caffeina

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sf. [sec. XIX; dal tedesco Koffein, risalente al latino scientifico coffea, caffè]. Alcaloide contenuto nelle foglie del tè, nei semi del caffè, nella noce di kola, nel matè e in varie altre piante. È detta anche teina, guaranina o metilteobromina. La caffeina è chimicamente un derivato purinico (1,3,7-trimetilxantina) di formula C8H₁0O₂N4, avente la struttura

È una polvere bianca cristallina, di sapore leggermente amaro, poco solubile in acqua, nella quale si scioglie per aggiunta di benzoato, salicilato o cinnamato di sodio. La caffeina del commercio si estrae dalle foglie del tè o dalla fuliggine che si forma durante il processo di torrefazione del caffè e nel corso della decaffeinizzazione. Per sintesi si può preparare da dimetilurea e acido malonico oppure per metilazione della teobromina. Inibisce l'azione dell'enzima fosfodiesterasi che degrada l'adenosina monofosfato ciclica, uno dei mediatori intracellulari dello stimolo nervoso; in tal modo rende le cellule nervose più eccitabili. A dosi terapeutiche (100-200 mg) la caffeina produce una lieve stimolazione del sistema nervoso centrale che può facilitare il lavoro fisico e intellettuale. Stimola inoltre i centri respiratori, aumenta la diuresi, agisce sul cuore aumentandone la forza di contrazione e la frequenza. Viene impiegata in terapia come analettico respiratorio e cardiocircolatorio, come antiemicranico, nell'intossicazione acuta da cloralio e da ipnotici barbiturici. Viene anche associata ad alcuni antipiretici (aspirina, acetanilide, antipirina, ecc.) per inibirne l'effetto collaterale neuro-deprimente.

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