Forme dell'arte vocale in Italia: il madrigale
La vita musicale italiana è sorretta, lungo tutto il suo itinerario quattro-cinquecentesco, dall'ausilio del mecenatismo dovuto a personalità "illuminate", quali i Medici a Firenze, gli Este a Ferrara, gli Sforza a Milano, solo per ricordare i ceppi familiari più noti, mossi da autentico amore per l'arte e dal rispetto degli artisti, concretizzato in sostegni economici, committenze, fondazioni di accademie: il fervore fu intenso e materialmente partecipe. Fu da questo ambiente favorevole che maturò l'età aurea del madrigale. Sul piano musicale, questa fioritura ebbe una premessa importante in un'arte vocale polifonica profana fortemente radicata nella tradizione locale, la frottola.
La frottola
Genere vocale di origini umili, ma d'importanza notevole nella musica italiana del XVI secolo, la frottola, talora detta anche barzelletta o strambotto, era già praticata dalla fine del XV secolo. Era scritta per lo più a 4 voci, in stile accordale, con andamenti melodici e ritmici incisivi e di immediata orecchiabilità. Il tipo di scrittura consentiva sia l'esecuzione a 4 voci (spesso con intervento di strumenti), sia a voce solista (che cantava la parte più acuta) e liuto (che raccoglieva le parti inferiori). Fiorita alla corte di Isabella d'Este a Mantova con M. Cara, B. Tromboncino e M. Pesenti, la frottola si diffuse presso le corti italiane centro-settentrionali.
Nella sua fluida naturalezza e nella semplicità delle sue strutture melodiche, abbandonata ogni pretesa colta o intellettuale, la frottola fu importante perché dimostrava la possibilità per la poesia di congiungersi anche a una forma semplice, con un ritmo vivo e una sequenza regolare. Dalla musica colta essa derivò la scrittura polifonica, ma spogliandola di ogni intellettualismo: sostituì melodie concise al contrappunto imitativo, stabilite su ritmi precisi, ricavati direttamente dalla lettura del testo poetico; privilegiò l'aspetto ritmico, mentre conferiva alla voce superiore una netta prevalenza melodica, che si rendeva ancora più evidente nelle trascrizioni per voce e liuto.
I percorsi del madrigale
Il madrigale rinascimentale si sviluppa, a cominciare dal 1530 circa, dall'incontro fra il repertorio italiano della frottola, di impostazione armonico-accordale, con prevalenza della voce superiore, e la sensibilità contrappuntistica dei maestri fiamminghi. La struttura strofica della frottola si trasforma in un organismo musicale aperto, che si modella, momento per momento, sul contenuto sentimentale e immaginativo del testo. Quest'ultimo, a sua volta, abbandona il tono popolaresco e assume quello più raffinato della lirica illustre, sul modello di Petrarca. Nel Rinascimento, il madrigale ricerca un rapporto sempre più stretto, penetrante e incisivo fra parola e musica: se quest'ultima non rinuncia, nei primi esempi (di C. Festa, P. Verdelot, J. Arcadelt), alla ricerca di un'autonoma armonia architettonica, con A. Willaert, C. de Rore, P. de Monte, Orlando di Lasso essa tende a illustrare le più riposte sfumature del testo attraverso l'uso del cromatismo, del contrappunto, dell'armonia, del timbro. Mentre L. Marenzio, nelle ultime opere, e C. Gesualdo portano la poetica del madrigale cinquecentesco a una sorta di lucido delirio manieristico, C. Monteverdi avvia la forma verso esiti completamente nuovi, attraverso l'uso dello stile concertato per voci e strumenti, della monodia e infine, come nel Combattimento di Tancredi e Clorinda, con l'ausilio della dimensione scenica (quest'ultima sottintesa nell'interessante esperienza del madrigale dialogico, di tono popolaresco, coltivato da O. Vecchi, G. Croce, A. Banchieri).
Il madrigale toccherà così i più alti vertici estetici della sua storia, ma concluderà anche (intorno alla metà del XVII secolo) l'arco del suo sviluppo. Certe sue caratteristiche (a cominciare dallo strettissimo rapporto fra dimensione verbale e dimensione musicale) passeranno in altre forme e, in particolare, in quella della cantata da camera.
L'apogeo del madrigale: Marenzio
Luca Marenzio (Coccaglio, Brescia circa 1553 - Roma 1599) visse prevalentemente a Roma, dapprima (1572-78) al servizio del cardinale Cristoforo Madruzzo, poi (1578-85) di Luigi d'Este. Nel 1589 partecipò a Firenze alle feste per il matrimonio tra Ferdinando de' Medici e Cristina di Lorena con due intermedi (La gara fra Muse e Pieridi e Il combattimento poetico di Apollo). Tornato a Roma, nel 1589 fu al servizio degli Orsini e del cardinale Montalto. Nel 1595 passò alle dipendenze del re Sigismondo III di Polonia: tuttavia, non si conoscono con sicurezza notizie del suo soggiorno in quel paese. Nel 1598 Marenzio era a Venezia, l'anno dopo a Roma (probabilmente come musicista della cappella papale), dove morì.
La fama di Marenzio è essenzialmente legata alla sua produzione madrigalistica, che rappresenta un momento culminante della fase più matura e raffinata del madrigale. In essa l'impiego magistrale della più ricca e complessa scrittura contrappuntistica cinquecentesca è posto al servizio di un'attenta ricerca espressiva, di un'invenzione estremamente varia e sciolta, sostanzialmente mantenuta all'interno di un'ispirazione legata agli equilibri rinascimentali: in tal senso Marenzio si differenzia dagli altri maggiori madrigalisti della sua età ed è estraneo alle febbrili ricerche di C. Gesualdo di Venosa (e alle sue più intense sperimentazioni cromatiche) e all'interesse di C. Monteverdi per il nuovo linguaggio monodico. Accanto ai 419 madrigali (raccolti in un libro a 4 voci, 9 libri a 5 voci, 6 libri a 6 voci e altri volumi), vanno ricordate le raffinate villanelle (118 in 5 libri), che come i madrigali ebbero larga diffusione anche fuori d'Italia, e la produzione sacra, quantitativamente più scarsa (e in parte perduta), ma non poco rilevante (se ne conoscono 77 mottetti).
Espressionismo e declamazione: Gesualdo
Carlo Gesualdo, principe di Venosa (Napoli circa 1560-1613) e nipote per parte di madre di Carlo Borromeo, si rese celebre per due episodi: l'uccisione della giovane moglie Maria d'Avalos, colta in flagrante adulterio con l'amante Fabrizio Carafa (1590), e il secondo matrimonio con Eleonora d'Este, nipote del duca Alfonso II (1594). Formatosi alla scuola di qualche maestro napoletano che frequentava la casa del padre (forse P. Nenna, G. L. Primavera o G. de Macque), con il trasferimento alla corte di Ferrara Gesualdo varcò la soglia dell'accademia musicale più aristocratica ed esclusiva del Rinascimento, dove operavano T. Tasso, G. B. Guarini, L. Luzzaschi e G. de Wert. Compositore estroso e personalissimo, scrisse 6 libri di madrigali a 5 voci (i primi quattro pubblicati a Ferrara tra il 1594 e il 1596, gli ultimi due a Gesualdo, vicino a Napoli, nel 1611), 2 libri di mottetti e uno di responsori, più alcuni madrigali a 6 voci, pubblicati nel 1626 da M. Efrem, e le canzonette a 5 voci che Nenna incluse nel suo Ottavo Libro di Madrigali (1628).
Ciò che caratterizza i madrigali di Gesualdo è un atteggiamento espressionistico, che si manifesta attraverso la continua alternanza di ombre e luci, di contorcimenti cromatici, di salti melodici dissonanti e di successioni accordali audaci e imprevedibili, ai quali il compositore affida il compito di svelare l'ineffabilità del dolore, della speranza o della gioia. In ogni caso, il risultato fonico resta sorprendente, sottolineato com'è da uno stile vocale declamatorio che si discosta tanto dall'esperienza precedente di L. Marenzio, quanto dal suo contemporaneo C. Monteverdi.