La poesia lirica

Forme della poesia lirica

Le origini della poesia lirica si perdono nella notte dei tempi e di essa ci restano solo le figure di mitici cantori, Lino e Orfeo, conservate dalla memoria collettiva. Già i poemi omerici segnalano la presenza di varie esecuzioni liriche (canti funebri, inni agli dei, imenei, canzoni di lavoro) e testimoniano come la lirica greca nasca dall'unione di più elementi (il canto, la musica e la parola) e per questo costituisca un genere letterario aperto a diverse soluzioni. Gli antichi distinguevano due tipologie di poesia lirica: la lirica monodica (da mònos odè, canto a solo), intonata da un singolo esecutore e la lirica corale, eseguita da un coro. Al di là di questa distinzione, tuttavia non sempre netta, la lirica greca si articola in una pluralità di forme sulla base del metro, delle modalità di esecuzioni e delle occasioni in cui la performance viene eseguita. I principali sono: l'elegia, il giambo, l'epinicio, il ditirambo, l'inno, l'epitamio, lo skólion (canto simposiale) e il thrénos (canto funebre).

L'elegia

Si contraddistingue dall'uso esclusivo del metro detto appunto elegiaco, che consiste in un distico formato da un esametro e da un pentametro: l'esametro è il verso già canonico nell'epica, mentre il pentametro nasce dalla giustapposizione di due emistichi (da èmi stíchos, metà verso). Incerta è l'etimologia del termine: gli antichi lo collegavano al sostantivo élegos (in greco, lamentazione, pianto funebre), ma non vi è traccia di temi di questo genere nei primi testi elegiaci pervenuti. Gli studiosi moderni propendono, invece, per collegare il termine a un vocabolo, non greco, che significherebbe “canna”, quindi “flauto”: in effetti, l'elegia antica veniva di solito eseguita con l'accompagnamento musicale di questo strumento.

Apparsa nell'ambiente della Ionia verso la fine del sec. VIII a.C., l'elegia fu prevalentemente legata all'ambito del simposio. Vari ne furono i temi: dall'esortazione al valore guerriero (Callino, Tirteo), all'esposizione di concezioni politiche (Solone, Teognide), all'espressione di sentimenti individuali (Mimnermo). Dopo la fioritura in età arcaica, l'elegia ebbe grande espansione nell'ellenismo, soprattutto con Callimaco, rispecchiandone il gusto per l'erudizione e per la raffinatezza formale.

Il giambo

Con il termine íambos (giambo), gli antichi indicarono sia un tipo di metro, costituito dall'unione di una sillaba breve e da una lunga, sia un genere di poesia lirica caratterizzato dalla mordacità e dall'aggressività dei contenuti, che trovavano la loro metrica d'elezione nel trimetro giambico, metro che gli antichi sentivano vicino al ritmo concitato del linguaggio parlato. Fra gli autori di poesia giambica spiccano in età arcaica Archiloco, Semonide di Amorgo e Ipponatte, che composero in dialetto ionico. In età ellenistica scrisse giambi anche Callimaco, se pure in toni più distesamente narrativi. Di intonazione pacata, piuttosto che concitata, sono anche i carmi in metro giambico di Catullo e, soprattutto, di Orazio.

L'epinicio

Il nome di questa particolare forma lirica deriva da epiníkion [mélos] ([canto] sulla vittoria). L'epinicio veniva perlopiù cantato coralmente e celebrava i vincitori dei giochi sportivi panellenici (le Olimpiadi, prime fra tutti) sia dopo la loro vittoria sia al loro ritorno in patria. Gli epinici sono composti di triadi suddivise in strofe, antistrofe ed epodo. Ne furono celebri autori Simonide, ma soprattutto Pindaro e Bacchilide.

Il ditirambo

Il ditirambo (dithýrambos) è un canto corale, accompagnato dal suono del flauto (aulós) e dalla danza, dedicato al dio Dioniso e strettamente connesso al suo culto. Secondo Erodoto, ne fu “inventore” il poeta Arione (sec. VII), che vi avrebbe introdotto parti recitate da satiri, in metri giambici e trocaici, alternandole al canto del coro. Tale notizia si collega con la testimonianza della Poetica di Aristotele, secondo il quale la tragedia ebbe inizio “da coloro che guidavano il ditirambo” e che si contrapponevano al coro, dialogando con esso. Il ditirambo costituirebbe dunque il nucleo originario, l'embrionale elemento “drammatico” (da drâma, azione) della tragedia.

L'inno

Genere di poesia essenzialmente religiosa, l'inno, accompagnato dal canto e dalla danza, è destinato alla celebrazione rituale di dei, eroi, forze della natura. Nell'Odissea di Omero compare per la prima volta il termine “inno” (hýmnos) e l'Iliade, nel I libro, fornisce un esempio di questo genere con i versi dedicati ad Apollo. Essi contengono, fra l'invocazione e la preghiera, una parte narrativa, destinata a diventare preponderante nei componimenti di età successive. Fra l'VIII e il VI sec. a.C. si ricordano i 33 inni omerici, componimenti attribuiti dalla tradizione fino all'età alessandrina a Omero, ma in realtà, composti da vari poeti rimasti anonimi. Chiamati proemi, non erano, però, destinati al culto. Erano composte nei metri e nello stile dell'epica, ma, essendo privi di elementi lirici, si riducono piuttosto a racconti, quali potevano essere recitati dai rapsodi nelle festività. Con l'avvento della lirica corale, il genere assume metri nuovi e tematiche proprie della poesia commissionata e voluta da personaggi illustri.

L'epitalamio

È la forma della lirica corale greca, con cui si festeggiavano o celebravano gli sposi la sera delle nozze o il mattino successivo, il nome deriva da epithalámios [hýmnos], inno cantato davanti [epí] alla camera nuziale [thálamos]. Si distingueva dall'imeneo, che invece veniva cantato mentre si conduceva la sposa alla casa dello sposo. Celebri gli epitalami di Saffo in età classica e di Callimaco e Teocrito in età alessandrina.

Lo skólion e il thrénos

Entrambi sono canti lirici ma erano destinati a due diverse occasioni: lo skólion (canto simposiale) era composto per essere cantato durante feste private e banchetti; il thrénos (canto funebre) era recitato durante funerali, per commemorare il defunto.