Cloud Seeding e l'inseminazione delle nuvole: come funziona la pioggia artificiale
Creare precipitazioni artificialmente è oggi possibile. Ma il fenomeno non è privo di rischi. Ecco tutto quello che c’è da sapere sull’argomento tra teorie cospirazioniste e fake news
È possibile "inseminare" le nuvole per innescare piogge a comando? Negli ultimi decenti si è sentito spesso parlare di cloud seeding soprattutto in relazione a regioni del Medio Oriente e della Cina. Per combattere la crescente siccità anche gli Emirati Arabi avrebbero iniziato a usarla sin dal 2002. Ma cos'è esattamente il cloud seeding e quali conseguenze può avere sull'ecosistema? Ecco tutto quello che c'è da sapere sul tema.
Cos'è il cloud seeding?
Il termine cloud seeding significa letteralmente inseminazione delle nuvole. Ma come funziona? Si tratta di una tecnica di stimolazione artificiale atta a produrre precipitazioni atmosferiche. Questo sistema è capace non solo di cambiare la quantità di pioggia, ma anche il tipo di precipitazioni. Ciò è reso possibile dalla diffusione di getti di ioduro d'argento e ghiaccio secco all'interno di alcune nuvole precedentemente individuate e considerate adatte allo scopo. L'iniezione delle sostanze è fatta per creare dei nuclei di condensazione attorno ai quali possono formarsi e aumentare le goccioline d'acqua. In questo modo, aumentano anche le probabilità di far piovere o nevicare in una data area geografica.
Il primo a pensare al cloud seeding è stato il chimico e meteorologo statunitense Vincent Schaefer alla fine della Seconda guerra mondiale. Infatti, nel novembre 1946, dopo aver condotto diversi studi ed esperimenti sulla formazione del ghiaccio in alta quota, Schaefer riuscì a stimolare la formazione di cristalli di ghiaccio tramite la dispersione di ghiaccio secco all’interno di una nube nelle montagne del Berkshire, in Massachusetts. L'idea nacque grazie anche alla collaborazione con fisico e chimico statunitense Irving Langmuir che, nel 1932, aveva vinto il premio Nobel per le sue ricerche nell’ambito della chimica delle superfici. Entrambi lavoravano nell’impianto di ricerca industriale della General Electric, a Schenectady, nello stato di New York.
Come funziona e perché si fa
Il processo di cloud seeding prevede quattro diverse fasi. La prima riguarda il monitoraggio delle condizioni meteorologiche. Gli esperti tengono sotto controllo le condizioni atmosferiche per intercettare i momenti e le aree più adatte per il cloud seeding. Venti e cumuli di nuvole vengono esaminati al fine di individuare le situazioni più congeniali al trasporto e rilascio delle "sostanze inseminatrici".
Poi c'è la selezione delle aree obiettivo, fatta in base alle previsioni meteo. Solo dopo il monitoraggio e la valutazione, vengono individuate le aree specifiche che possono maggiormente beneficiare del processo di cloud seeding.
La dispersione delle particelle è la fase cruciale del processo. Viene effettuata attraverso appositi velivoli, attrezzati per raggiungere le nuvole obiettivo. Una volta raggiunta la zona, le sostanze vengono rilasciate nelle nuvole attraverso appositi dispositivi di dispersione.
Infine, gli esperti passano a monitorare e valutare l'operazione, attendendo le precipitazioni. I dati ottenuti dall'intero processo non servono solo a valutarne il successo, ma anche l'efficacia del cloud seeding, al fine di migliorare anche le future operazioni.
I rischi dell'inseminazione delle nuvole
L'inseminazione delle nuvole non è esente da rischi, tanto che da diversi anni è in corso un dibattito sulle conseguenze di questa tecnologia sull'ecosistema. Infatti, si teme che l'inseminazione delle nuvole possa alterare i modelli naturali di precipitazione. In più, si teme anche che le sostanze spruzzate per attivare le precipitazioni possano aumentare l'inquinamento atmosferico.
Ultimo ma non meno importante, il cloud seeding pone un dilemma etico. Può l'uomo sostituirsi alla natura per manipolare eventi meteorologici? Di sicuro lo sta già facendo, ma a vantaggio di alcune specifiche regioni del mondo. Ciò aumenterà la disparità sociale ed economica delle zone più svantaggiate del pianeta.
Secondo l'Organizzazione Meteorologica Mondiale tra i rischi del cloud seeding c'è anche quello per la salute umana, che potrebbe essere impattata dalla tossicità dello ioduro d'argento. Inoltre, modificare le condizioni meteo di una località può mettere a rischio le coltivazioni agricole con effetti indesiderati, tipo le precipitazioni di grandine.
Il recente caso di Dubai: cos'è successo davvero
Il cloud seeding a Dubai si è reso necessario a causa delle precipitazioni scarse e irregolari. Così agli inizi del Duemila lo sceicco Mansour Bin Zayed Al Nahyan, il vicepresidente degli Emirati Arabi Uniti, ha investito 20 milioni di dollari per dare il via a un programma di ricerca sul tema. A marzo 2024 il Programma di ricerca per il miglioramento della pioggia (UAEREP) degli Emirati Arabi ha annunciato che sta lavorando per potenziare la tecnologia finora impiegata per il cloud seeding a Dubai, con l'introduzione di nuovi nanomateriali nel processo. Obiettivo: potenziare il volume delle piogge artificiali. Ad oggi si stimano mille ore di cloud seeding all'anno per stimolare le precipitazioni necessarie al territorio e alla conservazione delle risorse idriche sul suolo emiratino.
Il 16 aprile 2024 Dubai è stata colpita da 140 millimetri di pioggia, fenomeno che ha allagato strade, bloccato aeroporti e isolato gli abitanti della città in case e uffici. I disagi sono stati provocati principalmente dall'inefficienza della città rispetto alla bomba d'acqua. Infatti, basti pensare che l'area riceve circa 95 mm di pioggia in un anno.
L’inaspettata e abbondante precipitazione ha portato alcuni commentatori a collegare cloud seeding e rischi pioggia artificiale. Ma come è stato poi dichiarato dal Centro nazionale di meteorologia degli Emirati Arabi, il fenomeno è avvenuto un giorno dopo un procedimento di 48 ore di cloud seeding, ma secondo alcuni esperti il fenomeno sarebbe marginale rispetto agli eventi.
Il cloud seeding in Italia: realtà o fake news?
Anche in Italia si fa cloud seeding? Secondo quanto riportato da Il Post sono stati condotti alcuni esperimenti tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta nel Sud Italia. Gli effetti su Puglia, Basilicata, Sardegna e Sicilia furono buoni, con un aumento del 30 per cento rispetto alle precipitazioni annue della zona. Ma dopo il primo anno una prolungata siccità sulla stessa area ridusse la presenza di nuvole sulla stessa zona. E senza nuvole da stimolare, non può esserci cloud seeding.
Nonostante la smentita dei meteorologi internazionali, l'alluvione a Dubai a portato alcuni utenti a collegare il fenomeno con quello che ha colpito l'Emilia Romagna ad aprile. Ma il cloud seeding non c'entra nulla con le precipitazioni che hanno sommerso l'area italiana, classificando la diffusione di queste teorie complottistiche a fake news.
Stefania Leo
Foto di apertura: Immagine di Freepik