L'Oriente bizantino
Da Teodosio II a Giustino
Morto Arcadio nel 408, fu eletto imperatore d'Oriente Teodosio II che dovette affrontare i problemi relativi al diffondersi di differenti dottrine relative alla natura di Cristo che minavano l'unità dell'Impero. Innanzitutto vi fu quella di Nestorio, che pure Teodosio aveva dapprima appoggiato, ma che in seguito alle pressioni della corte dovette far rinchiudere in un convento. Nestorio, patriarca della Chiesa orientale di Costantinopoli, aveva professato la dottrina secondo cui in Cristo, così come sussistevano due nature (divina e umana), sussistevano anche due persone corrispondenti. Tale dottrina era stata condannata nel Concilio di Efeso (431) in cui fu proclamato che le due nature costituivano una sola persona. Fu quindi la volta del monofisismo, dottrina del monaco Eutiche secondo la quale in Cristo vi sarebbe la sola natura divina. Papa Leone I ribadì le conclusioni del Concilio del 431, ma un unovo Concilio, tenutosi sempre a Efeso nel 449, abbracciò la posizione di Eutiche. Entrambi i concili erano stati convocati per iniziativa dell'imperatore a riprova dell'influenza che il dogma religioso esercitava sulla stabilità dell'Impero. In campo giuridico si deve a Teodosio l'emanazione (438) del Codice Teodosiano, la più importante raccolta di leggi romane prima di quella di Giustiniano. In politica estera, tra il 421 e il 422 sconfisse i Persiani e, accordatosi con gli Unni, li allontanò da Costantinopoli. Sotto Marciano, successore di Teodosio, nel 451, il Concilio di Calcedonia affermò la supremazia del patriarca di Costantinopoli nella Chiesa orientale e condannò il monofisismo che però rimase a lungo un elemento di contrasto sia con la sede di Roma sia all'interno dell'ortodossia orientale. Nel 474 salì al potere Zenone, dopo aver sconfitto un avversario sostenuto dai monofisiti. Per ristabilire la pace emanò un decreto che, presentandosi come un compromesso tra il monofisismo e le decisioni del Concilio di Calcedonia, apparve al papa come una nuova eresia. Zenone, intervenuto autoritariamente nelle questioni religiose, fu scomunicato dando inizio a una separazione trentennale con la Chiesa d'Occidente. A definire il rapporto tra Chiesa e Impero fu papa Gelasio I. In una lettera al successore di Zenone, Anastasio, affermò la distinzione delle sfere spirituale e temporale e la supremazia dell'autorità spirituale e la sua responsabilità di fronte a Dio nella cura dei fedeli. Al cesaropapismo si opponeva così la teocrazia (ovvero il potere divino, da Theós, “Dio” e kràtos, “potere”; tra i secc. XI-XIV la confusione fra le nozioni di autorità e potere, condurrà la Chiesa cattolica a svilupparsi sul piano temporale come una potenza fra le altre). La rappacificazione avvenne nel 519, sotto Giustino, successore di Anastasio.