La musica da camera
Di questo complesso e coerente evolversi stilistico le 32 sonate per pianoforte sono specchio fedele. Dopo le prime, che si iscrivono ancora nell'orbita stilistica di Haydn e Mozart, già con la Patetica (op. 13) Beethoven si dimostra in possesso di una completa autonomia creativa e ormai chiaramente indirizzato verso quella potenza drammatica che contraddistingue le grandi sonate del periodo centrale. Fra queste, sono universalmente note le palpitanti pagine di Al chiaro di luna (op. 27 n. 1), l'equilibrio delle 3 sonate op. 31, la luminosa serenità della Waldstein (op. 53), la forza evocatrice e lo slancio dell'Appassionata (op. 57), l'intento programmatico di Les adieux (op. 81a). Le sonate successive appartengono interamente all'ultimo, grande tempo dell'arte beethoveniana. Nei finali entrano con sempre maggiore frequenza episodi fugati, intesi come inevitabile sbocco di una tensione spasmodica accumulata nei movimenti precedenti, catarsi finale e liberatoria, in una dimensione musicale del tutto nuova, rarefatta e immateriale. Con la fuga finale della Hammerklavier (op. 106) la tensione drammatica del pianismo beethoveniano raggiunge l'apice, mentre nelle 3 sonate successive (opp. 109-111) il linguaggio si fa ancora più spirituale e astratto.
Parallelo alle sonate si dispone il processo evolutivo dei quartetti, composti in tre periodi stilisticamente molto differenziati. I primi 6, op. 18, sono ancora modellati secondo la tradizione classica; i 3 quartetti Rasumovskij (op. 59), l'op. 74 e l'op. 95 appartengono alla cosiddetta "seconda maniera"; gli ultimi 5 (opp. 127-135), più la Grande fuga op. 133, che portano ancor più lontano l'altissimo messaggio delle sonate per pianoforte, sono il frutto estremo dell'arte di Beethoven.