La questione palestinese spiegata in modo semplice
Iniziata “ufficialmente” nel 1947, la questione palestinese ha radici molto più antiche. Facciamo chiarezza.
La questione palestinese è un nodo inestricabile che, spiace dirlo, con ogni probabilità non si scioglierà mai. Facile da spiegare, almeno nelle sue origini, in realtà è un problema molto complesso. Nata “ufficialmente” nel 1947, la questione palestinese ha radici molto più antiche. Cerchiamo di fare chiarezza.
Cosa si intende con "questione palestinese"
Ciò che chiamiamo “questione palestinese” non è altro che il conflitto tra ebrei e palestinesi riguardante la regione storica della Palestina, terra sacra per ebrei, musulmani e cristiani, che si trova compresa tra il Mar Mediterraneo, il fiume Giordano e l’Egitto.
Le origini: come è nato il conflitto tra Israele e Palestina
Semplificando, si potrebbe far risalire l’origine della questione alla creazione dello Stato di Israele (1947) all’interno del territorio della Palestina, abitato da popolazioni arabe musulmane: da allora la convivenza tra le due etnie è sempre stata molto tesa.
La situazione in Medio Oriente a fine '800
A fine ‘800 la regione della Palestina è parte dell’Impero Ottomano da quattro secoli: i turchi garantiscono una certa autonomia ai vari popoli e in questa regione convivono pacificamente arabi (che costituiscono la maggioranza) ed ebrei (in minoranza), insieme ad altre etnie.
La nascita del sionismo
A fine secolo, in un’Europa in cui crescono i nazionalismi, ma anche l’antisemitismo, inizia a farsi largo il sionismo: il movimento aspira alla creazione di un nuovo Stato in quella che è definita "Terra di Israele", in grado di offrire una patria a tutti gli ebrei dispersi nel mondo.
La prima Aliyah
Nel corso dei secoli, c'è sempre stata una corrente migratoria ebraica verso la Palestina, motivata da ragioni religiose. Si intensifica a partire dal 1882, quando a seguito di una serie di pogrom nell’Impero Russo inizia la prima Aliyah (detta “dei contadini”): in una grande ondata migratoria durata vent’anni, circa 30 mila ebrei si stabiliscono in Palestina, favoriti dalla creazione del Fondo Nazionale Ebraico, finalizzato alla raccolta di fondi per l’acquisto di terreni in Eretz Yisrael, la terra promessa. Nel frattempo, con l’apertura del Canale di Suez il territorio palestinese vede aumentare la sua importanza strategica.
Cos'è la dichiarazione di Balfour
Nel 1897 Theodor Herzl fonda l’Organizzazione Sionista Mondiale, che incentiva l'emigrazione degli ebrei in Palestina. Il 1917 è l’anno della Dichiarazione Balfour: lettera scritta dall'allora ministro degli esteri inglese Arthur Balfour a Lord Rothschild, referente del movimento sionista, riconosce il diritto degli ebrei alla creazione di una "dimora nazionale” in Palestina. La dichiarazione viene inserita all'interno del Trattato di Sèvres, firmato tra le potenze alleate della prima guerra mondiale (escluse Russia e Stati Uniti, quindi: Francia, Giappone, Grecia, Italia, Regno Unito) e l’Impero ottomano: la Palestina passa sotto il controllo del Regno Unito.
Palestina: una terra, due popoli
Durante il periodo del protettorato britannico, gli ebrei continuano ad emigrare in Palestina comprando terreni dai palestinesi. Nel giro di due decenni si verificano altre ondate migratorie: a seguito della Rivoluzione russa, a causa dell’ascesa del Nazismo, come conseguenza della Grande Depressione e poi, ovviamente, c’è chi arriva in Palestina per sfuggire alla Shoah. Ma le tensioni tra gli arabi e gli immigrati ebrei crescono sempre di più. Nel secondo dopoguerra, con la fine del mandato britannico, la questione palestinese è effettivamente un problema internazionale: nel 1947 arriva una presunta soluzione, che invece segna l’inizio della catastrofe.
L'intervento delle Nazioni Unite
Il 29 novembre 1947 l’ONU vota un piano di spartizione tra uno Stato ebraico ed uno arabo, proponendo uno statuto speciale per Gerusalemme: viene accettato dal movimento sionista e rifiutato dai palestinesi, che come popolazione sono il doppio (1,2 milioni di arabi a fronte di 600 mila ebrei). Il 15 maggio 1948 Ben Gurion proclama la nascita dello Stato di Israele: inizia il conflitto arabo-israeliano.
Le tappe principali del conflitto armato tra arabi ed ebrei
Le guerre arabo-israeliane sono quattro conflitti combattuti tra lo Stato di Israele e i Paesi arabi limitrofi tra il 1948 e il 1973. Ripercorriamole.
La prima guerra arabo-israeliana
Dopo la proclamazione di Israele, gli eserciti di Egitto, Siria, Transgiordania, Iraq e Libano, contrari alla spartizione della Palestina, invadono il territorio del nuovo Stato ebraico. Che però contrattacca. A seguito degli armistizi del 1949, Israele ottiene ancora più territori di quelli previsti dagli accordi Onu, inclusa la parte ovest di Gerusalemme. Nasce la “linea verde”, confine de facto dello Stato di Israele dal 1949 fino al 1967. Alla fine del conflitto sono più di 700 mila i palestinesi sfollati.
Guerra del Sinai
Detta anche Crisi di Suez, scoppia nel 1956 a seguito della nazionalizzazione del canale da parte dell'Egitto, che scatena l'intervento di Francia, Regno Unito e Israele. Solo le minacce di Usa e Urss, pronte a schierarsi con l’Egitto, impediscono la guerra aperta. Lo status quo territoriale non cambia, ma viene ripristinata la libertà di navigazione israeliana. È in questa occasione che l’Onu crea i caschi blu.
La Guerra dei sei giorni
A seguito di un blocco navale imposto dall’Egitto, il 5 giugno 1967 Israele lancia un raid aereo che distrugge la quasi totalità dell'aviazione di Egitto, Siria e Giordania. Nei cinque giorni successivi, grazie a una serie di vittorie terrestri, Israele riesce ad accaparrarsi Gerusalemme Est, la Cisgiordania, la Striscia di Gaza, le alture del Golan e la penisola del Sinai.
Guerra del Kippur
Il 6 ottobre 1973, giorno della festa ebraica dello Yom Kippur, scatta l’offensiva a sorpresa delle truppe egiziane e siriane. Al successo iniziale delle forze arabe fa seguito la controffensiva dell’esercito israeliano, che arriva a poche decine di km dal Cairo. La guerra si ferma solo grazie a un cessate il fuoco negoziato dalle Nazioni Unite. Alla fine del conflitto, che non muta la situazione nei territori occupati, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), creata nel 1964, viene ammessa all'assemblea generale dell'ONU come rappresentante del popolo palestinese.
Da questo momento in poi termina la fase del coinvolgimento diretto degli Stati arabi in guerre dichiarate contro Israele: nel 1978, con gli Accordi di Camp David, il Sinai torna all’Egitto, che riconosce lo Stato ebraico. Nelle tensioni con Israele, assume invece un ruolo centrale l’OLP, come dimostra la Prima guerra del Libano del 1982, che scoppia quando l’esercito israeliano invade il Paese per espellere le forze palestinesi. Durante questo conflitto nasce l’organizzazione paramilitare libanese Hezbollah, mentre nel 1987, anno della prima Intifada, viene fondata la palestinese Hamas.
Il 15 novembre 1988 Yasser Arafat, leader dell’OLP, dichiara l’indipendenza della Palestina. La prima sollevazione di massa del popolo palestinese, confinato nelle zone di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme, si conclude nel 1993 con gli Accordi di Oslo, firmato da Arafat e Yitzhak Rabin (primo ministro israeliano): l’intesa prevede il ritiro delle forze israeliane dalla Striscia di Gaza e da alcune aree della Cisgiordania, oltre alla creazione di uno Stato palestinese entro cinque anni. Che non si verificherà. Il processo di pace naufraga nel 1995, quando Rabin viene assassinato da un nazionalista israeliano. Nel 2000 scoppia la seconda Intifada, a seguito della quale Israele costruisce un muro al confine con la Cisgiordania. Termina ufficialmente nel 2005, ma da allora continuano a verificarsi tensioni e attacchi, mentre lo status giuridico, politico e istituzionale della Palestina rimane una questione spinosa: oggi è uno Stato riconosciuto da 138 (su 193) Paesi membri dell’ONU.
Cos'è la striscia di Gaza
Lo Stato di Palestina è formato da striscia di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est: i territori occupati (da Israele dopo la Guerra dei sei giorni) di cui si sente parlare spesso. La striscia di Gaza è una regione costiera confinante con Egitto e Israele, in cui vivono circa 1,7 milioni di abitanti di etnia palestinese, la maggior parte di essi rifugiati. Nonostante alcuni cessate il fuoco, dal 2006 è in corso il conflitto Israele-Striscia di Gaza, mentre dal 2007 Egitto e Israele hanno chiuso in gran parte le frontiere con muri di cemento e filo spinato. Governata da Hamas, come suggerisce il nome la sua città più popolosa è Gaza.
La Cisgiordania (o West Bank) è il territorio situato sulla riva occidentale del fiume Giordano, annesso alla Giordania nel 1950 e poi occupato da Israele nel 1967. A partire dal 2002, è iniziata la costruzione della barriera di separazione israeliana, un controverso tracciato di 730 km: dal punto di vista di Israele un mezzo di difesa dal terrorismo, mentre i palestinesi lo ritengono uno strumento di segregazione razziale. Segue, ma non in ogni tratto, la “linea verde”.
Gerusalemme Est merita un discorso a parte. La parte orientale di Gerusalemme, che comprende la città vecchia e dunque numerosi luoghi considerati santi da ebraismo, cristianesimo e islam, è amministrata da Israele. Ma rivendicata dalla Palestina, che l’ha anche proclamata come capitale, sebbene il suo centro amministrativo si trovi a Ramallah. Una città contesa, con tutto ciò che ne consegue.
Matteo Innocenti