Antropologia ed etica
L'interesse di Socrate è rivolto, come per i sofisti, all'uomo e al suo comportamento e assume un atteggiamento antitradizionalista e razionalista che pone nel soggetto il criterio di verità. Diversamente dai sofisti, però, la filosofia per Socrate non è semplicemente una tecnica al servizio dell'utile, ma deve perseguire la verità, ponendosi finalità etiche di tipo universale, cioè valevoli per tutti gli uomini. Pertanto Socrate ricerca, fin dall'inizio, un aspetto della natura dell'uomo (fondamento antropologico) che giustifichi ogni possibile etica e politica. Questo fondamento Socrate lo trova nel concetto di anima (psyché), intesa come l'io consapevole e la personalità morale e intellettuale.
Da ciò deriva tutta la morale socratica e innanzitutto l'impegno dell'uomo a riconoscere con esattezza quale sia la propria essenza (cioè a "conoscere se stesso"), per curarla e potenziarla. La morale socratica, allora, si riduce a una cura dell'anima-intelligenza attuata attraverso la conoscenza. Consequenzialmente Socrate riduce tutte le virtù alla sola conoscenza e al sapere: l'autodominio è concepito come il dominio della ragione sugli istinti; la libertà come una fuga dalle passioni; l'autarchia come l'affermazione che la ragione e la virtù bastano da sole a guidare l'uomo e, in una nuova dimensione interiore, a dare la felicità (in greco: eudaimonía). Certamente, questo privilegio concesso alla ragione finisce con l'attenuare il ruolo della volontà, vincolando l'agire umano a una sorta di determinismo logico, che porta a conclusioni paradossali, come quella che afferma che nessuno pecca volontariamente, o che basta conoscere il bene per metterlo in atto. Questa forma di intellettualismo dipende dall'identificazione dell'anima con l'intelligenza e della virtù con la scienza.