La filosofia come scienza del fondamento
Questi due aspetti si precisano ulteriormente: il passo citato dalla Repubblica sull’aspirazione “all’intero e alla totalità” continua definendo il filosofo “mente in cui alberga la possibilità straordinaria di vedere tutto il tempo e tutto l’essere”: in questo modo si richiama alla vocazione originaria del pensiero greco. Aristotele, nella Metafisica, parlando degli inizi, dice che il passaggio dal pensiero mitico a quello filosofico si era verificato con l’affermazione di un “principio unico, causa di tutte le cose che sono”. È quello che fa Talete, il primo nella lunga serie dei filosofi, ma che emerge più consapevolmente con Eraclito, il quale a un tempo connette il tema dell’intero con quello della saggezza. Sempre Aristotele distingue la filosofia da ogni scienza che si occupi di una determinata parte dell’essere, definendola come la ricerca delle cause prime e come quella contemplazione del divino che in se stessa è anche principio di vita. Questa prospettiva e quella platonica che le resta sottesa saranno riprese per diverse vie nel Medioevo, quando però il divino viene primariamente incontrato nella rivelazione cristiana. In quanto scienza del divino, la filosofia sarà allora intesa come disposizione e come riflessione interna alla vita di fede, e quindi “ancella della teologia”, per chiarire quello che nelle verità di fede è accessibile alla ragione. Nella scolastica medievale, questa definizione si articola diversamente, nel modo di una maggiore o minore dipendenza dai contenuti di fede. La sistemazione più influente del nesso filosofia-fede si trova in Tommaso d’Aquino, per il quale la filosofia esercita una funzione di ancella ma nell’autonomia e nella proprietà del suo metodo.