ipotensivo
agg. e sm. [sec. XIX; da ipotensione]. Farmaco impiegato per ridurre i valori della pressione arteriosa. Gli ipotensivi, impiegati largamente nella terapia dell'ipertensione, sono classificati, in rapporto al punto di attacco, in due categorie: ipotensivi diretti e simpaticoplegici. Gli ipotensivi diretti agiscono soprattutto a livello delle arteriole, quindi indipendentemente dal sistema nervoso autonomo. Comprendono l'idralazina e il diazossido, derivato sulfamidico che possiede anche azione ipoglicemizzante. Spesso in questa categoria vengono annoverati anche i diuretici, benché la loro attività sia diretta alla riduzione della massa sanguigna più che al tono delle arteriole. È stato tuttavia dimostrato che la somministrazione prolungata di alcuni diuretici provoca la riduzione delle resistenze periferiche, per abbassamento del tasso di sodio e di acqua nelle fibre muscolari delle arteriole, che sarebbe abnormemente elevato nelle comuni forme ipertensive. Gli ipotensivi simpaticoplegici, agendo in vario modo sul cuore, sulle arteriole, sulle vene, ecc., sottraggono l'apparato cardiovascolare alle influenze del sistema nervoso simpatico. I composti di questo gruppo più usati in terapia sono: la clonidina, gli ipnotici, i neurolettici e i tranquillanti, che deprimono l'attività dei centri simpatici; i ganglioplegici, che bloccano gli impulsi nervosi a livello dei gangli; gli alcaloidi del veratro, che stimolano le zone riflessogene dell'arco aortico e del seno carotideo e inibiscono l'attività dei centri vasomotori; la guanetidina, il guanossano, l'alfametildopa, gli anti-MAO, la reserpina, che interferiscono nel metabolismo delle catecolammine a livello delle terminazioni post-gangliari; gli alcaloidi della segale cornuta, che bloccano per antagonismo competitivo l'azione della noradrenalina sui recettori adrenergici delle arteriole. Tutti i farmaci sopra elencati hanno azione sintomatica, nel senso che non rimuovono le cause dell'ipertensione. Il loro impiego è tuttavia prezioso in quanto, attraverso la normalizzazione degli elevati valori pressori, combattono i fattori direttamente responsabili dell'usura dei vasi, della rapida progressione delle lesioni vascolari e delle gravi conseguenze cardiache, cerebrali e renali. Studi più recenti sui meccanismi causali dell'ipertensione arteriosa hanno consentito di introdurre in terapia una nuova categoria di farmaci, gli inibitori della renina. Alcune forme di ipertensione arteriosa dipendono infatti da un'aumentata produzione di angiotensina, piccolo polipeptide vasoattivo, derivante dall'idrolisi della proteina plasmatica, angiotensinogeno. L'enzima che converte l'angiotensinogeno in angiotensina, la renina, è una proteasi specifica e la sua inibizione determina una caduta del tasso di angiotensina circolante, e di conseguenza della pressione arteriosa. Gli inibitori della renina sono spesso associati in terapia con diuretici e, se necessario, con ipotensivi diretti.