Goethe

Il Faust

A quest'opera vastissima e complessa, dall'autore definita “tragedia” ma che tale a rigore non può essere considerata benché abbia forma dialogata, l'autore lavorò per più di sessant'anni, dal 1770 al 1832. Quando, nel 1775, Goethe arrivò a Weimar, lesse pubblicamente alcune parti del Faust che, ricopiate da una dama di corte, e pervenuteci solo nella sua trascrizione, vennero pubblicate nel 1887 con il titolo di Urfaust, e costituiscono la prima, romantica versione dell'opera, più tesa e compatta della redazione finale. La vicenda riprende una leggenda sorta intorno all'alchimista Johann Faust, misteriosamente scomparso intorno al 1540, e già oggetto di narrazioni popolari e di una notevole tragedia dell'inglese C. Marlowe. Con Faust Goethe crea un personaggio caratterizzato da un'inesausta sete di sapere e da una romantica tensione verso l'infinito. Per soddisfare questa tensione Faust, dopo aver meditato il suicidio in un grande monologo notturno, accondiscende a un patto con Mefistofele, al quale cederà l'anima non appena gli avvenga di dire all'“attimo fuggente: Arrèstati, sei bello!”, ossia quando abbia soddisfatto il suo desiderio di una piena realizzazione umana. Faust finisce per invocare l'attimo fuggente nel momento in cui gli balena la visione di sé abitante “sovra il redento suolo / fra un popolo redento”. Ed è quest'ultima aspirazione che, anziché dannarlo come Mefistofele spera, lo salva: “Colui che insonne lotta per ascendere, / noi lo possiam redimere”. La felicità suprema consiste dunque proprio in quella infinita tensione che lo aveva condotto alla disperazione e al patto con il demonio. Opera epica ed enciclopedica, in cui spesso le esigenze simboliche (dominate dal contrasto luce/tenebre) prevalgono su quelle dello sviluppo drammatico, il Faust presenta una notevole varietà metrica: dal Knittelvers, verso di nove sillabe alla tradizione popolare cinquecentesca, al Madrigalvers, alternativamente breve e lungo, molto usato nelle parti dialogate, al Blankvers, endecasillabo shakespeariano. Rime, allitterazioni, assonanze tipiche della tradizione tedesca, conferiscono all'opera una notevole sonorità che, in alcuni momenti (per esempio “La stanza di Greta”), non disdegna la facile musica della canzone.