Tacito
- Introduzione
- La vita
- Le opere minori
- Le opere maggiori: Historiae e Annales
- Contenuto delle Storie
- Contenuto degli Annali
- Riepilogando
Le opere maggiori: Historiae e Annales
Le Historiae (Storie) dovevano abbracciare le vicende dell'impero dall'avvento di Galba (69) alla morte di Domiziano (96): restano solo i libri I - IV e parte del V. Distribuendo la materia secondo la tradizione annalistica, Tacito, presumibilmente proseguendo una precedente storia, inizia la sua narrazione dal 1° gennaio del 69, pochi giorni prima della morte di Galba. Posteriore è la composizione degli Annales (Annali) che, partendo dal 14, anno della morte di Augusto (l'opera nei manoscritti che la conservano è intitolata Ab excessu divi Augusti, Dalla morte del divo Augusto), dovevano giungere alla morte di Nerone (68), ricongiungendosi dunque alla materia trattata nell'opera precedente. Degli Annali restano interi i libri I - IV, un frammento del V e parte del VI e i libri XI - XVI, di cui l'XI lacunoso e il XVI mutilo. Complessivamente Storie e Annali comprendevano, stando alla testimonianza di san Gerolamo, 30 libri: non se ne conosce tuttavia l'esatta partizione, perché secondo alcuni le Storie erano composte di 14 libri e gli Annali di 16, e secondo altri rispettivamente di 12 e di 18 libri.
- Lo storico
Accingendosi alla composizione delle Storie, Tacito delinea il fosco scenario della materia che si accinge a trattare "una storia densa di vicende, terribile per le battaglie, torbida di sedizioni, tragica anche nella pace" e, dopo aver professato l'obiettività della propria visione, esente sia da ostilità preconcetta sia da indulgente cortigianeria, dichiara di riservarsi per la vecchiaia la trattazione del periodo di Nerva e Traiano, un'età più felice, in cui, per l'inconsueta "fortuna" è lecito "pensare ciò che si vuole e dire ciò che si pensa". Invece, negli Annali, l'autore riprende dagli inizi la storia del principato romano, concentrandosi sulle sue origini e sui suoi primi protagonisti: Augusto, Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone. Nella visione di Tacito il passaggio dalla travagliata età repubblicana all'età imperiale era stata una necessità storica e politica per superare i drammatici conflitti determinatisi con le guerre civili, indispensabile al mantenimento della pace e utile per il benessere delle province: "il corpo immenso dell'impero non può stare ed equilibrarsi senza un reggitore", scrive nelle Storie. Non resta dunque che sperare in un principe illuminato, che si può avere soltanto se la successione avviene per adozione, come aveva fatto Nerva con Traiano. Ma con il nuovo assetto si era fatalmente estinta la libertà repubblicana e si era spento via via ogni residuo di dignità morale, sia per la degenerazione del Senato, di cui l'autore fa parte, sia soprattutto per le nefandezze degli imperatori, che lo storico tratteggia con drammatica forza espressiva in una galleria di tragici profili, dei quali alcuni critici hanno sottolineato l'eccessiva deformazione grottesca: Tiberio sospettoso e astutamente falso, Claudio imbelle e dominato dalle mogli, Nerone dissoluto e istrione.
Negli Annali la visione tacitiana diventa totalmente pessimistica e tragica e non risparmia né i protagonisti, i soli artefici della storia, né le masse, inconsapevoli, influenzabili, spesso inclini alla violenza, giudicate dall'alto di una concezione severamente e sprezzantemente aristocratica. Tacito traccia un'approfondita analisi psicologica dei personaggi attraverso i loro comportamenti e le situazioni in cui si trovano ad agire.
- Lo stile e la fortuna
La scrittura di Tacito, intensa e di grande suggestione artistica, è originalissima; la prosa, concisa e allusiva, predilige le ellissi, le metafore violente, la varietas (dissimmetria) con mutamenti inaspettati di struttura e nell'ordine delle parole. Il lessico alterna termini arcaici e solenni, poetici, di origine popolare e introduce nuove sfumature semantiche. I suoi ritmi, rapidi e spezzati, contrastano con la calibrata euritmia e perfezione formale del gusto ciceroniano. L'incontestata eccellenza artistica dell'autore, comunque, non può portare a svalutare il significato e la grandezza della sua analisi del mondo romano, come pure è accaduto da parte di alcuni critici. Alla lezione di Tacito, storico di un'età di "tiranni", si richiamò F. Guicciardini nei Ricordi.