razionalizzazióne (sociologia)
nozione comune alla riflessione di autori come V. Pareto e M. Weber. Il primo se ne serve in un'accezione molto vicina al linguaggio degli psicologi: attraverso la razionalizzazione l'attore sociale cerca spiegazioni estrinseche (in qualche caso, ricorrendo a deliberati pretesti) per legittimare determinate azioni e, perciò, giustificare la propria condotta. L'elaborazione delle teorie razziali pseudoscientifiche dei sec. XIX e XX è, per esempio, una forma di razionalizzazione della pratica del razzismo. Più articolata è la prospettiva di M. Weber, che considera la razionalizzazione come il tratto caratteristico della modernità e del capitalismo. Determinazione del calcolo (costi e ricavi), misurazione obiettiva delle grandezze (filosofia della produzione, ma anche principio di prestazione in generale come, per esempio, l'idea di record sportivo) e controllo del risultato dell'azione sono alcuni fra i principali aspetti della razionalizzazione. Ne discende l'esigenza di un ordinamento economico basato sui principi dell'organizzazione e retto da imperativi di efficienza. Di qui la necessità di una burocrazia fortemente professionalizzata e ispirata a ferrei principi di etica del lavoro (come nel caso dell'etica calvinistica e dell'etica aziendale del capitalismo industriale). Una burocrazia speciale è quella dello Stato e delle istituzioni politiche, che incarna i principi della razionalizzazione amministrativa (neutralità del funzionario, imparzialità della decisione, separazione dei poteri). Ma razionalizzazione è per Weber anche il declino del sentimento del sacro e del magico, a favore del principio teologico della responsabilità individuale e consapevole (etica protestante, disincanto). E, analogamente, l'affermarsi dell'idea di universalità e impersonalità del diritto, lo sviluppo di macchine politiche (i partiti di massa) sostitutive dei notabili preindustriali, la cultura della disciplina lavorativa e la divisione delle competenze scientifiche e tecniche (le équipes di ricerca al posto dell'inventore solitario), nonché la dominanza dello Stato come istituzione sociale della modernità, rappresentano i cardini della razionalizzazione. Un processo che M. Weber giudicava tutt'altro che concluso, e che anzi gli sembrava pervenuto alla realizzazione di una “gabbia di ferro” in cui l'individuo sarebbe stato sottoposto sempre più alle regole e alle logiche del controllo burocratico amministrativo, avendo perso l'ancoraggio ai valori etico-religiosi della tradizione e non essendo in grado di produrre quel “regno della libertà” vagheggiato dai profeti rivoluzionari del sec. XIX. In questo senso, il concetto di razionalizzazione si avvicina a quello marxiano di alienazione. Tanto K. Marx quanto M. Weber, infatti, rappresentano l'individuo come oggetto di una crescente regolazione sociale, affidata ad attori anonimi (la fabbrica, lo Stato, le istituzioni educative, ecc.) e assai più invadente dei tradizionali legami comunitari (la famiglia, la Chiesa).