càmbio (economia)
IndiceGeneralità
Operazione di scambio di una moneta con un'altra, in genere tra monete di Stati diversi, o di un titolo con un altro. Il cambio si dice manuale se avviene con lo scambio di moneta di un Paese contro moneta di un altro; traiettizio se viceversa avviene con la cessione di moneta di un Paese contro titoli di credito pagabili su un altro. Il cambio è misurato dal rapporto fra le monete dei due Paesi, cioè dal tasso di cambio o corso del cambio (o semplicemente cambio), prezzo dell'unità di moneta straniera in termini di unità di moneta nazionale o viceversa. Detto corso è “alla pari” quando coincide con la parità monetaria, ossia con il quoziente ottenuto rapportando la quantità di oro fino a cui le due date valute nazionali sono riferite; è “sotto la pari” quando è inferiore alla parità monetaria; “sopra la pari” quando è superiore. Nelle quotazioni dei cambi si possono seguire due sistemi: indicando una quantità variabile di moneta nazionale offerta contro una quantità fissa di moneta straniera, oppure indicando una quantità fissa di moneta nazionale offerta contro una quantità variabile di moneta straniera. Nel primo caso si dice che la quotazione dà l'incerto per il certo (o che la piazza quota l'incerto), nel secondo che la quotazione dà il certo per l'incerto (o che la piazza quota il certo). Nel sistema dell'“incerto per il certo”, usato in Italia e nella maggior parte dei Paesi europei, un aumento del corso dei cambi significa che le divise estere sono divenute più care e implica una situazione monetaria sfavorevole per il Paese in questione. Pertanto, in tale sistema, il cambio è favorevole se è sotto la pari e sfavorevole se è sopra la pari. Viceversa, nel sistema del “certo per l'incerto”, adottato per esempio in Gran Bretagna, un aumento del corso dei cambi significa che le monete estere sono deprezzate e di conseguenza la situazione monetaria del Paese è favorevole. In tale sistema perciò il cambio è favorevole se è sopra la pari e sfavorevole se è sotto la pari. Con altra suddivisione si dice diretto il cambio fra le monete di due Paesi quale risulta direttamente dalle loro quotazioni; indiretto quel cambio fra due monete estere che in un Paese qualsiasi risulta indirettamente dalle loro singole quotazioni espresse nella moneta di quel Paese (per esempio la quotazione sterlina-dollaro in Italia).
Tasso di cambio
È la quantità di valuta di un Paese necessaria per acquisire un'unità valutaria di un altro Paese; si tratta dunque del prezzo di una divisa in termini di un'altra. Tale nozione va distinta dal cosiddetto cambio reale che risente, oltre che del tasso di cambio, dell'andamento relativo dei prezzi nei Paesi considerati. Se, per esempio, si indica con e il tasso di cambio euro-dollaro, con p il livello generale dei prezzi in Italia espresso in lire, con p* quello in USA espresso in dollari, allora il cambio reale sarà dato da (ep*/p). La determinazione dei tassi di cambio è in generale legata agli scambi di beni e servizi e ai movimenti di capitale che si realizzano tra i Paesi considerati. A questo proposito tuttavia dobbiamo distinguere regimi a cambi fissi e regimi a cambi flessibili. Nei primi le Banche Centrali si impegnano a intervenire sui mercati finanziari con le riserve strategiche delle diverse monete al fine di mantenere stabile nel tempo il proprio tasso di cambio relativo a una o più valute; l'impegno, normalmente sancito in accordi internazionali, va nel senso di mantenere il proprio tasso di cambio entro una fascia di oscillazione prefissata rispetto a una parità centrale, anch'essa prestabilita. Nei regimi a cambi flessibili invece si permette ai tassi di cambio di fluttuare liberamente in funzione dei movimenti giornalieri delle offerte e domande delle singole valute. Tra Paesi legati da intensi scambi commerciali è preferibile un regime a cambi fissi che dà certezza ed evita la speculazione sulle monete; la sua implementazione ha tuttavia un costo in termini della continua azione di monitoraggio svolta dalle Banche Centrali e dal coordinamento delle stesse. Bisogna altresì notare che i regimi a cambi fissi sono duraturi nella misura in cui i Paesi che vi partecipano hanno caratteristiche simili; particolare importanza assume a questo proposito la dinamica relativa dei prezzi. Da un punto di vista storico, relativamente all'Occidente industrializzato, dal 1870 al 1914 è stato in vigore il cosiddetto sistema aureo (gold standard) che si basava sulla convertibilità di tutte le monete in oro. Attraverso quest'ultimo ciascun tasso di cambio risultava dunque fisso; l'unica possibile oscillazione era legata al costo di trasporto e di assicurazione dell'oro da un Paese a un altro (i cosiddetti punti dell'oro). Nel periodo dal 1914 al 1945 è prevalso un regime di cambi flessibili, sebbene diversi Paesi avessero fissato una parità rispetto all'oro; nel 1944, grazie ai famosi accordi di Bretton Woods, tutti i Paesi occidentali maggiormente industrializzati hanno sottoscritto la nascita di un nuovo sistema monetario internazionale, il gold exchange standard, in cui l'unica moneta convertibile in oro era il dollaro. Per ciascuna valuta si fissava una parità centrale rispetto al dollaro; data una fascia di oscillazione intorno a tale parità, ciascuna Banca Centrale si impegnava a intervenire sui mercati in modo da garantire che il proprio cambio rimanesse entro la suddetta fascia di oscillazione. Contestualmente si rendeva possibile modificare la propria parità centrale, ma la decisione doveva essere ratificata dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), istituito da quegli accordi con il compito di provvedere al governo sovranazionale del suddetto sistema monetario. Il gold exchange standard venne meno nei fatti gradualmente per effetto della sempre più accentuata sproporzione tra il valore dei dollari in circolazione e quello dell'oro detenuto dalla Federal Reserve; risultava sempre più evidente la non convertibilità del dollaro in oro, ufficialmente sancita dal presidente Nixon nel 1971. Da quel momento in poi, si apriva una fase di cambi flessibili; in questo contesto tuttavia diversi sono i tentativi di costituire aree integrate di cambi fissi. Nell'ambito della storia europea vengono effettuati graduali passi verso la costituzione del Sistema Monetario Europeo (SME), realizzatosi nel 1978, ed entrato in vigore nel marzo 1979, per regolare i rapporti di cambio tra le monete dei Paesi membri della CEE; ciascun Paese, tranne la Gran Bretagna, fissava una parità centrale rispetto all'ECU – un paniere di quantità fisse delle valute dei Paesi dello SME – e si impegnava a mantenere il proprio tasso di cambio entro una fascia di oscillazione prefissata. Nel corso del 1990 anche la sterlina è entrata nella banda di oscillazione. In seguito alla realizzazione dell'Unione Economica e Monetaria il 1° gennaio 1999 le parità delle monete partecipanti e i loro tassi di conversione in euro sono stati fissati irrevocabilmente e lo SME è stato sostituito da un nuovo meccanismo di cambio (denominato ERM II) in cui sono stabilite le procedure di cambio tra l'euro e le valute degli Stati europei che non appartengono all'area dell'euro ma che si riservano la possibilità di entrarvi in un secondo tempo. In base all'ERM II viene definita una parità centrale rispetto all'euro per ciascuna delle monete degli Stati membri non appartenenti all'area dell'euro ma partecipanti a detto meccanismo di cambio e una banda di oscillazione standard del 15% in più o in meno rispetto alle parità centrali. I cambi possono essere negoziati “a pronti” oppure “a termine” secondo se le divise estere sono disponibili al momento dell'acquisto o della vendita oppure sono disponibili in una data futura. Può essere effettuato inoltre un altro tipo di negoziazione: quella di acquisto in valuta a pronti e rivendita a termine o, viceversa, di acquisto a termine e rivendita a pronti. Tali operazioni sono dette riporti in divisa o swap. Quando il corso del cambio è riferito a una certa scadenza, diversa da quella della divisa estera negoziata, si procede al livellamento del corso stesso al fine di adeguarlo a tale seconda scadenza. Quando il cambio non è livellato è detto tel quel. In Italia, al fine di tutelare il valore della divisa nazionale rispetto alle altre valute, è stato costituito un monopolio pubblico sui cambi attraverso l'Ufficio Italiano dei Cambi (UIC) coadiuvato dalla Banca d'Italia; le banche commerciali svolgevano essenzialmente funzione di agenti degli organi detentori del monopolio. Tuttavia, nel quadro della liberalizzazione valutaria dei mercati europei, a partire dal 1981 si è realizzata una progressiva opera di decentramento amministrativo e di riduzione del controllo.
Diritto
Il commercio dei cambi divenne monopolio statale con i D.M. del 26 maggio e 8 dicembre 1934, che ne affidavano l'esercizio all'Istituto Nazionale dei Cambi. Il monopolio statale divenne più flessibile con la “liberalizzazione” apportata dai decreti 23 marzo 1946, n. 139, e 28 novembre 1947, n. 1347. Soggetti alle leggi sui cambi sono i residenti nel territorio della Repubblica (ivi compresi gli stranieri e gli apolidi) e le persone fisiche di nazionalità italiana residenti all'estero. Oggetto dei cambi sono “i biglietti di Stato e di banca esteri a corso legale fuori del territorio della Repubblica”; le banche autorizzate possono anche istituire un mercato libero di valuta straniera. La normativa italiana relativa al mercato valutario internazionale, più volte oggetto di modifiche per successivi decreti ministeriali, ha subito fondamentali cambiamenti nel 1988, a opera del testo unico delle norme in materia valutaria approvato con D.P.R. del 31 marzo 1988, n. 148, in vista della libera circolazione dei capitali all'interno della Comunità Economica Europea (CEE). Sono state introdotte varie misure per rendere più liberi i movimenti valutari delle imprese. In particolare, alle aziende italiane operanti sui mercati esteri e per questo spesso destinatarie di pagamenti in valuta, è stato permesso di aprire conti all'estero su cui far confluire tali pagamenti prima del loro trasferimento in Italia. In attuazione dell'art. 67 del trattato CEE e della direttiva CEE del 24 giugno 1988 in materia di liberalizzazione dei movimenti di capitali, è stato emanato il D.M. del 27 aprile 1990. Esso dispone che i residenti italiani possono detenere in Italia e all'estero valute estere, titoli e altri valori mobiliari esteri. I residenti sono autorizzati in via generale: a costituire e detenere in Italia conti e depositi in valute estere presso le banche abilitate; a costituire e detenere all'estero conti e depositi in valute estere e in euro; a concedere a non residenti, in Italia e all'estero, linee di credito in valute estere e in euro; a esportare mezzi di pagamento, titoli di credito, valori mobiliari in valute estere e in euro; a effettuare tra loro atti dispositivi di valute estere anche contro euro; a regolare in valute estere le obbligazioni assunte con altri residenti. I residenti si avvalgono per i trasferimenti valutari degli intermediari abilitati ovvero dell'amministrazione postale (nel qual caso sono fatti salvi eventuali limiti d'importo stabiliti nelle convenzioni con i singoli Paesi) oltre che della materiale consegna di mezzi di pagamento in Italia o all'estero.
Per l'economia
F. Machlup, The Theory of Foreign Exchanges, in “Economica”, 1939-40; P. Einzig, The History of Foreign Exchange, New York, 1962; J. L. Stein, The Nature and Efficiency of the Foreign Exchange Market, Princeton, 1962; R. Mundell, International Economics, New York, 1968; E. Allegro, O. Ascanio, Il nuovo manuale valutario, Milano, 1985.
Per il diritto
R. Bolaffi, Legislazione valutaria e diritto privato, Milano, 1950; R. Cimmino, La disciplina economica e giuridica del commercio con l'estero, Roma, 1952; G. Carli, Evoluzione della legislazione italiana sul controllo dei cambi, Roma, 1957; G. Consolo, Diritto valutario, Padova, 1983.