La Critica della ragion pratica
La Critica della ragion pratica (1788) si propone la ricerca delle condizioni della morale. Nell'uomo è presente una legge morale (definita un "fatto della ragione") che comanda come un imperativo categorico, ossia incondizionatamente. Questa legge del dovere comanda per la sua forma di legge, come norma che prescrive di obbedire alla ragione, e perciò a differenza della "massima" (la regola di condotta individuale) deve essere universale, principio oggettivo valido per tutti: indica come fine il rispetto della persona umana e afferma l'indipendenza della volontà come pure l'autonomia della ragione. "Il dovere per il dovere" indirizza così a quell'ordine morale, "regno dei fini", in cui il valore di un'azione dipende dalla conformità della volontà alla prescrizione della legge morale. Postulati della legge sono innanzitutto e fondamentalmente la libertà (se l'uomo non fosse libero non ci sarebbe moralità), l'immortalità dell'anima (perché nel nostro mondo non si realizza mai la piena concordanza della volontà alla legge che rende degni del sommo bene) e l'esistenza di Dio (che fa corrispondere la felicità al merito acquisito). Così le idee della ragione (anima e Dio), solo pensabili nella Critica della ragion pura, ora si presentano come "postulati" della moralità.