Musica vocale: la scuola fiamminga

La scuola fiamminga è il movimento musicale predominante nell'epoca umanistico-rinascimentale, originario delle regioni della Francia settentrionale e dell'attuale Belgio, fiorito tra il 1450 circa e la fine del XVI secolo. Gli specialisti vogliono riconoscervi addirittura sei generazioni di autori, compresi fra due ampie fasi successive: la prima borgognona-fiamminga, la seconda franco-fiamminga. Principalmente, i suoi esponenti furono originari delle Fiandre, ma il movimento nel suo insieme ebbe carattere internazionale, in quanto i musicisti che l'espressero svolsero la maggior parte dell'attività in paesi stranieri e il loro stile si diffuse rapidamente in tutta l'Europa. Già all'inizio del Cinquecento, il nuovo linguaggio aveva trovato ampia eco in Francia, Germania, Italia, Inghilterra e Spagna, determinando nei singoli paesi la nascita di nuove forme e modi stilistici, in cui confluivano le caratteristiche delle singole tradizioni nazionali. Nella seconda metà del XVI secolo, gli stessi musicisti franco-fiamminghi si trovarono non solo nella condizione di doversi confrontare con i maggiori esponenti delle singole tradizioni musicali europee (si pensi, per l'Italia, ad autori come L. Marenzio, G.P. da Palestrina e C. Monteverdi), ma di accoglierne ampiamente atteggiamenti di gusto e di stile.

Nonostante la complessità e la varietà degli atteggiamenti stilistici ed espressivi propri della scuola fiamminga, dovute all'ampio arco di tempo nel quale essa si sviluppò e all'intricato scambio di rapporti e di influenze che ne caratterizzarono la storia, è possibile isolare alcuni tratti tipici e peculiari: in primo luogo, la creazione di uno stile basato sull'ideale equivalenza di tutte le parti del tessuto contrappuntistico e (con Josquin des Prés) sull'uso dell'imitazione rigorosa come mezzo per conferire organicità alla struttura compositiva. Lo sfruttamento delle più complesse tecniche contrappuntistiche si inserisce in una concezione estetica lucidamente intellettuale e speculativa: donde le compiaciute sottigliezze di scrittura, quali i canoni enigmatici, le composizioni cuiusvis toni (eseguibili, cioè, in qualsiasi modo gregoriano), le messe costruite su più chansons o su più canoni ecc., che hanno ingiustamente suggerito il giudizio di manieristico e arido intellettualismo. In realtà, la scuola fiamminga comprese alcune delle massime personalità della musica europea dei secoli XV-XVI: tra gli altri, J. Ockeghem, J. Obrecht, H. Isaac, J. des Prés, P. de la Rue, J. Mouton, A. Willaert, N. Gombert, J. Arcadelt, Clemens Non Papa, C. de Rore, P. de Monte, J. Kerle, Orlando di Lasso, J. de Wert, J. Regnart, G. de Macque.

 

Guillaume Dufay

Caposcuola della generazione borgognona-fiamminga, Guillaume Dufay (circa 1400 - Cambrai 1474) fu fanciullo cantore (puer altaris) presso la cattedrale di Cambrai e nel 1420 venne in Italia al servizio dei Malatesta a Pesaro e a Rimini; lo troviamo poi, dal 1428 al 1433, nella cappella pontificia a Roma, quindi a Firenze e a Bologna, dove il papa era fuggito in seguito ad agitazioni; dal 1437 al 1444 a Torino alla corte di Ludovico di Savoia, infine a Cambrai, con varie interruzioni. Uomo di grande cultura, Dufay assimilò tutte le esperienze musicali contemporanee, operando una prima sintesi fra il severo tecnicismo nordico e la cantabilità melodica e la chiarezza armonica tipicamente italiane. La sua produzione sacra comprende 9 messe complete, 32 mottetti, sequenze, inni, antifone e 37 frammenti di messe.

Le messe giovanili (Missa Sancti Jacobi, Missa Sancti Antonii Viennensis) seguono ancora la tipologia della messa in discanto o messa-cantilena, a 3 voci, con la più acuta (superius) melodicamente predominante sulle due inferiori, di natura strumentale; ma, a partire dalla Missa Caput (circa 1440) e nelle successive Se la face ay pale, L'homme armé, Ave Regina caelorum ed Ecce ancilla Domini, il musicista adotta e perfeziona il modello della messa ciclica, o su cantus firmus al tenor, a 4 voci (superius, altus, tenor e bassus), in cui le differenti sezioni dell'Ordinario sono elaborate su una melodia comune, presa a prestito dal repertorio gregoriano o extraliturgico, oppure creata ex novo. La messa Ave Regina caelorum è un capolavoro per la grazia melodica, la maestria del trattamento polifonico, testimonianza dello sforzo continuo, anche da parte dell'artista ormai maturo, di mantenere la sua opera costantemente nel segno di una profonda unità artistica.

Nei mottetti, a carattere sacro o politico-celebrativo, Dufay segue in genere la strada tracciata dai suoi predecessori, sia per quanto attiene alla politestualità, sia nella scelta dell'isoritmia, procedimento, peraltro, non esclusivo nella produzione mottettistica del compositore borgognone, il quale opta talora per il più libero stile in discanto (pratica del moto contrario, per cui quando in una composizione polifonica una voce sale, un'altra voce scende), già collaudato nelle messe; tra i più famosi si citano Vasilissa ergo gaude (dedicato a Cleofe Malatesta), Apostolo glorioso (per la consacrazione di Sant'Andrea a Patrasso, di cui P. Malatesta era arcivescovo), Ecclesiae militantis (per l'elezione al soglio pontificio di Eugenio IV nel 1431), Nuper rosarum flores (per la consacrazione del duomo di Firenze nel 1436).

Le chansons (87), che si segnalano per gli straordinari effetti di colore e per il nascente senso dell'armonia tonale, seguono lo schema arcaico con le due voci superiori abbinate, mentre la terza funge da sostegno: vi predominano nettamente i componimenti amorosi, redatti in forma di ballade, rondeau o virelai ed emblematici di una sensibilità raffinata, unita a una notevole educazione letteraria (Adieu m'amour, Se la face ay pale, Resvelons nous, Bon jour, bon mois, Ce moys de mai, Ma belle dame souveraine, Mon chier amy); a esse vanno aggiunte alcune canzoni con testo italiano, tra cui Dona y ardenti ray, Donna gentil, La dolce vista e la stupenda Vergine bella, su versi di F. Petrarca.

 

Johannes Ockeghem

Johannes Ockeghem (Termonde, Fiandre circa 1420/25 - Tours 1497) fu per oltre 40 anni al servizio della cappella del re di Francia. Tenuto in grandissima stima, ebbe molti riconoscimenti: come tesoriere dell'abbazia di Saint-Martin a Tours, una delle più alte cariche del regno, godette di molti privilegi, anche finanziari.

Considerato un compositore di primo piano già dai contemporanei, Ockeghem è la figura centrale della seconda generazione della scuola fiamminga, quella che segue a G. Dufay e precede J. des Prés (che per la morte di Ockeghem scrisse una celebre déploration). Artefice magistrale di un contrappunto di straordinaria ricchezza e complessità, per l'autonomia delle singole voci e la differenziazione di ritmi simultanei, nel XIX secolo Ockeghem fu ritenuto esponente di un arido tecnicismo, specialmente a seguito dello sfoggio virtuosistico nella Missa cuiusvis toni, nella Missa prolationum e nel Deo gratia a 36 voci suddivise in 6 cori a sei voci. Tuttavia, una più approfondita conoscenza della sua opera (19 messe, delle quali soltanto dieci sono complete, mentre le altre non comprendono tutte le sezioni dell'Ordinarium missae; un Requiem; una dozzina di mottetti; circa 20 chansons) ha portato al riconoscimento della ricchezza inventiva, della versatilità e libertà delle sue architetture sonore, ma anche dell'intensità e commozione, in particolare delle messe. Metà di queste (Caput, Ecce ancilla Domini, L'homme armé, De plus en plus) sono elaborate utilizzando l'antica pratica del cantus firmus, ove la melodia viene solitamente affidata al tenor, tranne qualche caso in cui compete al soprano. Altre messe (Mi mi, Quinti toni, Missa sine nomine) sono invece libere nell'andamento contrappuntistico e imitativo.

 

Josquin des Prés

Cantore presso il Duomo di Milano dal 1459 al 1472, Josquin des Prés, o Desprèz (forse nel Vermandois, Piccardia tra il 1450 e il 1455, Beaurevoir - Condé-sur-l'Escaut 1521) entrò più tardi a far parte della cappella del duca Galeazzo Maria Sforza e dal 1479 fu, con ogni probabilità, alle dipendenze del cardinale Ascanio Sforza (di qui il soprannome Josquin d'Ascanio datogli da S. Aquilano). Dal 1486 al 1494 appartenne alla cappella papale e nel 1503 entrò a servizio presso il duca Ercole I d'Este a Ferrara; visse poi stabilmente in Francia, fino al 1515 sotto la protezione di Luigi XII, e negli ultimi anni fu canonico prebendario del capitolo di Condé. Ebbe rapporti anche con la casa d'Asburgo e con Margherita d'Austria, reggente dei Paesi Bassi. La fama di cui Josquin godette già in vita è attestata dalla frequenza con cui il suo nome ricorre nelle edizioni a stampa, soprattutto dei primi due decenni del XVI secolo, e dal paragone che lo scrittore fiorentino Cosimo Bartoli istituì fra lui e Michelangelo Buonarroti.

Autore della terza generazione di fiamminghi, punto d'arrivo del processo di emancipazione dalla scrittura polifonica quattrocentesca verso una concezione che sarà propria del Rinascimento, egli aprì la via a una nuova considerazione del testo, instaurando una stretta interdipendenza tra parola e musica e associando alla rigorosa complessità dei procedimenti costruttivi una continua ricerca espressiva. Tale dialettica si traduce nell'alternanza tra episodi accordali ed episodi imitativi, nell'alleggerimento temporaneo dell'ordito contrappuntistico, nell'evidenza conferita agli elementi tematici più densi di significato e in una maggiore libertà dagli schemi metrici.

Delle 18 messe presenti nel suo catalogo, alcune seguono la tradizionale tecnica del cantus firmus (Ave maris stella, De beata Virgine, Missa di dadi, D'ung aultre amer, Faisant regretz, Gaudeamus, Hercules dux Ferrariae, La sol fa re mi, L'homme armé sexti toni, L'homme armé super voces musicales, Pange lingua ecc.), altre sfruttano invece il più recente procedimento della parodia (Fortuna desperata, Malheur me bat, Mater Patris); altre, infine, sono costruite su cicli di canoni (Ad fugam, Sine nomine).

Espressione altrettanto raffinata dell'arte di Josquin sono i mottetti (circa 85), la maggior parte dei quali sembra appartenere al periodo della maturità, e soprattutto le composizioni profane (una settantina), siano esse chansons, ormai affrancate dal vincolo delle cosiddette formes fixes (Adieu mes amours, Bergerette savoyenne, En l'ombre d'un buissonnet, Ma bouche rit, Mille regretz, Petite camusette), frottole in stile italiano (El grillo è buon cantore, Scaramella va alla guerra, In te Domine speravi), intonazioni di versi virgiliani (Dulces exuviae, Fama malum) o brani strumentali (Fortuna d'un gran tempo, Vive le roy, La Bernardina).

Un cenno a parte merita la bellissima deplorazione per la morte di J. Ockeghem, Nymphes des bois, su testo di J. Molinet.

 

Nicolas Gombert e Adrien Willaert

Compositore ormai cinquecentesco della quarta generazione dei fiamminghi, Nicolas Gombert  (Bruges circa 1500 - Tournai 1556) fece parte della cappella privata dell'imperatore Carlo V, al cui seguito viaggiò lungamente in Spagna, Italia, Germania e Austria. Dal 1540 risiedette forse a Tournai, della cui cattedrale fu canonico a partire dal 1534. Ultimo esponente della grande tradizione contrappuntistica fiamminga facente capo a J. des Prés, raggiunse nei suoi lavori (10 messe, circa 160 mottetti, 8 magnificat e una sessantina di chansons) un altissimo livello tecnico ed espressivo, esercitando una durevole influenza sui compositori contemporanei e sulle generazioni posteriori. Il suo stile è caratterizzato dall'imitazione continua, con la partecipazione pressoché costante di tutte le voci. La produzione religiosa, confacente al suo stile rigoroso e conciso, fu di livello assai superiore rispetto a quella profana.

Originario delle Fiandre, Adrien Willaert (Bruges circa 1490 - Venezia 1560) giunse in Italia, prima a Ferrara, alla corte del duca Alfonso I d'Este, poi a Milano, cantore presso l'arcivescovo Ippolito II d'Este, e infine a Venezia, maestro di cappella in San Marco dal 1527 fino alla morte. Nei quasi trentacinque anni della sua attività veneziana, affiancò alla sua attività di compositore il ruolo di pedagogo, insegnando per la prima volta in Italia la tecnica fiamminga e raggruppando attorno a sé una vera e propria scuola. Nell'ambito sacro scrisse 9 messe e più di 350 mottetti, mostrandosi in questi ultimi un vero maestro, padrone di tutte le tecniche conosciute: oltre all'attaccamento alle tradizioni fiamminghe (cantus firmus, costruzioni a canone), esibì apertura alla sensibilità italiana e interesse per tutte le modalità di scrittura polifonica. I Salmi spezzati (1550) esaltano il senso della prosodia nel canto dei salmi a 8 voci e la capacità straordinaria di suscitare effetti nella contrapposizione dei due cori. Fra i suoi allievi di maggior prestigio vanno ricordati: Cyprien de Rore, suo successore a San Marco, protagonista della prima grande fioritura del madrigale, autore di 5 messe, 87 mottetti, una Passione secondo S. Giovanni, 116 madrigali, vari magnificat; G. Zarlino, anch'egli maestro di cappella a San Marco, a sua volta didatta e compositore, noto soprattutto per i trattati di armonia; A. Gabrieli.

 

Orlando di Lasso

La formazione musicale di Orlando di Lasso, propriamente Roland de Lassus (Mons, Hainaut 1530/32 - Monaco 1594), è piuttosto oscura. Non si conoscono, infatti, i nomi dei suoi maestri, ma è certo che conobbe e fu influenzato dai grandi musicisti del suo tempo. Fu fanciullo cantore presso il viceré di Sicilia F. Gonzaga; poi, dopo il 1549, fu a Napoli e quindi maestro di cappella in San Giovanni in Laterano a Roma. Dopo un viaggio in patria, in Inghilterra e in Francia, nel 1557 si stabilì a Monaco, dapprima come tenore della cappella del duca Alberto V di Baviera, poi dal 1562-63 come maestro di cappella. Seguì il duca nei suoi viaggi attraverso l'Europa, venendo a contatto con esperienze musicali diverse e godendo del favore delle grandi corti.

La sua vastissima produzione abbraccia quasi tutti i generi musicali dell'epoca, comprendendo circa 700 mottetti, 58 messe, poco meno di 200 madrigali, 33 villanelle, più di 90 Lieder tedeschi, circa 150 chansons. Lasso godette del privilegio della stampa fin dalle sue prime raccolte di mottetti, pubblicate ad Anversa nel 1556, e dal I libro di Madrigali a 5 voci, edito a Venezia da A. Gardano nel 1555. Vi si ravvisa una sintesi delle tradizioni fiamminga, francese, italiana e tedesca, sotto il segno di una personalità creatrice libera ed estrosa. Insieme con G.P. da Palestrina, Lasso è figura dominante della sua generazione: delle profonde differenze che lo separano dal musicista italiano si può considerare emblematica, nel campo della musica sacra, l'importanza preminente che assume in lui, rispetto alla messa, il mottetto, scritto per due sino a otto voci. In questo genere di composizione, Lasso riesce a dimostrare come la musica possa trarre dal testo l'essenziale della sua sostanza espressiva senza assoggettarvisi. Padroneggiando magistralmente le risorse della scrittura madrigalistica, egli fa risaltare con tutta la finezza della propria arte anche le minime intenzioni descrittive o emotive del testo. Gli effetti di questa maestria sono apprezzabili sia seguendo il profilo armonico cromaticamente impreziosito, sia nei contrasti ritmici e nella melodia dalle linee fantastiche e inconsuete. Nella sua evoluzione stilistica, il compositore accoglie inizialmente esperienze intense e complesse, con una forte e raffinata caratterizzazione psicologica, per volgersi poi a un linguaggio più rarefatto, caratterizzato da un'essenzialità rigorosa. Il suo linguaggio contrappuntistico preannuncia, per qualche aspetto, lo stile recitativo della monodia affermatasi nel decennio successivo alla sua morte.