e l'antico Consiglio si rivelano in modo più chiaro nelle città a regime oligarchico: ciò vale per gli artynai (Argo), per i demiurghi (Arcadia, Elide, Acaia, Argolide e colonie doriche e achee), per i timuchi (città ioniche e loro colonie), per gli esimneti (Asia Minore), per i pritani (che ad Atene erano soltanto la sezione in carica del Consiglio, ma altrove, per esempio a Mileto, rivestivano la magistratura suprema). Nelle oligarchie dinastiche le magistrature avevano carattere vitalizio ed ereditario; nelle oligarchie moderate erano elettive e, per lo più, annuali, tuttavia erano a vita i due basileis spartani e il tago tessalo, e inoltre il carattere vitalizio poteva riaffiorare nella composizione del Consiglio (per esempio l'antico Areopago ateniese era formato dagli arconti, usciti di carica; la boulé di Creta dai cosmi usciti di carica). L'età minima richiesta nelle oligarchie per l'accesso alle magistrature restava di solito assai alta (40 anni a Calcide e a Teo, 30 altrove). Nelle città democratiche l'assemblea popolare, alla quale spettava la sovranità, delegava ai magistrati i poteri che non poteva esercitare direttamente: alle archái propriamente dette, investite delle funzioni politiche e governative, spettava l'esecuzione delle leggi e il compito di consultare il popolo e il Consiglio, il potere di coercizione e quello giudiziario. Soggette a elezione o a sorteggio, le magistrature delle città democratiche erano temporanee (per lo più annuali) e spesso collegiali, così da permettere l'avvicendamento e il controllo, che veniva esercitato anche con la resa dei conti (euthyna) allo scadere della carica. Caratteristiche dell'ordinamento democratico sono le magistrature ateniesi, aperte a tutti i cittadini senza distinzioni di censo e oggetto di retribuzione così da poter essere esercitate anche dai cittadini più poveri.
Cenni storici: Roma
In Roma magistratus indicava sia la persona che rivestiva una carica pubblica sia la carica stessa. Il termine si richiamava a magis=più, da cui magister, colui che è più degli altri, cioè il “capo”. In età regia, i poteri magistratuali appartenevano al rex. È solo con l'età repubblicana che si afferma e precisa il sistema magistratuale quale fondamento costituzionale dello Stato, assieme al Senato e alle assemblee popolari. In un primo tempo i magistrati supremi, consoli, pretori, censori, dittatori, rappresentavano l'intero Stato ricevendo il potere esecutivo, potestas, dal Senato e dal popolo. Ai magistrati patrizi già nel sec. V a. C. vennero contrapposti altri magistrati plebei, i tribuni e gli edili, ma il carattere rivoluzionario di questi venne meno quando, a cominciare dalle leggi Licinie Sestie del 367 a. C., i plebei vennero gradualmente ammessi a tutte le magistrature dello Stato. I magistrati erano tutti eletti: dai comizi centuriati i consoli, i pretori, i censori, gli edili curuli, dai comizi tributi i tribuni, gli edili della plebe, i questori e i tribuni militari elettivi; erano per lo più due per ogni magistratura e duravano in carica, salvo i censori, un anno. Il dittatore, più anticamente denominato magister populi, non era eletto ma veniva nominato in via straordinaria e non poteva durare in carica più di sei mesi. Magistrati straordinari furono anche i tribuni militari con potestà consolare, periodicamente eletti tra il sec. V e il IV a. C., e i decemviri per la codificazione delle XII Tavole nel 451-450 a. C. Le magistrature erano aperte a tutti i cittadini di pieno diritto e di sesso maschile, ma in pratica vi potevano accedere solo esponenti delle grandi famiglie che avevano peso nel Senato. I magistrati esplicavano compiti amministrativi, giudiziari e militari. Quelli superiori, consoli, pretori e dittatori, avevano l'imperium sancito fino a tarda epoca da una legge emanata dal comizio curiato. Correttiva all'imperium, in origine pieno e illimitato, fu la graduale limitazione dell'esercizio di esso nella sfera militare, fuori di Roma: nella sfera giurisdizionale lo limitava invece la facoltà per i cittadini di appellarsi al popolo (provocatio). Il principio della collegialità comportante l'intercessio, il diritto cioè di opporsi agli atti del collega, impedì ogni tentativo sovvertitore della legalità. L'ordine di successione man mano fissato per rivestire le magistrature, l'età necessaria stabilita dalle leges annales per la presentazione delle candidature, gli intervalli di tempo fissati tra l'una e l'altra carica, dalla questura alla pretura al consolato (cursus honorum), valsero a contenere le ambizioni, anche se non mancarono abusi. Nessuna remunerazione, oltre le indennità per spese militari o di celebrazioni, spettava ai magistrati romani: il ricoprire le cariche pubbliche era considerato un dovere e un onore. Ciò però non impedì che i magistrati si arricchissero con le prede di guerra e le estorsioni ai provinciali. Quando le campagne di guerra furono condotte in territori lontani, i poteri del magistrato cominciarono a essere prorogati oltre l'anno di carica e nacque così l'istituto della promagistratura, la quale neutralizzò gli effetti della collegialità spianando la strada all'avvento del principato. Le magistrature sopravvissero però anche in età imperiale prima con poteri delegati, poi sempre più con compiti onorifici. Anche il sistema elettivo durato per qualche tempo finì presto con l'essere abbandonato e la scelta passò direttamente all'imperatore.
Diritto: generalità
Lo stato giuridico dei magistrati è regolato dal regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, che disciplina il potere di sorveglianza sui magistrati e l'eventuale procedimento disciplinare; garantisce l'inamovibilità del magistrato dalla sua sede: un magistrato giudicante non può essere, senza suo consenso, trasferito se non nei casi previsti dall'ordinamento giudiziario o quando, anche per causa indipendente da sua colpa, non possa “amministrare la giustizia nelle condizioni richieste dal prestigio dell'ordine giudiziario”. È necessario e vincolante il parere del Consiglio Superiore della Magistratura. In ordine poi alla sorveglianza sui magistrati, essa è esercitata dal ministro della Giustizia; l'azione disciplinare è promossa, su richiesta, dal ministro stesso, davanti al Consiglio Superiore della Magistratura. Il magistrato può incorrere nel procedimento disciplinare qualora manchi ai suoi doveri, o tenga in ufficio o fuori una condotta pregiudizievole alla sua carica o comprometta il prestigio dell'ordine giudiziario. La legge del 13 aprile 1988, n. 117, ha regolamentato la materia della responsabilità civile del magistrato. Chiunque abbia subito un danno in conseguenza di un fatto costituente reato, doloso o colposo, che sia stato commesso da un magistrato nell'esercizio delle sue funzioni può costituirsi parte civile nel processo a carico di questi citando solidalmente in giudizio anche lo Stato (art. 13, legge n. 117). Qualora il comportamento lesivo del magistrato non sia penalmente perseguibile, questi può essere dichiarato civilmente responsabile e obbligato al risarcimento del danno per violazione, commessa in stato di dolo o colpa grave, di una norma procedurale o sostanziale posta a tutela del diritto soggettivo del danneggiato. In tal caso l'azione risarcitoria può essere esercitata esclusivamente solo nei confronti dello Stato il quale conserva nei confronti del magistrato un'azione di rivalsa avanti il giudice ordinario ed esercita altresì un'azione disciplinare (art. 2, 7, 8, 9, legge n. 117).
Diritto: magistrato delle acque
Ufficio amministrativo per le province venete e di Mantova, dipendente dal Ministero delle Infrastrutture con sede in Venezia. Fu istituito nel 1907 (legge 5 maggio 1907, n. 257) e ha competenza territoriale sulle acque delle province venete e della provincia di Mantova entro i limiti stabiliti dalla legge; ha inoltre il compito di provvedere al buon governo delle acque pubbliche così nei riguardi del regime forestale come in quello delle opere idrauliche, del sistema delle bonifiche e del regime dei porti, del lido del mare e dei fari. Aveva anche funzioni di Provveditorato regionale alle opere pubbliche, ora trasferite alla Regione. § Magistrato per il Po, ufficio creato nel 1956 (legge 12 luglio 1956, n. 735) per lo studio di un piano di sistemazione delle acque del Po. Ha compiti uguali a quelli del magistrato alle acque, limitatamente alla sua giurisdizione ed è diretto da un presidente, affiancato da un vicepresidente, con l'assistenza di un comitato di tecnici e di amministratori.