L'opera sinfonica
Anche nelle 9 sinfonie la linea di sviluppo appare altrettanto evidente. Le prime 2 non portano sostanziali novità rispetto alla contemporanea musica da camera, ma un'autentica rottura con il passato avviene con la Terza Sinfonia, detta Eroica (op. 55) e dedicata inizialmente a Napoleone. In questa sinfonia i tradizionali rapporti armonici sono dilatati al massimo, un'intensa marcia funebre sostituisce l'adagio e un formidabile scherzo conduce a un finale articolato in forma di variazioni e dotato di trascinante vigore. Dopo la serena parentesi della Quarta Sinfonia (op. 60), con la Quinta Sinfonia (op. 67) si assiste ancora una volta all'esplosione dell'epos beethoveniano. Una semplice ma straordinariamente incisiva cellula ritmica sostiene l'intero arco formale della composizione, evocando titanici contrasti fra elementi primordiali, che si concludono in gioiosa apoteosi, quasi manifestazione dell'inevitabile prevalere, nella visione idealistica ed eroica di Beethoven, dei valori positivi sulle disordinate componenti dell'irrazionale. La Sesta Sinfonia (op. 68) porta il nome di Pastorale, celebrazione panteistica della presenza divina nella natura. Perfetta nella sua strutturazione formale appare la Settima Sinfonia (op. 92), definita da R. Wagner un'apoteosi della danza per la sprizzante carica ritmica e la purezza cristallina del suo sviluppo, in singolare contrasto con la luminosa serenità dell'Ottava (op. 93), ripensamento in chiave ora nostalgica, ora ironica del sinfonismo classico haydniano.
Realizzata dodici anni dopo l'Ottava Sinfonia, la Nona Sinfonia (op. 125) rappresenta un altro momento culminante dell'arte di Beethoven. Dopo la tempestosa drammaticità del primo tempo, l'irruente vitalità dello scherzo e il caldo lirismo dell'adagio, alla dilatatissima orchestra si aggiungono nel finale 4 voci soliste e il coro per intonare l'Inno alla gioia di Schiller, appassionato appello alla fratellanza universale. Tale altissimo messaggio ispira anche la contemporanea Missa solemnis (op. 123), omaggio devoto a una divinità intesa come patrimonio comune di tutte le genti, al di sopra delle singole confessioni religiose.
In Beethoven sinfonismo e concertismo parlano linguaggi strettamente affini: il concerto viene sviluppato nella direzione di una maggiore drammaticità, evidente in primo luogo nel rapporto solista-orchestra, rispetto al modello classico.
Nei cinque concerti per pianoforte e orchestra il piano introduce, però, sfumature nel tessuto orchestrale e schiude prospettive inattese. Nei primi due concerti si ammira la fresca inventiva; nel terzo (op. 37) il drammatico dialogo fra il solista e l'orchestra; nel quarto (op. 58) la purezza poetica del linguaggio; nel quinto (op. 73), in cui pure non manca un terso lirismo, la solennità dello slancio eroico. Dolce lirismo, intimità espressiva e assoluta perfezione formale caratterizzano l'unico concerto per violino, op. 61. Le ouverture completano il quadro sinfonico.