Lessico

sm. [sec. XIV; dal greco mîmos, imitatore]. Breve componimento letterario destinato, nell'età classica, specie in fase ellenistica, a essere recitato; anche il genere teatrale in cui l'espressione scenica è affidata al linguaggio risultante dai gesti e dagli atteggiamenti del volto e del corpo e l'interprete di tale forma di spettacolo. Per estensione, in biologia, l'elemento imitatore in un sistema mimetico. Per esempio mimo batesiano, mimo mulleriano, ecc.

Spettacolo

Nella terminologia della danza accademica, nei sec. XVIII e XIX, il termine fu usato per indicare l'interprete che aveva il compito di danzare le parti più chiaramente pantomimiche. Sui mimi dell'antica Grecia, le testimonianze sono scarse. Tuttavia nella danza, in cui più evidente era il tessuto pantomimico, si riscontravano i segni di ancora più remoti gesti rituali. I danzatori greci mimavano con perfetto realismo scene d'amore o di guerra o avvenimenti della vita quotidiana. Aristotele menziona i mimi dei siculi Sofrone e Senarco, che avrebbero influenzato Platone nella raffigurazione dei caratteri. Il mimo siciliota, fatto di brevi scene realistiche, privo di vero intreccio e reso vivace dalle battute e dalla vena degli interpreti, doveva avere legami con la commedia dorica di Epicarmo e con i fliaci. Nell'età ellenistica si collegarono col mimo i mimiambi di Eroda, destinati però, si ritiene, alla lettura. Si pensa che il mimo abbia avuto ricca fioritura tra il sec. V e il III a. C., con carattere popolaresco e anche licenzioso, come dimostra il mimo romano, certamente derivato da quello greco. Esso fiorì dapprima come farsa improvvisata, punteggiata di danze e di battute salaci, poi si collegò con i ludi in onore della dea Flora, che avevano carattere quasi orgiastico. Verso la fine del sec. II si venne meglio ordinando il miscuglio di canto, danza e recitazione (in parte sempre improvvisata, in parte in forma metrica) e si introdussero pungenti frecciate contro personaggi in vista. Il mimo godeva il favore del pubblico, mentre generi più nobili e complessi declinavano, vi prendevano parte, con veri e propri spogliarelli (nudatio mimarum) anche le donne (escluse dalla tragedia e dalla commedia). Protetto dai potenti, finì col soppiantare l'atellana, come si sa da Cicerone, ed ebbe il suo periodo aureo nell'età di Cesare. Fecero spicco allora come autori (e contemporaneamente interpreti) di mimi Decimo Laberio, della cui produzione restano 43 titoli, e Publilio Siro, di cui sono giunti fino a noi due soli mimi: Il brontolone e I potatori; come attori furono popolarissimi Pilade di Cilicia e Batillo di Alessandria. Nell'età imperiale la storia del mimo si confonde con quella del pantomimo. Col diffondersi del cristianesimo il genere declinò: dopo Costantino le esibizioni di mimi e pantomimi, giudicate “più vicine al vizio che allo spettacolo”, furono vietate. Sopravvisse tuttavia, sebbene con scarsa definizione, nell'azione dei giullari medievali, finché con la Commedia dell'Arte la figura del mimo attore si esaltò attraverso saggi squisiti e virtuosistici. In Francia il mimo fu a volte anche acrobata, funambolo, equilibrista; in Inghilterra si accostò sovente alla danza, gettando le basi per lo spettacolo tipicamente inglese della pantomime. Ancora in Francia, nell'Ottocento, presero vita le prime forme moderne dell'arte del mimo, attraverso la geniale personalità di J.-B. Deburau e il contributo di F. Delsarte. Fondamentale fu poi, per gli sviluppi contemporanei di quest'arte, nel secondo dopoguerra, l'opera di E. M. Decroux, allievo di J. Copeau, Ch. Dullin e L. Jouvet, che parallelamente alla carriera di attore, in teatro, al cinema e alla radio, perfezionò teoria e metodologia didattica di quello che lui stesso definì mimo corporeo. In opposizione al romanticismo pantomimico di Deburau e della sua scuola, che focalizzava l'attenzione unicamente sull'espressione e la gestualità del viso e delle mani, nel mimo corporeo di Decroux, all'inespressività del viso corrisponde una complessa e raffinata articolazione del corpo. Fra gli allievi di Decroux si contano J.-L. Barrault e M. Marceau. Nell'opera di quest'ultimo si fondono elementi del mimo corporeo con reminiscenze della pantomima romantica. Due importanti scuole di mimo sono fiorite, nel sec. XX, nell'Est europeo, a opera di L. Fialka nella Repubblica Ceca e di Tomazewski in Polonia. Risentono entrambe dell'influenza delle correnti del modernismo coreografico della prima metà del sec. XX e, a differenza della scuola francese, votata prevalentemente all'espressione solistica (fanno eccezione i mimodrammi di M. Marceau), l'arte del mimo si è qui sviluppata come arte di gruppo. L'influenza delle correnti del modernismo coreografico è evidente anche nell'opera della danzatrice e mimo-clown Lotte Goslar (allieva di M. Wigman e G. Palucca, fondatrice del Pantomime Circus) e nell'attività di Paul Curtis, interprete, pedagogo e ricercatore, influenzato dalla modern dance americana, che ha perfezionato uno stile originale da lui stesso definito American Mime.

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