La Critica del giudizio
Tra il mondo fenomenico, di cui si dà scienza, e il regno dei fini, sottratto al determinismo e del tutto libero, c'è eterogeneità, eppure il mondo noumenico (cioè "pensato quale deve essere secondo i dettami della legge morale") deve avere qualche riflesso su quello sensibile affinché la libertà possa attuarvisi.
L'attività del giudizio, argomento della Critica del giudizio (1790), deve proprio scorgere questo riflesso del regno dei fini sul mondo fenomenico e lo può fare in due modi: o come "giudizio determinante", o come "giudizio riflettente". Il caso del giudizio determinante è quello del giudizio gnoseologico e morale, in cui è già data una norma universale che permette all'intelletto e alla volontà di "determinare" il particolare, ossia il dato della scienza o l'azione della morale, "sussumendolo" sotto le categorie dell'intelletto o sotto la legge morale (per esempio: la trasformazione dell'acqua in ghiaccio è causata dal freddo; questa azione è giusta). L'esigenza del giudizio riflettente consiste nel fatto che, dato il molteplice empirico, bisogna trovare il suo principio unitario, la finalità della natura, formulato dalla facoltà di giudizio "riflettendo" su se stessa e sulla propria esigenza di unità. Il giudizio riflettente può essere estetico, riguardante la bellezza, e teleologico, o finalistico, riguardante gli scopi della natura: entrambi si fondano sulla finalità, ossia su un rapporto di armonia e di accordo reciproco fra parti, e non sono conoscitivi.