fatica (tecnica)
IndiceDefinizione
Fenomeno consistente in un insieme di alterazioni che giungono a provocare la rottura improvvisa di un materiale (o di una struttura) sottoposto a sollecitazioni cicliche.La fatica di un materiale (o di una struttura) si riscontra ogni volta che questo viene sottoposto a sforzi variabili ciclicamente nel tempo, che possono provocarne la rottura (detta appunto rottura per fatica) se il numero dei cicli di ripetizione è sufficientemente alto, pur essendo il valore massimo degli sforzi molto minore di quello di snervamento o di rottura in condizioni statiche. Per ogni valore di sforzo minimo esiste un valore limite di sforzo massimo al di sotto del quale non si verifica la rottura del materiale per quanto grande sia il numero di ripetizioni del ciclo di sforzi: a tale valore limite si dà il nome di limite di fatica.
Leggi di variazione delle sollecitazioni
Per inquadrare il fenomeno della fatica (che interessa strutture, materiali e macchinari, in particolare sottoposti a sollecitazioni cicliche), occorre in primo luogo definire le possibili leggi di variazione della sollecitazione, per ognuna delle quali sarà diverso il valore limite di fatica; queste si possono in pratica ricondurre a quattro cicli fondamentali: alterno simmetrico, in cui la sollecitazione oscilla con legge sinusoidale tra due valori di segno opposto, ma di uguale valore assoluto; alterno asimmetrico, i due estremi di sollecitazione hanno segno opposto e diverso valore assoluto; dello zero, uno degli estremi di sollecitazione è uguale a zero; pulsante, la sollecitazione varia tra due estremi dello stesso segno. Occorre definire, inoltre, il pre-carico, valore medio della sollecitazione, il quale sarà nullo nel solo caso di ciclo alterno simmetrico. In tutti i materiali omogenei si trova una corrispondenza biunivoca tra il numero dei cicli necessari e il valore massimo della sollecitazione che, ripetuta quel determinato numero di volte, ne provoca la rottura.
Rottura per fatica
Al concetto di fatica va comunque associato quello di durata, che rappresenta il massimo numero di cicli sopportati al momento della rottura. Benché la natura del fenomeno non sia ancora del tutto conosciuta, si ritiene che la rottura per fatica derivi da una progressiva alterazione dello strato superficiale del materiale, che, estendendosi, riduce la sezione resistente fino a determinarne il cedimento senza che precedentemente si siano prodotte deformazioni permanenti apprezzabili. La rottura per fatica può inoltre essere influenzata dalla struttura interna del materiale (sua natura, lavorazione e tipo di finitura superficiale), dalla forma, dalle dimensioni e dallo stato della struttura di cui fa parte il materiale, dal tipo di sollecitazione, dai suoi valori estremi, nonché dal limite di fatica. Il fattore più significativo è la finitura superficiale del materiale impiegato. Le microcricche di fatica, di solito, hanno origine dalla superficie del pezzo in corrispondenza di zone di eccessiva microrugosità, intagli, zone filettate, fenditure per chiavette non raccordate, fori, angoli acuti, ecc. Per questo motivo, nella progettazione ed esecuzione dell'elemento strutturale si cerca di evitare tutte queste zone di concentrazione degli sforzi agenti, come sede preferenziale di innesco di rottura a fatica. Il limite di fatica può essere accresciuto mediante l'indurimento superficiale dell'elemento con trattamenti di diffusione (cementazione, nitrurazione) o meccanici (pallinatura, sabbiatura, ecc.). Sul limite di fatica ha importanza fondamentale inoltre l'aggressività dell'ambiente nel quale l'elemento (o la struttura) si trova a operare, nel senso che la sollecitazione a fatica può favorire la corrosione (corrosione a fatica).
Determinazione del limite di fatica
La determinazione del limite di fatica viene fatta sperimentalmente "Per la macchina per prove di fatica vedi schema al lemma dell'8° volume." "Vedi schema vol. IX, pag. 342" su un provino di forma e dimensioni standard, mediante prove dinamiche di resistenza che si avvalgono di apposite macchine capaci di realizzare uno dei casi semplici di sollecitazione (trazione e compressione, flessione o torsione). "Per il grafico vedi il lemma dell'8° volume." Tra le macchine più usate vi sono quelle per prove di fatica a flessione rotante "Vedi diagramma vol. IX, pag. 342" . In queste il provino, sollecitato da un carico che produce un momento flettente costante, è tenuto in rotazione intorno al suo asse da un motore; nel corso di tale rotazione le fibre del materiale, situate lungo la circonferenza esterna, sono sottoposte a uno sforzo massimo, oscillante con legge sinusoidale, passando, durante un'intera rotazione, da uno stato di massima compressione a uno di massima trazione. Tale rotazione viene ripetuta sullo stesso provino parecchie migliaia di volte al minuto. Il limite di fatica a flessione rotante viene determinato applicando a provini diversi carichi decrescenti (e quindi momenti decrescenti) e contando in corrispondenza di questi il numero delle rotazioni complete fino a rottura del provino. I risultati sono riportati quindi in un grafico semilogaritmico "Vedi diagramma e disegno vol. IX, pag. 342" (curve di Wohler) "Per la curva di Wohler vedi diagramma e disegno al lemma dell'8° volume." nel quale si esprime lo sforzo massimo (δ max) in funzione del numero di cicli che devono essere compiuti perché avvenga la rottura. Molto importante è lo studio dell'aspetto che assume la superficie di frattura quando avviene la rottura del provino. Nelle zone più sollecitate della superficie si osservano, dopo un certo tempo, scorrimenti localizzati con formazione di microprotuberanze e rientranze. Queste ultime diventano le zone di innesco delle microcricche che avanzano per deformazione plastica localizzata. Si forma così una superficie di rottura opaca, vellutata, più o meno liscia, sulla quale generalmente si notano delle linee ad andamento parallelo che, dal punto dove la frattura ha origine, proseguono ricoprendola completamente (zona di rottura per fatica propriamente detta). Allo stadio di propagazione della microfessura segue quello della rottura di schianto del provino, quando, per l'eccessiva riduzione di sezione, lo sforzo massimo applicato sulla parte di sezione ancora intatta supera quello di rottura del materiale.