automòbile
IndiceLessico
Agg. e sf. [sec. XIX; da auto-+latino mobĭlis, che si muove].
1) Propr. agg., che si muove con mezzi propri: veicolo automobile; macchina automobile.
2) Comunemente sf., veicolo a ruote con propulsione autonoma, destinato al trasporto su strada di un numero limitato di persone; autovettura: non gradisce viaggiare in automobile; familiarmente: s'è fatto l'automobile, è riuscito a comprarsela. Più in generale (rar. anche sm.), autoveicolo, automezzo.
Automobile. Daimler primo modello.
De Agostini Picture Library / C. Bevilacqua
Automobile. Phaeton a pertolio tipo 1896 di Panard e Levassor (Parigi, Biblioteque des Arts Décoratifs).
De Agostini Picture Library/G. Dagli Orti
Automobile. Rolls-Royce Silver Ghost, costruita tra il 1906 e il 1922.
Torino, Museo dell'Automobile
Automobile. LanciaTheta del 1914 con impianto elettrico incorporato.
De Agostini Picture Library / Titus
Automobile. Isotta Fraschini del 1920.
De Agostini Picture Library / Titus
Automobile. Chrysler del 1924.
De Agostini Picture Library
Automobile. Lancia Aprilia, modello costruito dal 1937 al 1949.
De Agostini Picture Library / A. De Gregorio
Automobile. Volkswagen Maggiolino.
De Agostini Picture Library
Automobile. Innocenti Mini Minor MK2, derivata dalla Mini inglese.
De Agostini Picture Library / A. De Gregorio
Automobile. Modello MX5 della Mazda.
Mazda
Automobile. Hyundai Sonica.
Hyundai
Automobile. Volvo 480 ES (1987).
Volvo
Automobile. Chrysler Stratus Cabrio.
Chrysler
Automobile. Fiat Marea.
Fiat
Automobile. Fabbrica F.I.A.T. a Cassino (FR).
Farabolafoto
Automobile. Modello KA della Ford.
Ford
Automobile. Progettazione con il computer.
De Agostini Picture Library / A. Vergani
Automobile. Primera GT Nissan.
Nissan
Automobile. Fiat Bravo.
Fiat
Storia: i precursori
Non si può parlare d'invenzione dell'automobile, nel senso stretto dell'espressione, perché essa è il frutto degli sforzi congiunti o isolati di molti volenterosi e geniali, spesso sfortunati, inventori. La storia dell'automobile, pertanto, va seguita attraverso le tappe con le quali tale veicolo semovente, sognato per secoli dall'uomo e argomento di innumerevoli leggende, venne via via perfezionandosi, a partire dai rudimentali tricicli a motore dell'ultimo quarto del sec. XIX, fino ad assumere la fisionomia attuale, divenendo ben presto protagonista, insieme con i veicoli a motore per trasporto collettivo, di una rivoluzione senza precedenti nel campo delle comunicazioni terrestri e nello stesso costume di larga parte dell'umanità. Tradizionalmente si riconosce il primo esempio di veicolo semovente, accettabile come precursore dell'automobile, nella “macchina a fuoco”, chiamata fardier (carretto), costruita dall'inventore francese N. J. Cugnot insieme con il meccanico M. de Brézin, nel 1769, con lo scopo di servire quale traino per l'artiglieria. Era dotata di tre ruote, di cui quella anteriore motrice e direttrice, ed era costituita da un semplice e rozzo telaio in legno sul quale era montato, anteriormente e a sbalzo, un motore a vapore; questo constava di una caldaia a doppia parete nella cui intercapedine era installato un fornello che produceva il calore necessario all'ebollizione dell'acqua. Il vapore generato veniva convogliato da una tubazione di rame a due cilindri verticali (di ca. 50.000 cm3) in cui veniva immesso per mezzo di rubinetti azionati a mano; la pressione esercitata sugli stantuffi dei cilindri causava il moto di due bielle che azionavano una ruota dentata solidale con la ruota anteriore del veicolo. Costruita in due versioni successive, dette prove abbastanza soddisfacenti, anche se richiedeva frequenti arresti per ripristinare la pressione del vapore; si ruppe durante un esperimento e non venne ulteriormente sviluppata, anche per effetto dei rivolgimenti politici seguiti alla Rivoluzione francese. Il primo effettivo tentativo di realizzare un veicolo semovente adatto per la marcia su strada fu operato dagli Inglesi: W. Murdock, allievo di J. Watt, nel 1785 realizzò un veicolo sperimentale a vapore e R. Trevithick, nei primi anno del sec. XIX, costruì il primo mezzo semovente in grado di trasportare su strada passeggeri. Sulla base di queste prime esperienze J. Griffith, nel 1822, realizzò la prima diligenza a vapore; J. Scott Russel istituì una linea di diligenze a vapore fra Glasgow e Paisley (1823); ma fu soprattutto G. Goldsworthy a dimostrare la reale possibilità di effettuare il trasporto di passeggeri su strada con un mezzo semovente. Infatti, nel 1825, avviò, sul percorso Londra-Bath (170 km), un regolare servizio svolto con una diligenza a vapore capace di trasportare 18 passeggeri a ca. 20 km/h. Questo veicolo, già molto perfezionato, aveva la caldaia posteriore e i cilindri sotto il telaio; vi compariva una prima rudimentale forma di servosterzo, costituita da due ruotine anteriori orientabili che provocavano la rotazione del pesante timone. Servizi con diligenze a vapore vennero effettuati, fino al 1865, anche in Francia con veicoli ideati e costruiti da francesi (per esempio C. Dietz); le innovazioni che apparvero su tali mezzi servirono, seppur indirettamente, ai pionieri dell'automobile; in proposito va ricordato un altro inventore, l'inglese James, che dotò i suoi veicoli di un cambio di velocità a catena e di un sistema di sterzo comandato dalla pressione differenziata del vapore immesso in due diversi cilindri. In Inghilterra, il trasporto su strada con diligenze a vapore ebbe un primo grave colpo nel 1839 con l'emanazione di un decreto che imponeva la velocità massima di 16 km/h e solo fuori degli abitati: il colpo di grazia venne dal successivo Locomotive Act (noto anche come Red Flag Act) il quale stabiliva addirittura che questi mezzi dovessero farsi precedere da un uomo agitante una bandiera rossa (1865). Tali provvedimenti erano venuti dopo una serie di gravi incidenti, alcuni dei quali dolosamente provocati dai conducenti di carrozze a cavalli, coalizzati insieme con le compagnie ferroviarie per combattere la pericolosa concorrenza. Dopo tale data ebbe inizio un periodo in cui non si svilupparono nuovi studi sulla locomozione su strada; questa stasi fu anche in parte dovuta allo sviluppo delle ferrovie su basi di ottima efficienza. Seppure senza immediato seguito, si deve però riconoscere a questa prima generazione di veicoli per trasporto collettivo su strada il ruolo di lontani progenitori di una particolare categoria di automobili (i cosiddetti steamers, propulsi appunto con macchine a vapore), che avrebbe avuto più tardi un notevole sviluppo. Fondamentali per la realizzazione dell'automobile furono, invece, le ricerche avviate da molti inventori per mettere a punto un motore, di dimensioni molto minori di quello a vapore, che potesse essere utilizzato dalle piccole industrie venute a trovarsi in condizioni d'inferiorità rispetto alle grandi fabbriche. Le prime ricerche furono dirette nel senso di realizzare un motore che potesse sfruttare miscele esplosive costituite da aria e gas illuminante, facilmente disponibile nelle città ormai dotate di adeguate reti di distribuzione. Su questa strada operarono, quasi contemporaneamente, in Italia il padre scolopio E. Barsanti e il suo amico F. Matteucci (i cui tentativi di diffusione industriale non ebbero effetto), in Francia il franco-belga J.-J. Lenoir; costoro realizzarono, fra il 1853 e il 1861, motori a scoppio via via più perfezionati, monocilindrici e bicilindrici, in cui l'accensione era ottenuta per mezzo di una scintilla elettrica; tali motori erano fissi su basamento. Il motore Lenoir ebbe per qualche tempo un buon successo commerciale e, secondo alcune notizie rimaste prive di obiettivi riscontri, il suo inventore lo avrebbe anche applicato, nel 1863, a una sorta di diligenza con la quale avrebbe percorso più volte il tragitto Parigi-Jonville-le-Pont, di 18 km. Se ciò fosse realmente avvenuto, si dovrebbe riconoscere a questo veicolo il primato cronologico nel campo dei veicoli con motore a scoppio. Di grande importanza per il trasporto su strada, e per la stessa evoluzione dell'automobile, fu il rilancio degli autobus a vapore, a partire dal 1873, costruiti con sensibili perfezionamenti rispetto alla precedente generazione anglo-francese, da A. Bollée, ex fonditore di campane di Le Mans. L'Obéissante e la Mancelle, primi veicoli del Bollée, presentano già la concezione di un'automobile moderna con motore anteriore collegato con albero longitudinale alle ruote posteriori motrici; vi figura anche, per la prima volta, il differenziale.
Storia: la nascita dell'automobile
Contemporaneamente all'affermazione su scala quasi industriale degli autobus di Bollée si verificò, negli anni Ottanta del sec. XIX, un'ondata di studi e di costruzioni sperimentali di tricicli e carrozze azionati da motori a scoppio alimentati a gas. Questo fenomeno, che può considerarsi come l'inizio dell'evoluzione dell'automobile in senso proprio, ha luogo, a partire dal 1878, con tentativi sporadici in Francia e in Italia e con brillanti risultati in Germania, dove l'affermazione del motore a scoppio a quattro tempi ideato da N. Otto permise le realizzazioni dei due più significativi pionieri dell'automobile: G. Daimler e C. Benz. Daimler, dopo aver partecipato agli studi compiuti da Otto e dal collaboratore di questi, E. Langen, per il perfezionamento del motore a quattro tempi (secondo il principio descritto già nel 1862 dal francese A. Beau de Rochas), si trasferì in una propria officina a Canstatt insieme con il tecnico W. Maybach, realizzatore dei suoi studi, e si dedicò allo sviluppo del motore con alimentazione a benzina anziché a gas. Nel 1883 era pronto e funzionante il primo motore, un monocilindrico orizzontale a quattro tempi, in cui l'accensione era ottenuta con un tubetto di platino mantenuto incandescente da un bruciatore esterno; il secondo motore di Daimler, un monocilindrico verticale, fu applicato a una rudimentale bicicletta (1885). Nel 1886 nacque la sua prima automobile vera e propria: un'autentica carrozza senza cavalli (per la precisione, un break), le cui ruote posteriori erano mosse da un motore di 462 cm3 erogante 1,1 CV a 650 giri al minuto . In questo veicolo la forza propulsiva del motore, sistemato sotto il doppio sedile posteriore, veniva trasmessa alle due grandi ruote posteriori (fisse e a raggi di legno) mediante ruota dentata; lo sterzo, a manubrio, aveva un piantone verticale raccordato direttamente alla timoneria della sala anteriore, che recava due ruote fisse più piccole; c'era ancora, addirittura, l'attacco per l'eventuale traino animale. A sua volta Benz, nel 1885, realizzò un triciclo con motore a scoppio e, nel 1886, un veicolo a quattro ruote, anch'esso mosso da un motore monocilindrico a quattro tempi alimentato a benzina, che sviluppava una potenza di 1,5 CV facendo raggiungere al mezzo la velocità di ca. 20 km/h. Questo veicolo presentava, rispetto a quelli di Daimler, notevoli innovazioni quali: il raffreddamento a vaporizzazione d'acqua; l'accensione con magnete ad alta tensione e candela; l'albero di trasmissione fra il motore e una sorta di rudimentale cambio; le ruote a raggi fisse ma gommate. Questi sono tutti gli elementi che caratterizzeranno per molti anni la produzione automobilistica più avanzata; inoltre il secondo veicolo di Benz risultava, per la prima volta, da una progettazione integrale e si discostava alquanto, nella struttura, dalla carrozza a cavalli. Le attività sperimentali di Daimler e di Benz sfociarono negli anni successivi in un'attività produttiva abbastanza sviluppata; ma si trattava pur sempre di realizzazioni d'avanguardia. Nello stesso periodo si verificò la produzione su vasta scala di automobili a vapore, dette steamers, destinate al comune pubblico, a opera soprattutto del francese L. Serpollet (inventore di un sistema di vaporizzazione istantanea che rese assai più pratico l'uso di questi veicoli) e del suo conterraneo marchese A. De Dion, fondatore della prima grande casa automobilistica (la De Dion e Bouton) insieme con due costruttori di giocattoli, G. Bouton e Trépardoux. Questi veicoli erano tricicli e quadricicli attrezzati con motori a vapore e presentavano pregi tecnici assai superiori ai loro rudimentali concorrenti con motori a benzina: ruote anteriori con sospensione indipendente, differenziale, trasmissione longitudinale, cambio di velocità a ingranaggi. Un triciclo a vapore De Dion e Bouton partecipò (e fu il solo concorrente) nell'aprile 1887 a quella che potrebbe forse definirsi la prima corsa automobilistica che la storia ricordi, la Neuilly-Versailles e ritorno, di 32 km, coprendo il percorso in 1h14´. Numerose analoghe gare contrapposero in quegli anni i fautori dei due sistemi di propulsione, a vapore e a scoppio. A questo dualismo parteciparono, con un ruolo secondario, anche alcuni rudimentali veicoli con motore elettrico, costruiti da inventori francesi, inglesi e tedeschi, sull'esempio del loro precursore, il francese G. Trouvé, realizzatore, nel 1881, di un triciclo di questo tipo; le automobili elettriche furono protagoniste, nello scorcio del sec. XIX, di una fioritura abbastanza effimera soprattutto a opera dell'ex fabbricante francese di carrozze C. Jeantaud e del costruttore belga C. Jenatzy. Fra il 1886 e il 1891, frattanto, vennero costituite le prime due case per la produzione automobilistica su scala industriale di vetture con motore a benzina, la Panhard-Levassor (derivata da una fabbrica di macchine per la lavorazione del legno) e la Peugeot (antica acciaieria). Entrambe costruivano automobili equipaggiate con motori Daimler sistemati in posizioni differenti (rispettivamente, nella parte anteriore e in quella posteriore del veicolo: primo esempio di una divergenza d'impostazione che ancora all'inizio del sec. XXI divide i costruttori). Da questo momento, parallelamente allo svilupparsi e all'affermarsi delle case costruttrici in Europa e negli Stati Uniti (dove l'inizio si verificò con qualche anno di ritardo), l'automobile comincia la sua progressiva evoluzione tecnica che si protrarrà fino ai giorni nostri senza mai arrestarsi seppur subendo un progressivo rallentamento di ritmo. Nel 1894 l'impostazione di base può già considerarsi acquisita con le Panhard-Levassor, nelle quali il motore anteriore presenta la sua posizione definitiva ed è racchiuso in un cofano. Nel 1895 si registra un altro passo fondamentale, la comparsa del primo pneumatico, realizzato dai fratelli francesi A. ed E. Michelin e da essi montato sulle loro Peugeot. Nello stesso anno si corre la Parigi-Bordeaux-Parigi, seconda grande corsa della storia dopo la Parigi-Rouen dell'anno precedente, e gli pneumatici dei Michelin, subendo una cinquantina di forature, vi incontrano una sconfitta che sarà ampiamente riscattata nel futuro. Questa corsa segnò anche l'inizio del tramonto delle automobili a vapore, per la manifesta inferiorità dimostrata nei confronti delle Peugeot a benzina, nonché quello delle automobili elettriche. Queste vanteranno ancora, prima del definitivo declino, un trionfo, con il passaggio del “muro” dei 100 km/h, nel 1899, opera della Jamais Contente del belga Jenatzy che ne seppe sfruttare le eccezionali doti in fatto di velocità istantanea e che inoltre passò alla storia come autore della prima carrozzeria aerodinamica. Il cambio di velocità a ingranaggi comparve solo nel 1894 su un'automobile a benzina, la Panhard-Levassor: questa vettura, inoltre, montava per la prima volta un motore bicilindrico. L'ultimo scorcio del sec. XIX fece registrare anche il primo esempio di un'esposizione specificamente destinata all'automobile, quella organizzata nel 1898 alle parigine Tuileries dall'appena costituito Automobile Club de France (già negli anni precedenti esemplari di automobili erano comparsi in rassegne della produzione ciclistica); questo fu l'inizio del fenomeno tecnico-commerciale, essenziale agli effetti dello sviluppo dell'automobile, che andrà sotto il nome di “salone” e che si estenderà presto a tutte le nazioni industrializzate. Le automobili costruite tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento presentano già la disposizione fondamentale degli organi destinata a divenire definitiva, anche se hanno ancora ruote fisse e spesso ruote posteriori più grandi delle anteriori; inoltre l'impostazione delle loro carrozzerie, che per lo più non vengono eseguite dai costruttori, che si limitano a fornire telaio e parti meccaniche, riflette ancora da vicino gli orientamenti dei fabbricanti di carrozze a cavalli (diffuso era il vis-à-vis a quattro posti affacciati).
Storia: l'evoluzione
"Per le automobili più significative e loro evoluzione vedi tabelle al lemma del 3° volume e degli Aggiornamenti 1990 e 1995." L'evoluzione si accentuò con una delle prime automobili degli inizi del Novecento "Le più significative automobili sono elencate nella tabella alle pagg. 193, 195-196 del 3° volume." , la Mercedes del 1901, che per la prima volta presentava un telaio di longheroni rigidi, un cambio di velocità a leva e un radiatore a nido d'ape in sostituzione delle serpentine usate fino ad allora (anche il motore era assai più elaborato e potente, aveva quattro cilindri ed erogava 35 CV). Poco prima, nel 1899, L. Renault aveva realizzato la prima automobile chiusa, una “guida interna” corta e altissima con cambio provvisto di presa diretta. In questi tempi compare anche la manovella d'avviamento frontale collegata con l'albero motore, che risparmia ai guidatori le faticose partenze a spinta d'obbligo fino ad allora. Il freno a pedale si trova già sulla prima FIAT del 1899, ma agisce ancora sulla trasmissione, integrato da un freno a mano per le ruote posteriori; manca ancora il volante, che pure era già stato sperimentato due anni prima sulle Daimler. La trasmissione ad albero con giunti elastici comparve sull'automobile inglese Standard del 1903. Esperienze analoghe vissero negli stessi anni i costruttori degli Stati Uniti, anch'essi passati rapidamente – dopo le prime realizzazioni pionieristiche attuate con un certo ritardo rispetto all'Europa (protagonisti i fratelli C. e F. Duryea, E. Haynes, H. Ford, R. E. Olds e altri, nonché lo specialista in steamers F. O. Stanley) – alla fase industriale con la formazione delle prime società: Oldsmobile, Studebaker, Packard, Cadillac, Locomobile, Buick. A questo periodo (1903) risale anche la costituzione di quello che sarà il primo grande complesso industriale nel campo dell'automobile: la Ford Motor Company, dai cui stabilimenti nel Michigan esce, nel 1908, il modello Ford T, che fu protagonista del primo esempio di costruzione in grande serie nel mondo (la T aveva alcune caratteristiche non eccessivamente avanzate, come il cambio a pedale, ma si rivelò subito economica e robusta per la razionalità della sua impostazione costruttiva per cui nell'arco di tempo che va fino al 1927 ne vennero costruite oltre 15 milioni). Nel periodo fra il 1910 e l'inizio della prima guerra mondiale si affermarono le innovazioni tecniche destinate a porre le premesse dell'automobile moderna: fusione dei cilindri in un solo blocco, che porterà successivamente alla nascita del motore monoblocco; spostamento delle valvole, fino ad allora disposte ai due lati dei cilindri, su un fianco solo e infine sopra i cilindri stessi, con definitiva scomparsa di ogni automatismo su quelle di aspirazione; primi esperimenti di cambio sincronizzato e introduzione dello spinterogeno; abbandono dei motori monocilindrici e bicilindrici, con sviluppo di quelli a 4 cilindri e comparsa di quelli a 6 e a 8; avvento del carburatore a vaschetta e aspirazione dell'aria in luogo dei vecchi dispositivi a gorgogliamento d'aria; estensione dei freni alle quattro ruote (che però sono ancora fisse) e progressivo abbandono del sistema di freno a nastro per quello a tamburo; adozione anche sull'automobile a benzina degli ammortizzatori; comparsa (1912) del sistema di avviamento elettrico . All'inizio del secondo decennio del secolo si assiste alla comparsa di un effimero tipo di automobile, il cyclecar, leggero e alquanto veloce, ma meccanicamente poco robusto. Successivamente, dopo la parentesi della guerra e fin verso il 1925, l'automobile – che nel frattempo si era stabilizzata, dal punto di vista della carrozzeria, con prevalenza del tipo aperto (torpedo), in diretta connessione con il forte intensificarsi dell'attività agonistica – registrò un notevole numero di progressi, suggeriti soprattutto dal graduale avvento della fabbricazione in serie . La carrozzeria, realizzata con elementi d'acciaio stampato saldati fra loro, costituiva ormai una struttura indeformabile; nel sistema di frenatura si andò sempre più diffondendo il circuito idraulico di comando; le ruote, verso il 1924, cominciarono a essere fatte con lamiera stampata, a preferenza del vecchio sistema a raggi, e divennero smontabili (negli USA si preferì, fino al 1932, il sistema a ruote fisse con cerchione smontabile); gli pneumatici, che fino al 1923 erano stati di sezione ridotta e venivano gonfiati ad alta pressione, vennero realizzati di maggior sezione mentre si riduceva di molto la pressione d'esercizio, con conseguente miglioramento dell'aderenza; nell'impianto elettrico vennero introdotti numerosi miglioramenti specie per quanto riguarda il circuito d'accensione e la potenza erogata (da un decennio erano stati abbandonati i vecchi fari costituiti da antiquati bruciatori di acetilene in favore dei proiettori a lampadina elettrica); gli stessi motori diventavano più silenziosi grazie alla progressiva eliminazione delle fonti di vibrazioni e all'adozione, soprattutto per il cambio, d'ingranaggi più perfezionati e meno rumorosi; si introdussero, sulle automobili più costose, servomeccanismi e dispositivi a preselettore per il cambio. Con il 1926 cominciò la tendenza ad ammorbidire la linea spigolosa delle carrozzerie, che nel frattempo erano tornate prevalentemente chiuse, e a ridurre e poi a eliminare del tutto i predellini, con il contemporaneo abbassamento del pianale che porta la base della carrozzeria fino al livello dei marciapiedi; intanto comparve, per la prima volta, il bagagliaio chiuso, incorporato nella parte posteriore della vettura. Nello stesso periodo si assisté in Europa alla nascita dei primi modelli con caratteristiche utilitarie (per esempio la Renault 6 CV, la Peugeot Quadrilette): tali vetture si affermarono già negli anni Trenta (FIAT 508 e 500 Topolino, Lancia Aprilia) segnando una tendenza ancor oggi diffusa. Si accentua anche la tendenza a conferire alle carrozzerie migliori doti aerodinamiche, in ciò favoriti dagli sviluppi degli studi teorici di aerodinamica e dal progresso tecnologico che permise l'introduzione di tecnologie avanzate (per esempio i proiettori furono incorporati nella carrozzeria eliminando da questa spigolature non necessarie; furono introdotti nuovi sistemi di produzione di lamiere imbutite ecc.). Il numero dei modelli realizzati toccò limiti mai raggiunti, in concomitanza con la spinta industriale determinata dalla sempre maggior diffusione dell'automobile, a sua volta riconducibile alle forti riduzioni di prezzo conseguite all'avvento della produzione di grande serie. Fra le vetture di quest'epoca (che fra l'altro vede il generalizzarsi dei dispositivi, organi e sistemi ancor oggi in uso, sebbene più perfezionati) sono la Adler Trumpf (1932) e la Citroën 7 (1934), che riproponevano la soluzione della trazione anteriore. Numerose erano le altre innovazioni che presentava la Citroën 7 (che avrà il suo sviluppo industriale nella successiva derivata Citroën 11): dalle sospensioni a barre di torsione, al generale abbassamento della carrozzeria con conseguente miglioramento della tenuta di strada, alla sostituzione della leva del cambio con una minuscola manetta sul cruscotto. Fra l'altro, la Citroën 7 riprendeva, nella concezione architettonica integralmente rinnovata, il principio della scocca portante, già anticipato anni prima (1923) dalla Lancia con la sua Lambda, ma ancora contrastante con gli orientamenti di quasi tutta la produzione automobilistica dell'epoca legata al concetto del telaio a trave longitudinale o a quadrilatero, sul quale vengono applicati organi meccanici e carrozzeria. Negli anni Trenta l'industria automobilistica consolidò i propri orientamenti costruttivi sui principi della carrozzeria unitaria, realizzata nella forma prevalente della berlina chiusa a duplice fila di sedili (spesso con l'aggiunta di strapuntini ribaltabili) oppure della decappottabile con mantice in tela. I motori presentavano potenze specifiche già abbastanza elevate, conseguenti l'avvento di benzine con buone caratteristiche antidetonanti; hanno regime massimo che toccava già i 3500-4000 giri al minuto; sono disposti in prevalenza anteriormente e la potenza era trasmessa quasi sempre alle ruote posteriori mediante trasmissioni cardaniche. Il cambio, con comando a leva lunga, era, salvo che nelle auto più costose, privo di dispositivi di sincronizzazione. Accanto alla produzione di serie ebbe un considerevole sviluppo la fabbricazione, a opera di costruttori specializzati, di automobili fuori serie realizzate su gruppi meccanici forniti dalle grandi industrie, e di automobili di lusso di elevata cilindrata, spesso dotate di organi (per esempio servosistemi) complessi e di accessori estremamente elaborati, destinate a una clientela privilegiata. In quest'epoca reti di distributori di benzina abbastanza fitte si erano già costituite lungo le strade principali dei Paesi tecnologicamente avanzati (adattatisi alle esigenze della circolazione automobilistica) mentre si assisté allo sviluppo delle reti di officine per l'esecuzione di riparazioni e operazioni di manutenzione, nonché di negozi per la vendita di parti di ricambio.
Storia: l'auto di massa
Con la seconda guerra mondiale gli autoveicoli dimostrarono tutta la loro utilità: prodotti a catena in gran numero, dovevano garantire la massima affidabilità e avere una meccanica e motori in grado di sopportare notevoli sollecitazioni in ogni condizione ambientale e d'esercizio. Nel dopoguerra, questo favorì il progresso tecnico e quindi la produzione in serie dell'automobile per usi civili, che portò alla costituzione di grandi complessi industriali, oltre alla già citata Ford, General Motors, Chrysler, Volkswagen, Opel, Renault, Citroën, FIAT, Peugeot, British Leyland, i più importanti, e all'affermazione di piccole Case di prestigio quali Alfa Romeo, Lancia, Ferrari, Maserati, Daimler-Benz (poi divenuta Mercedes), Volvo, BMW, Porsche, Audi, Jaguar, Rover, Bentley, in Europa, e Cadillac, Chevrolet, Buick, Plymouth, Pontiac, negli USA. Dal punto di vista costruttivo negli Stati Uniti si assiste al “gigantismo” con modelli di grandi berline appariscenti e massicce, con la carrozzeria a tre volumi arricchita da eccessive modanature, che richiedeva robusti autotelai e quindi motori di grossa cilindrata, spesso con cambio al volante e sedile anteriore a tre posti, tendenza che verrà mantenuta per molte vetture fino agli anni Sessanta. Nell'Europa occidentale, terminata la fase di ricostruzione industriale, iniziò un progressivo sviluppo del mercato automobilistico che puntò essenzialmente su due tipologie di berline con carrozzeria di contenute dimensioni: quelle di prestigio, caratterizzate da un'accurata ricerca dello stile con forme aerodinamiche ed eleganti, e quelle di piccola e media cilindrata con spiccata funzionalità e semplicità costruttiva. Tipiche di questa ultima tendenza furono la Volkswagen Maggiolino di 1131 cm3 di cilindrata (1948) , con motore e trazione posteriori, seguita nello stesso anno dalla Citroën 2 CV con cilindrata di 375 cm3, prima vera e propria utilitaria con motore e trazione anteriori, entrambe con raffreddamento ad aria. Negli anni Cinquanta cominciarono ad affermarsi le marche giapponesi Nissan, Toyota, Honda, che scelsero la filosofia costruttiva europea e che ben presto misero sul mercato internazionale automobili utilitarie, anche di media cilindrata, efficienti e spartane a prezzi estremamente competitivi. Negli stessi anni, le Case europee ampliarono la produzione di vetture di classe, derivando da queste anche carrozzerie sportive diversificate (coupé, spider, cabriolet), tutte con motori dalle prestazioni brillanti e con dotazioni e abbigliamento accurati. Tra le berline vanno ricordate: la Mercedes 170 DS (1952), l'Alfa Romeo Giulietta (1954), la Citroën DS (1956), la Lancia Flavia (1960), vetture provviste di cambio con marce sincronizzate, freni a disco almeno sulle ruote anteriori, sospensioni con ammortizzatori idro- o oleopneumatici, alcune con alternatore al posto della dinamo, doppio circuito frenante, servofreno e servosterzo; sulle Mercedes vennero montati i primi pneumatici senza camera d'aria (tubeless). La Citroën e la Lancia adottarono anche soluzioni motoristiche cadute in disuso, riproponendo sistemi motore-trazione anteriori, di nuova concezione, che consentivano un maggior spazio nell'abitacolo: questa tendenza si affermerà progressivamente in quasi tutte le utilitarie Citroën, Mini, Peugeot, Austin, Autobianchi ecc. Vennero prodotte anche alcune piccole vetture “tutto indietro”, cioè con motore e trazione posteriori (NSU Prinz, FIAT 600 e 500), e cominciarono a essere costruite automobili di media cilindrata con motore Diesel (Peugeot 204, 1357 cm3). Gli anni Sessanta e Settanta sono caratterizzati dal cosiddetto boom economico dovuto all'impetuoso sviluppo di tutti i settori produttivi, trainati proprio dall'industria dell'automobile che, con il suo articolato indotto, favorì la comparsa di nuove attività e quindi la piena occupazione, con un notevole miglioramento delle condizioni economiche generali nei Paesi occidentali e in Giappone. Questi sono gli anni del massimo sviluppo della produzione automobilistica, che riversò sul mercato centinaia di modelli di ogni cilindrata e classe, tanto che alla fine degli anni Settanta la produzione di autoveicoli raggiunse livelli record e l'automobile diventò uno status symbol anche per le classi emergenti dei Paesi extraeuropei, nei quali le piccole ed economiche vetture del Giappone venivano vendute a rateazioni assai basse e lunghe. Durante questo periodo le automobili giapponesi, per i loro prezzi contenuti, si affermarono anche sul mercato americano e poi in quello europeo nonostante i protezionismi commerciali di alcuni Paesi, come l'Italia, che imposero "contingentamenti" all'importazione. Europa e Stati Uniti contrastarono la concorrenza puntando sulle caratteristiche estetiche e la molteplicità dei modelli e introducendo continui perfezionamenti tecnici. Per tutte le vetture europee fu adottata la cosiddetta scocca portante che, semplificando il ciclo di produzione, permetteva di applicare motori diversi su uno stesso modello di carrozzeria; inoltre, fu perfezionato il cambio a marce tutte sincronizzate e divenne generale l'uso dell'alternatore, dei freni a disco con doppio circuito idraulico sulle vetture di grossa cilindrata, della distribuzione con albero a camme in testa, delle sospensioni con barre, bracci, ammortizzatori telescopici, molloni al posto delle balestre, che garantivano una più sicura tenuta di strada alle alte velocità. La carrozzeria prodotta per stampaggio consentiva continue modifiche dei vari modelli (restyling) che permise alle Case di adeguarsi a un mercato in rapida e continua evoluzione. In questo campo i designers italiani (Pininfarina, Bertone, Giugiaro, Zagato, i più noti) si posero ben presto all'avanguardia, non solo nel settore delle fuoriserie e delle automobili di prestigio, ma anche in quello delle utilitarie e delle vetture di media cilindrata, suggerendo nuove soluzioni estetiche con un alto contenuto tecnico; un esempio resta la Giulia dell'Alfa Romeo (1962), berlina a tre volumi con “coda mozza” la quale, limitando la turbolenza posteriore, migliorava il coefficiente di penetrazione nell'aria (soluzione dalla quale sono derivate le moderne vetture a due volumi e mezzo), questa automobile era caratterizzata anche da carrozzeria a deformazione progressiva, modalità costruttiva divenuta d'uso generale per tutte le vetture di moderna produzione. Nel 1967, per la prima volta venne sperimentato un nuovo tipo di motore a capsulismi, detto a pistone rotante, ideato da F. Wankel, che fu montato su una vettura tedesca, la NSU RO 80. Questa aveva due “rotori” da 468 cm3, che presentavano il vantaggio di non avere parti oscillanti alternative e quindi riducevano al minimo le vibrazioni e la rumorosità del propulsore; a causa della cattiva tenuta delle guarnizioni del pistone rotante, nonché della minor durata e affidabilità, in Europa non ebbe seguito ma gli studi furono continuati dalla giapponese Mazda che nel 1992 è giunta a realizzare una coupé tre porte, la RX-7-turbo, dotata di due rotori per complessivi 1308 cm3, doppio turbocompressore, alimentazione a iniezione multipoint, accensione elettronica a controllo integrato, in grado di raggiungere i 250 km/h. Dagli anni Cinquanta, negli Stati Uniti, erano andate affermandosi le cosiddette station wagons, grosse berline a due volumi con bagagliaio integrato all'abitacolo, adatte per trasporti promiscui e per il tempo libero, che furono subito imitate da tutte le Case (in Italia ebbero i nomi di “giardinetta”, le piccole, e di “familiare” le più grandi). Altra categoria di vetture, prodotte da Chevrolet, Chrysler e Ford, che ebbe subito un notevole successo, fu quella delle “fuoristrada”, grossi veicoli robusti, alti dal suolo, nei quali è possibile inserire la trazione anche sull'avantreno, oppure già dotati di quattro ruote motrici, adatti a circolare sia su strada sia su terreni sconnessi; queste vetture furono prodotte anche dalle Case giapponesi Nissan, Toyota, Suzuki e dalla Rover (rilevata dai cinesi), divenuta assai nota per le prestazioni e il comfort dei suoi veicoli. In questi anni l'economicità di esercizio e la maneggevolezza delle più piccole e veloci vetture europee e giapponesi portò a una loro crescente diffusione sul mercato statunitense, tanto che il governo degli USA impose limiti di velocità e soprattutto severe norme restrittive in termini di sicurezza passiva, con l'evidente scopo di proteggere le industrie nazionali. Le Case europee si adeguarono producendo le serie “America”, cioè modelli che tenevano conto delle normative governative, mentre il Giappone rispose facendo addirittura montare le proprie vetture, elaborate secondo la richiesta del mercato statunitense, in piccole industrie locali; ciò causò una grave crisi dei produttori statunitensi (tanto che persino la Chrysler giunse sull'orlo del fallimento), poi superata grazie alla creazione in Europa di consociate per la costruzione in loco di modelli adatti ai mercati europei. Quasi tutti modificarono in parte la loro filosofia costruttiva indizzandosi verso lo styling europeo, facendo anche disegnare da carrozzieri italiani automobili di dimensioni più contenute e senza eccessi di modanature; un esempio è stata la Pinto della Ford (1970), berlina a due porte, con cilindrata di 2301 cm3, dotata di vari optionals, che aveva scocca portante (soluzione in seguito accettata per quasi tutti i veicoli di cilindrata inferiore ai 2000 cm3) e meccanica di concezione europea, con motore anteriore e trazione posteriore.
Storia: gli sviluppi tecnici e del mercato
Già dall'inizio degli anni Settanta, la motorizzazione di massa, la crescente concorrenza fra le varie Case, in particolare di quelle giapponesi, l'affermazione di nuovi costruttori asiatici (Daewoo e Hyundai ) e soprattutto le mutevoli esigenze dei mercati, con la richiesta di una maggior sicurezza passiva delle automobili e di costi d'esercizio più contenuti, avevano portato alla progettazione di nuove ed efficienti carrozzerie, valendosi delle gallerie del vento e a elaborare soluzioni meccaniche e motoristiche, che garantissero migliori prestazioni, con una riduzione dei consumi di carburante, senza diminuire l'affidabilità e la sicurezza della vettura. In Europa, la sagoma delle automobili piccole e medie assunse profilo a cuneo e a coda mozza, senza spigoli vivi e con maniglie incassate, con cristalli di sicurezza e parabrezza bombati per favorire il deflusso dell'aria. Antesignana di questa concezione fu l'Alfa Romeo Alfasud (1971), seguita poi dalla Citroën GS Club (1974), dalla Volkswagwn Polo (1975) e dalla FIAT 128 3P (1975), tutte con motore e trazione anteriori. Per una maggior sicurezza passiva furono anche generalizzate la struttura a deformazione progressiva della scocca con una maggiore elasticità del tetto e delle portiere, la regolazione della posizione dei sedili e del volante, i poggiatesta regolabili, l'insonorizzazione dell'abitacolo, mentre negli USA furono introdotti i serbatoi a tenuta d'urto con interruttori del flusso della benzina, per evitare incendi in caso d'incidente, le cinture di sicurezza e gli air bags, a protezione del guidatore in caso d'urto frontale. Frattanto negli Stati Uniti veniva affrontato il problema del crescente inquinamento dell'aria delle città, provocato dalla saturazione del traffico automobilistico, tanto che il governo statunitense fu indotto a promulgare le prime norme, onde ridurre le emanazioni di gas incombusti dai motori. La Chrysler Cordoba (1974) fu la prima vettura dotata di alimentazione controllata e di uno speciale dispositivo per il ricircolo dei gas entro la marmitta. In Europa, invece, nel 1972 la BMW aveva sperimento con successo, per la sua 520i, l'iniezione indiretta al posto del carburatore, e nel 1973, per il suo modello 2002, adottò per la prima volta la sovralimentazione mediante turbocompressore, azionato dal motore stesso, entrambi sistemi che presentavano il vantaggio di minori emanazioni inquinanti. Nello stesso periodo, venivano studiati sistemi per l'ottimizzazione del rendimento del motore mediante carburatori a doppio corpo e nuove valvole a regolazione automatica, inoltre furono adottati il raffreddamento del motore a circuito chiuso con liquido speciale, nuovi rapporti di cambio demoltiplicati con la generalizzazione della quinta marcia di economia (overdrive). Tipica della nuova strada europea nella produzione di automobili di cilindrata medio-alta può essere considerata l'Alfa Romeo Alfetta (1974), berlina a tre volumi e trazione posteriore, caratterizzata da uno speciale ponte De Dion, che consentiva di tenere sospeso sul retrotreno il monoblocco, cambio-frizione-differenziale, e di poter meglio bilanciare i pesi della vettura; aveva sospensioni a bracci oscillanti per l'assetto bilanciato del veicolo, ripartitore di frenata con limitatore automatico sul retrotreno e doppio circuito frenante, nonché due carburatori doppio corpo. Dalla seconda metà degli anni Settanta si generalizzò la creazione, in diversi Paesi stranieri, di molti impianti di produzione da parte delle grandi industrie automobilistiche: in Europa, la Ford installò stabilimenti in Germania, Spagna, Belgio; la Chrysler in Francia e Austria; la Honda e la Nissan in Gran Bretagna e Spagna; anche la Volkswagen, l'Opel, la Renault, la Citroën e la FIAT costruirono fabbriche, o realizzano joint ventures con piccole Case locali, in altri Paesi europei e soprattutto extraeuropei. Mentre le automobili europee di media e alta cilindrata reggevano bene la concorrenza, occupavano, invece, sempre più larghe nicchie di mercato quelle giapponesi e coreane di piccola cilindrata, tanto che per contrastarle vennero prodotte nuove utilitarie, “berlinette” compatte a due volumi, con motore a trazione anteriori, di diverse cilindrate, persino con motori Diesel (FIAT Ritmo, Citroën Visa, Peugeot 205, Renault R5, Volkswagen Golf), e si adeguò a queste anche la produzione di automobili costruite dalle Case americane in Europa. Le automobili di classe, come le Mercedes, le Jaguar, le Rover, le Volvo , le BMW, le Alfa Romeo, le Lancia e le cilindrate superiori della Renault, Citroën, Peugeot, Opel, Volkswagen, vennero dotate di molti optionals di serie quali: lunotto termico, contagiri e contachilometri elettronici, orologi al quarzo, tergicristallo posteriore, luci posteriori rosse antinebbia e luci gialle di stazionamento lampeggianti, oltre a servofreno, servosterzo e doppio circuito frenante. Per alcune vetture europee di maggior cilindrata divenne possibile montare a richiesta il cambio automatico, praticamente di serie negli Stati Uniti. Sul finire degli anni Settanta, i costruttori statunitensi lanciavano sul mercato piccoli veicoli sportivi di media cilindrata dotati di trazione integrale inseribile (SUV), subito perfezionati dalle Case giapponesi e coreane che ne fecero vetture di serie. Nello stesso periodo si diffusero sempre più i motori dotati di turbocompressore, fra le altre innovazioni vi furono il differenziale autobloccante e il controllo termostatico della ventola del radiatore, vennero sperimentati dispositivi antislittamento delle ruote e si studiarono nuovi sistemi di alimentazione a iniezione. Con gli anni Ottanta il mercato dell'automobile cominciò a dare segni di stanchezza per saturazione: il parco macchine aveva raggiunto cifre assai elevate, più di 600 milioni di vetture, in buona parte costituite da veicoli con età compresa fra 7 e 15 anni e oltre, fenomeno dovuto soprattutto al ricircolo delle automobili usate, non solo nei Paesi del Terzo Mondo, ma anche in quelli emergenti e industrializzati. Questo, unito all'aggravarsi dei problemi relativi ai consumi, al traffico, all'inquinamento e alla scarsa sicurezza dei mezzi di vecchia costruzione, indusse i costruttori a una diversa politica d'investimenti, puntando sull'aerodinamica delle carrozzerie, l'affidabilità dei motori e della meccanica, su nuovi sistemi antinquinamento e per la sicurezza passiva, ma soprattutto sulla dotazione di serie di vari optionals. Le vetture furono realizzate con accurati studi nelle gallerie del vento e severe prove simulate di comportamento su strada e d'urto contro barriere. In Europa, sulle automobili di classe (Lancia, Alfa Romeo, Audi, BMW, Volvo, Mercedes, Rover ecc.), vennero montati di serie motori a ciclo Otto e Diesel, con alimentazione a iniezione e turbocompressore, inoltre cominciarono a essere proposte cilindrate diverse per uno stesso modello di carrozzeria; questa, di norma, è una berlina a due volumi e mezzo o a tre volumi, ma vengono previste anche le station wagons e piccole serie di sportive (coupé, spider, cabriolet ). Per tutte le automobili si generalizzava la trazione a motore anteriore, con la conseguente realizzazione di abitacoli comodi e confortevoli (solo Mercedes, BMW, Volvo, oltre alle Case statunitensi, continuarono ad adottare soluzioni tradizionali). Per le utilitarie si progettarono nuove carrozzerie compatte a due volumi, con due o quattro porte, ma tutte con portellone posteriore nel quale è inserito il lunotto, che migliora sia l'abitabilità sia la capacità di carico (FIAT Panda e Uno, Ford Fiesta, Opel Kadett, Peugeot 104, Volkswagen Polo, tra le europee alle quali si adeguarono subito quelle prodotte dalle Case asiatiche), e furono studiati per queste anche motori a ciclo Diesel di contenute dimensioni. Sulle automobili di media cilindrata e, poi, sulle piccole cominciarono a essere montati di serie accessori un tempo prerogativa delle automobili di pregio e si generalizzarono il circuito sigillato per il raffreddamento del motore e le luci di stazionamento intermittenti. Dato il crescente interesse per le fuoristrada, varie Case (Suzuki, Nissan, Mitsubishi, Citroën, FIAT, Volkswagen ecc.) misero in produzione anche vetture di contenute dimensioni di media cilindrata, con trazione integrale o inseribile. Frattanto, nel 1983, negli Stati Uniti, venne proposto dalla Chrysler un nuovo modello di vettura, la Voyager, di aspetto simile a quello delle station wagons, ma con un abitacolo esteso a quasi tutta la carrozzeria, con il vano motore molto ridotto e in parte sotto il pianale, per cui poteva ospitare 6-8 posti effettivi. Queste automobili, denominate van e divenute note col nome di monovolume, ebbero un notevole successo e furono subito imitate in Francia, con la Renault Espace, e poi anche da tutti gli altri costruttori. A partire dalla metà degli anni Ottanta, le severe norme antinquinamento emanate dal governo statunitense avevano stimolato negli USA una sempre maggior applicazione dell'elettronica all'automobile, designata col brutto neologismo di “autonica”, per questo vennero prima studiati e impiegati su vasta scala sistemi per regolare il regime del minimo nei carburatori, interrompendo in fase di rilascio il flusso del carburante (sistema cut off), e successivamente si generalizzò l'iniezione indiretta del carburante in modo da ottimizzare la miscela; per i motori Diesel fu adottato anche l'intercooler. Nello stesso periodo vennero sempre più utilizzati dispositivi elettronici per facilitare l'avviamento a freddo e per mantenere costante la velocità senza impegnare il piede sull'acceleratore (cruise control); inoltre si sperimentarono più valvole per cilindro al fine di migliorare il rendimento del motore con minori consumi di benzina; infine si stabilì per legge la generale introduzione delle marmitte catalitiche, per ridurre le emissioni inquinanti. Tutte queste innovazioni furono rapidamente assimilate e spesso perfezionate dai costruttori europei, coreani e giapponesi, questi ultimi svilupparono anche nuovi tipi di trazione integrale per le vetture di serie, soprattutto per le station wagons. In Europa, al fine di ottenere una maggiore stabilità del veicolo, in particolari condizioni del fondo stradale (neve, bagnato, ghiaccio, fango), si studiarono sistemi per inserire la trazione integrale durante la marcia, basati su particolari differenziali, centrale e agli assi, che provvedono a ripartire la coppia motrice fra i due assi in modo da garantire la migliore distribuzione della potenza. Vennero, infine, proposti anche nuovi cambi automatici con variazione continua del rapporto di trasmissione (sistema CVT). Gli studi sulla sicurezza di guida portarono a elaborare nuovi tipi di servosterzo a comando idraulico, più efficienti impianti frenanti (servofreno accoppiato a ripartitori di frenata, dischi autoventilanti, nuovi materiali di attrito privi di amianto), diversi sistemi di sospensioni interconnesse e/o a più bracci (multilink), dispositivi per evitare lo slittamento e/o il pattinamento delle ruote (antiskid), materiali autoestinguenti per la componentistica e per i rivestimenti interni. Cominciarono anche a essere introdotti diversi servomeccanismi di servizio quali: la chiusura centralizzata delle portiere e l'orientamento dello specchietto retrovisore dall'interno mediante una levetta (joy stick), nonché avvisatori acustici e/o spie luminose sul cruscotto per segnalare la cattiva chiusura delle portiere, i livelli di olio dei freni e della frizione e, sulle automobili di prestigio anche dispositivi che controllano se le pastiglie dei freni sono logore, se l'impianto di alimentazione presenta difetti. Su alcune vetture di maggior cilindrata, negli USA, si generalizzò l'uso del climatizzatore idroelettrico e di un dispositivo (trip computer) che, rilevando lo spazio percorso, il tempo trascorso dalla partenza e il consumo di carburante, forniva al conducente ogni possibile indicazione relativa alle condizioni della vettura e alla correttezza di marcia e di guida.
Storia: la crisi dell'automobile
Durante gli anni Ottanta, le maggiori Case si sono orientate verso una diversa filosofia di produzione, anche perché l'automobile ha quasi raggiunto il limite per una sua radicale innovazione. In primo luogo hanno provveduto alla massiccia automazione degli impianti di produzione, favorite in ciò dall'impiego di macchine a controllo numerico, di sofisticati robot e di cicli di lavorazione che non richiedono o quasi l'intervento dell'uomo. Sul piano tecnico hanno proceduto al costante perfezionamento degli organi meccanici e delle prestazioni del propulsore, valendosi soprattutto dell'applicazione dell'elettronica, mentre sul piano commerciale hanno puntato sullo stilyng della carrozzeria e sulle dotazioni di accessori per invogliare gli acquirenti a cambiare vettura. Inoltre, per abbattere i costi senza diminuire i profitti, sono giunte alla standardizzazione di parecchi componenti di serie, che possano essere fabbricati dai settori industriali o dall'indotto specializzato nella progettazione di cambi, sospensioni, frizioni, sistemi elettronici, accessori, nonché di vari apparati ausiliari e di alcuni elementi meccanici. Le automobili, pertanto, sono prodotte in diversi stabilimenti, anche molto distanti fra loro, e poi assemblate nella Casa madre (che in genere provvede alla realizzazione del progetto e spesso di alcune parti quali motore, scocca e carrozzeria) o in altre fabbriche, dislocate in Paesi diversi, soprattutto dove il costo del lavoro è decisamente molto basso. Tuttavia, la diffusione sui mercati delle automobili a prezzi competitivi, prodotte dai costruttori asiatici, e la crisi economica mondiale, con la conseguente diminuzione della capacità di acquisti in massa di nuovi veicoli, dalla metà degli anni Novanta, hanno portato a una preoccupante contrazione delle vendite in tutti i Paesi, soprattutto in quelli europei. Le varie industrie automobilistiche hanno cercato così di superare la crisi in diversi modi, sia con supervalutazione dell'usato e forti sconti, sia con l'incentivazione economica, alla rottamazione delle automobili. Nello stesso periodo, severe normative in materia d'inquinamento da gas di scarico sono state emanate dalla CEE (direttive 92/97 e 93/59), con l'obbligo di dotare tutte le nuove vetture di marmitte catalitiche, mentre è andata aumentando la richiesta di una maggior sicurezza passiva del veicolo ed è stato imposto, per legge, l'uso delle cinture di sicurezza, il cui montaggio deve avvenire già in fabbrica. A partire dagli anni Novanta l'automobile appare così caratterizzata da una certa uniformità stilistica delle carrozzerie, che hanno in gran parte forme aerodinamiche tondeggianti a cuneo, con Cx molto basso, tetto privo di gocciolatoi e raccordato a filo delle portiere, fanaleria di grandi dimensioni incassata nel frontale e nel fascione posteriore, superfici vetrate ampie. Quasi tutte le automobili, anche nelle cilindrate superiori, sono a due o due e mezzo volumi, con ampio portellone posteriore; tipiche fra le europee: le FIAT Marea , Bravo e Brava, Punto, Stilo; le Ford Focus e Mondeo; le Lancia Musa e Y; le Mercedes classi A, C, L, K, M, E; le Renault Mégane e Modus; le Citroën Saxo, Xara e C3. Molto diffuse sono anche le station wagons, i coupé, gli spider e le cabriolet, mentre si sono imposte le monovolume di piccole dimensioni come la Twingo della Renault, la Micra della Nissan e la 600 della FIAT. Due nuove categorie di automobili sono, invece, i minivan e le citycar. I primi sono veicoli per trasporti ibridi (persone e/o cose), di piccola o media cilindrata, con dimensioni contenute entro i 3,5 m di lunghezza e abitacolo simile a quello dei furgoncini, ampio e in grado di ospitare fino a sei sedili in parte smontabili (noti col nome di pick-up) oppure con predisposizione sul pianale di attacchi per questi e/o anche per panche laterali (noti col nome di combi), come la Berlingo della Citroën e la Doblò della FIAT. Le seconde comprendono tutte le vetturette di piccola cilindrata quali la Honda Today, la Mitsubishi Minica, la Ford Ka, la Smart della Mercedes-Swatch, molto adatte a circolare nel traffico cittadino, ma soprattutto quelle di nuova concezione dette microcar come la Nova e la BeUp della Liger, la M500 della Piaggio o le Aixam Mega e Gold, la cui lunghezza non supera i 2,7 m e con motorizzazioni contenute fra i 505 e i 650 cm3. Si tratta di motori Diesel, di derivazione agricola, che collocano il primo nella classe dei quadricicli leggeri guidabili senza patente e il secondo nella classe dei quadricicli pesanti guidabile con patente per motocicli. La possibilità di guida senza patente, la dimensione adatta al traffico urbano e l'inquadramento fiscale simile ai ciclomotori hanno fatto esplodere le vendite delle minicar soprattutto tra i giovani, gli anziani e gli extracomunitari senza residenza. Sono oltre 250.000 le microcar circolanti in Europa, di cui 140.000 solo in Francia e oltre 18.000 in Italia. Le soluzioni più seguite dalle varie Case restano, comunque, il montaggio di nuove carrozzerie su meccanica e motorizzazione di veicoli da tempo in produzione, l'offerta per quasi tutte le nuove automobili, anche di media e piccola cilindrata, di molti optionals, oltre che di diverse motorizzazioni per uno stesso modello. Ormai anche Case di prestigio, quali la Mercedes, la Volvo e la Saab, nonché quasi tutte quelle statunitensi, hanno optato per la soluzione di motori a trazione anteriore, che consentono di utilizzare componenti meccanici comuni a molti altri veicoli, con notevoli risparmi dei costi di produzione. La tendenza appare quella di proporre nuovi modelli o varianti dei precedenti, dotati di un sempre maggior numero di dispositivi e accessori, che via via vengono offerti di serie per ogni classe di vetture; tra le automobili più significative apparse tra la fine del sec. XX e l'inizio del XXI si possono citare: la Ford Focus, la Volkswagen Lupo, la FIAT Multipla, le Toyota Lexus e Yaris, le Citroën C2 e C3, la Nissan Micra Diesel, la Honda Accord, la Chrysler 300 M e soprattutto l'Alfa Romeo 166 twin spark, grande berlina con motore sei cilindri, dotata di cambio derivato da quello delle Formula 1, FDR, ripartitore elettronico della frenata, air bags laterali e numerosi altri accessori, e la 147. Infine, è andato aumentando il numero di vetture, soprattutto di medio-alta cilindrata, che propongono di serie la trazione integrale permanente, come la BMW x3, la Audi S4, la Lancia Delta e di quelle adatte o progettate per il fuoristrada, anche di piccola cilindrata come la FIAT Panda 4x4, o le Suzuki Santana e Vitara. La ricerca per la sicurezza passiva ha portato a generalizzare carrozzerie a deformazione progressiva, in grado di cedere “lateralmente” a fisarmonica, in caso di urto frontale, salvaguardando l'abitacolo, che viene protetto dagli urti laterali anche da barre antintrusione, poste nelle portiere. Onde evitare una rapida corrosione, le lamiere vengono trattate con zinco in bagni elettrolitici e protette con più strati antiruggine prima della verniciatura finale, che spesso viene fatta con prodotti contenenti polvere di zinco in sospensione (vernici metallizzate). L'adozione obbligatoria delle marmitte catalitiche, inoltre, ha richiesto per i motori l'accensione e l'alimentazione a iniezione, entrambi di tipo elettronico, con la modifica dei condotti di aspirazione dei motori, la generalizzazione di più valvole e l'impiego sulle vetture brillanti di due candele per cilindro (sistema twin spark). Per migliorare la tenuta di strada, oltre a nuovi tipi di sospensioni, all'ABS (obbligatorio dal 2006), e a differenziali sono stati introdotti sulle vetture di pregio sistemi a comando elettronico in grado di intervenire automaticamente sull'assetto del veicolo in ogni condizione di strada, di marcia e anche di guida (DSC, FDR). All'inizio del Duemila il futuro dell'automobile si presenta quanto mai incerto, soprattutto, a causa della recessione economica che ha colpito i Paesi industriali e delle gravi contraddizioni del mercato globale, con la concentrazione di enormi profitti nelle mani di pochi centri di potere, che cercano di continuo dove e come produrre a costi sempre più bassi e di sostituire il lavoro umano con l'automazione dei sistemi produttivi, per questo nei laboratori specializzati del settore sono allo studio soluzioni tecniche che puntano sulla produzione a basso costo di veicoli ecologici, come le automobili elettriche.
Tecnica: architettura e organi meccanici
"Per la tecnica vedi schemi e disegni al lemma del 3° volume e dell’Aggiornamento 1995." L'architettura dell'automobile si è definitivamente stabilizzata secondo uno schema generale, che comprende la struttura portante e la carrozzeria "Per la tecnica sono illustrati a pag. 201 del 3° volume: lo spaccato generale di un’automobile a tre volumi lo schema di circuito idraulico per freni a disco con servofreno- lo schema tipo di impianto elettrico i principali tipi di carrozzeria" , l'apparato motore con i relativi sistemi di alimentazione, gli organi di trasmissione e di guida, le ruote con le relative sospensioni, l'impianto frenante ed elettrico, i dispositivi ausiliari e gli accessori. La struttura è costituita schematicamente da una sorta di “gabbia” rigida (scocca portante), con zona centrale e vano motore molto più resistenti, costruita con elementi di acciaio scatolati saldati fra loro, nella cui parte inferiore (pianale) sono predisposti i supporti e gli attacchi per i vari organi meccanici. Su di essa viene fissata la carrozzeria, che per maggior sicurezza è del tipo a deformazione progressiva a cedimento laterale, con l'abitacolo più resistente e portiere rafforzate da barre antintrusione in acciaio, il quale può essere protetto anche da un “anello” di acciaio speciale con funzione di roll-bar; sono utilizzate anche strutture in leghe leggere e carrozzerie in fibra di vetro e/o materiale plastico. Per la progettazione della carrozzeria, ormai, tutte le Case seguono un criterio uniforme sia per la realizzazione di nuovi modelli, sia per il restyling di quelli già esistenti. I tipi più diffusi sono le berline, con struttura chiusa e due o quattro porte, molte con vano bagagli interno all'abitacolo e con portellone posteriore (cinque porte), comprendente il lunotto. La soluzione estetica più adottata è quella di forme a cuneo tondeggianti, con ampia fanaleria incassata e paraurti integrati, tetto privo di gocciolatoi raccordato a filo delle portiere e più o meno inclinato verso il fascione posteriore. Le piccole cilindrate sono in genere a due volumi (senza coda), le altre a due volumi e mezzo (breve coda per aumentare la capacità dell'abitacolo), ma per le categorie superiori, soprattutto negli Stati Uniti, sono diffuse anche quelle a tre volumi, ossia con abitacolo ben distinto e separato dal vano bagagli. Per quasi tutti i modelli sono previste anche carrozzerie station wagons, a due volumi con abitacolo integrato ad ampio vano bagagli e con portellone; dalle berline derivano, in genere, i modelli sportivi (coupé, spider, cabriolet) di serie, mentre per le fuoriserie vengono elaborate carrozzerie originali (per esempio le “berlinette” Ferrari). Tipi particolari di vetture sono: le limousine, grandi berline di rappresentanza lunghe non meno di 5 m e con tre o più finestrini per fiancata; le monovolume, o van, con abitacolo che giunge fino alla coda e vano motore molto ridotto, per cui può ospitare fino a otto e più posti secondo le dimensioni; i minivan (pick-up e combi) dall'aspetto di furgoncino, adatti per trasporti promiscui o quali minibus; i fuoristrada, con carrozzeria alta dal suolo, squadrata e molto robusta, di dimensioni variabili a seconda del modello e della cilindrata, due o quattro porte con portellone posteriore, adatta per terreni accidentati; forme diverse hanno vari altri veicoli in genere utilizzati per il tempo libero, come le dune buggy. L'apparato motore comprende, oltre al propulsore, che può essere a ciclo Otto (a benzina, ma anche a GPL e metano) oppure Diesel (a gasolio), i sistemi di accensione, alimentazione, lubrificazione e raffreddamento: prevale la formula a quattro cilindri con quattro valvole per ciascuno, ma anche sei o otto (persino tre) cilindri con tre, cinque, sei valvole per ciascuno. In genere i cilindri sono disposti in linea o a “V”, ma possono essere anche contrapposti (boxer). I motori sono tutti provvisti di uno o due alberi a camme in testa e di comando della distribuzione a cinghia, catena o ingranaggi. Sempre più diffuso, sulle automobili delle gamme superiori, il turbocompressore azionato dal motore stesso che, aumentando la pressione dell'aria e del carburante che formano la miscela, consente prestazioni brillanti anche a basso numero di giri. La lubrificazione degli organi in movimento viene fatta con olio multigrado, mentre per il raffreddamento si utilizza un liquido termoresistente, che viene fatto circolare entro un circuito chiuso collegato al radiatore; i gas combusti e incombusti provenienti dal motore sono convogliati in collettori di scarico accoppiati entro il tubo di scappamento e fatti circolare attraverso filtri con funzione di silenziatore per passare, infine, nella marmitta catalitica. Questo dispositivo è stato studiato per abbattere i gas nocivi ed è reso obbligatorio dalle leggi antinquinamento; per poterlo utilizzare sono indispensabili l'accensione e l'alimentazione a iniezione, entrambe a controllo elettronico, nonché l'uso rigoroso di benzina verde e di gasolio depurato, al fine di evitare che vengano resi inattivi i vari componenti (ceramica speciale, metalli allo stato poroso, resine sintetiche). Infine, per una maggior sicurezza si debbono installare serbatoi resistenti all'urto, dotati di interruttore inerziale automatico che blocca l'afflusso di carburante al motore, impedendo che prenda fuoco in caso di scontro violento. Gli organi di trasmissione comprendono il cambio, la frizione, l'albero di trasmissione, il differenziale e i semiassi sui quali sono montate le ruote. In quasi tutti i veicoli in produzione, che adottano la soluzione motore a trazione anteriore, per cui il moto viene trasmesso direttamente alle ruote anteriori che sono anche direttrici, il differenziale (che consente alla coppia di ruote motrici un movimento armonico) costituisce un monoblocco insieme con il cambio e la frizione, manca quindi l'albero di trasmissione che esiste, invece, nei sistemi a trazione posteriore. In molte vetture, soprattutto fuoristrada, viene adottata la trazione integrale con tutte e quattro le ruote, sia permanente, sia inseribile durante la marcia, che però richiede un differenziale supplementare di tipo autobloccante. Il collegamento fra cambio e albero motore avviene tramite la frizione dotata di materiale d'attrito in fibre sintetiche e carbonio (abolito l'amianto), montato su di un disco metallico, il cui reggispinta resta sempre a contatto con una molla a diaframma, migliorando la funzionalità di questo organo. In quasi tutte le vetture, anche nelle utilitarie, il cambio è a cinque marce più la retromarcia. Alcune grosse berline hanno sei rapporti, mentre i fuoristrada possono avere in più tre o quattro rapporti “ridotti” per migliorare la trazione in particolari situazioni. Tipo particolare di cambio è quello automatico, schematicamente costituito da un convertitore di coppia azionato da un preselettore, che può essere anche comandato dalla centralina elettronica di bordo. Dal differenziale escono i semiassi che trasmettono il moto alle ruote, costituite da un disco di lamiera stampata, o in lega leggera, saldato a un cerchione scanalato sul quale viene montato lo pneumatico, quasi sempre del tipo senza camera d'aria (tubeless) a bassa pressione e a sezione ribassata, che riduce il pericolo di sbandate a bassa velocità in seguito a forature. Per gli pneumatici sono allo studio materiali per le mescole e particolari scolpiture dei battistrada atti a ridurre il rumore, pur mantenendo una buona tenuta di strada anche sul bagnato, e per ottemperare alle norme di prevenzione contro l'inquinamento acustico, dato che a essi è dovuto oltre il 23% della rumorosità del veicolo. Le ruote vengono collegate alla scocca tramite le sospensioni, costituite da un insieme di bracci oscillanti e bielle collegati fra loro, che nelle trazioni anteriori debbono permettere anche la direzione delle ruote stesse (ruote indipendenti). Le ruote posteriori, anche se motrici, possono essere sostenute in vari modi: retrotreno ad assale rigido o flessibile, oppure tipo De Dion o McPherson. Tra le soluzioni più all'avanguardia, vi sono: le sospensioni a più bracci e bielle, dette multilink, articolate in modo da contrastare le spinte sul veicolo, dovute alle asperità del terreno, e perché questo possa mantenere un più corretto assetto, e le idropneumatiche, ideate dalla Citroën, capaci di far variare a comando rigidità e altezza della vettura dal suolo, in alcuni casi gestite anche dalla centralina elettronica di bordo (sospensioni idroattive). Tutti i sistemi utilizzano molloni o barre di torsione e ammortizzatori idraulici telescopici, per assorbire le asperità del terreno e compensare, insieme con le barre antirollio e stabilizzatrici, le spinte laterali in curva, fornendo così il massimo comfort possibile ai passeggeri. Il sistema frenante ha la funzione di arrestare il veicolo e di tenerlo fermo durante la sosta in discesa (freno di stazionamento a mano). I tipi di freno usati sono: quelli a disco solidale con il mozzo della ruota, sul quale agiscono delle pinze, i cui elementi di attrito sono costituiti da pastiglie di carbonio-fibre sintetiche, e quelli a tamburo solidale con il cerchione della ruota, nel cui interno sono poste due ganasce ricoperte di materiale d'attrito, che operano a pressione. Il comando viene attuato tramite cilindretti idraulici, ai quali giunge il fluido (olio) da una pompa azionata dal pedale del freno attraverso un circuito idraulico, che in molte vetture è raddoppiato per motivi di sicurezza. Le automobili di maggior potenza dispongono anche di un dispositivo idraulico, che aumenta la pressione esercitata sul pedale, alleggerendo lo sforzo del guidatore (servofreno); anche questo può essere asservito alla centralina di bordo o al sistema antibloccaggio (ABS). L'impianto elettrico è attualmente costituito: dalla batteria, che fornisce l'energia elettrica necessaria all'esercizio della vettura e che viene ricaricata dall'alternatore, quando il motore è in funzione; dal motorino d’avviamento e dai vari cablaggi, che portano la corrente alle apparecchiature, ai dispositivi elettronici, ai fari e alle luci per l'illuminazione, alla strumentazione, alle spie ottiche e acustiche, ai sensori (quando esistenti) nonché a tutti gli accessori e comandi elettrici (per esempio contattore per l'apertura centralizzata delle portiere). Gli organi di guida sono rappresentati dal volante in materiale deformabile fissato al piantone dello sterzo che, tramite gli ingranaggi contenuti nella scatola dello sterzo, agisce su un insieme di leveraggi snodati (quadrilatero articolato), i quali permettono di orientare come si vuole le ruote anteriori. Nelle automobili a trazione anteriore il sistema è più complesso, dato che le ruote direttrici sono anche motrici, e per tale motivo si rende necessario (soprattutto sulle vetture più pesanti) l'adozione di dispositivi demoltiplicatori, che, riducendo lo sforzo del conducente, facilitano le manovre (servosterzo); i tipi più diffusi sono a comando meccanico, idraulico o elettroidraulico, quest'ultimo asservibile alla centralina elettronica di bordo. Infine, per motivi di sicurezza, il piantone dello sterzo è quasi sempre di tipo telescopico, per cui si deforma in caso di urti frontali evitando così gravi danni al conducente.
Tecnica: apparati elettronici
Sul finire del sec. XX si è affermato sempre di più il ricorso all'elettronica non solo per ottimizzare il rendimento del propulsore, ma anche per realizzare dispositivi in grado di facilitare la guida del veicolo e di assicurare la maggior sicurezza possibile in ogni condizione di marcia. Fra i dispositivi indispensabili vi sono quelli che provvedono al corretto funzionamento del motore, comandati da una centralina elettronica, che schematicamente determina l'intensità degli impulsi elettrici, che danno l'avviamento al motore e provocano lo scoccare della scintilla nelle candele, e contemporaneamente, grazie alle informazioni inviategli da sensori posti nei luoghi più idonei dell'apparato motore, coordina la giusta portata d'aria nel collettore d'aspirazione, in sincronia con il movimento degli aghi degli iniettori, in modo che questi immettano l'esatta quantità di carburante necessaria per la giusta miscela in rapporto con il regime del motore. La centralina elettronica, inoltre, mediante un variatore di fase, controlla e, se è necessario, corregge automaticamente l'apertura-chiusura delle valvole nei cilindri, secondo la giusta sequenza in funzione del numero di giri dell'albero motore, evitando che un funzionamento irregolare del propulsore possa provocare ingolfamenti o detonazioni e quindi danni alla marmitta catalitica. I sistemi di alimentazione usati sono: quello indiretto, meno costoso, con un solo iniettore (single point), posto nel centro del collettore di aspirazione sagomato in modo che ciascun cilindro riceva sempre la giusta dose di miscela, e quello diretto, nel quale ciascun cilindro viene alimentato da un iniettore (multi point) per cui la centralina può ritardare o anticipare l'immissione di carburante nella corrente d'aria in afflusso, in funzione del regime del motore, consentendo notevoli risparmi dei consumi. Per i motori Diesel viene utilizzato il sistema di iniezione diretta multi point, in genere a portata variabile e carica stratificata, cioè più ricca in prossimità di una candeletta di preaccensione, per facilitare la combustione soprattutto nei motori sovralimentati (turbodiesel). Il più efficiente, invece, è il common rail, che prevede un suo impianto elettronico in grado di far giungere il gasolio alla pressione necessaria per ottimizzare il rendimento del motore. Anche per gli impianti a gas di petrolio (GPL) esistono sistemi a controllo elettronico, schematicamente comprendenti un vaporizzatore-regolatore del gas, che tramite una elettrovalvola viene immesso alla giusta pressione negli iniettori, la centralina, inoltre, blocca tutto il sistema quando il serbatoio del GPL è quasi vuoto, provvedendo a passare automaticamente all'alimentazione a benzina. Anche il complesso frizione-cambio può essere asservito alla centralina di bordo tramite sofisticati sistemi derivati da quelli usati in Formula 1. Alcuni sensori, disposti sul cambio e nel motore, tengono sempre sotto controllo l'esatta corrispondenza fra numero di giri e rapporto innestato e, quando il guidatore imposta (tramite una levetta in genere posta sotto il volante) la manovra di cambio marcia, la centralina, in base ai dati registrati nella sua memoria, invia un segnale all'elettronica di controllo del motore, in modo da aumentare o diminuire la coppia motrice secondo necessità, e fa entrare in funzione un potenziometro, che effettua l'operazione richiesta, il tutto in una frazione di secondo, evitando possibili “fuorigiri” e rendendo più agevole inserire o scalare le marce alle alte velocità. Un sistema quasi del tutto automatico si basa, invece, sul controllo di tutti i parametri inerenti la marcia del veicolo e non richiede la presenza del pedale della frizione: è, infatti, sufficiente che il guidatore prema o rilasci il pedale dell'acceleratore e contemporaneamente sposti la leva del cambio, perché un contatto push-pull faccia entrare in azione la centralina, che provvede a far eseguire l'operazione impostata tramite un potenziometro e un attuatore elettroidraulico. Dispositivi già applicati di serie, o su richiesta, in tutte le automobili sono l'ABS e l'ASR "Per i sistemi frenanti ASR e ABS vedi disegni e tabella nella voce antispin a pagg. 48 e 49 dell'Aggiornamento 1990. " in pratica dei correttori e limitatori della frenata a comando elettronico, che evitano alle ruote di bloccarsi e di slittare quando si spinge a fondo il pedale del freno. A questi può essere integrato il DSC (Dynamic System Control, sistema di controllo dinamico), dotato di una propria centralina elettronica, il quale tramite una serie di sensori valuta l'angolo di sterzata, la velocità di rotazione del volante, l'imbardata e il bloccaggio-slittamento di una delle ruote; se vi è rischio d'instabilità del veicolo, il dispositivo avvisa la centralina di bordo, che agirà immediatamente sul motore, riducendo la velocità e contemporaneamente fa entrare in funzione l'ABS, che frenerà solo la ruota opposta a quella su cui agisce la forza trasversale; in tal modo si evitano uscite di strada alle alte velocità e soprattutto in curva. Più complesso ed efficace è l'FDR (Fahrt Dynamic Regelund, regolatore dinamico della traiettoria), che consente al veicolo di mantenere sempre un corretto assetto e un comportamento ottimale in ogni condizione di terreno e di marcia. Questo schematicamente utilizza un microchip nel quale sono state registrate soluzioni programmate dopo molteplici sperimentazioni, inseriti in una centralina ad alta capacità di memoria, che gestisce tutte le informazioni che provengono da altri sistemi presenti sulla vettura (ABS, ASR, DSC ecc.) e da vari sensori disposti in modo opportuno. La centralina controlla costantemente, durante la marcia, l'assetto, la velocità e la traiettoria del veicolo, verificando che siano conformi a quanto registrato nella sua memoria per quel tipo di terreno e di andamento del percorso; se qualcosa non va, in una frazione di secondo e in sincronia con quella di bordo, essa interviene sul motore e/o sui vari dispositivi, correggendo traiettoria, velocità e assetto senza il diretto intervento del guidatore, ciò è particolarmente vantaggioso quando si percorre una curva a velocità sostenuta. Le applicazioni dell'elettronica all'automobile si stanno ampliando: un dispositivo a sensori è in grado di gestire il comportamento delle sospensioni nel percorrere una curva, indipendentemente da come opera il guidatore, in modo da far mantenere sempre il miglior assetto al veicolo (sospensioni idroattive). Esistono anche sistemi che consentono al conducente di controllare su di un display: la reale distanza del veicolo dal bordo della strada, se sta sopraggiungendo un'automobile più veloce alle spalle, gli eventuali ostacoli presenti dietro, davanti o di lato. Apparati basati su sistemi laser e radar possono, in caso di scarsa visibilità, rivelare la presenza e la velocità di altri veicoli procedenti lungo la stessa corsia di marcia e intervenire in modo autonomo sulla velocità dell'automobile, adeguandola alle circostanze, e utilizzare sofisticate apparecchiature in collegamento satellitare, tali da permettere una guida quasi automatica della vettura, in funzione del traffico e in caso di nebbia fitta.
Tecnica: accessori
Tutte le automobili, anche le utilitarie, hanno di serie: il tachimetro, il contachilometri, il termoventilatore dinamico e spesso l'orologio elettrico analogico o digitale, oltre a spie luminose e a segnalatori per evitare di restare a secco di benzina, olio motore, liquido di raffreddamento nonché per il controllo del funzionamento dei dispositivi, eventualmente esistenti, come l'ABS. Inoltre devono essere provviste di cinture di sicurezza per ogni passeggero e di air bag. Completano le dotazioni di bordo: i sedili, spesso di tipo anatomico, tutti con poggiatesta a protezione di eventuali colpi di frusta provocati da urti posteriori, il tergicristallo e il tergilunotto con lavavetro a comando elettrico, il ripetitore degli stop posto in alto sul lunotto, lo sbrinatore del vetro posteriore, la luce posteriore antinebbia, l'intermittenza delle luci di stazionamento, la regolazione della posizione dei sedili e del volante. Spesso vengono installati di serie, il contagiri, l'avvisatore acustico per le luci lasciate accese, l'apertura-chiusura elettrica centralizzata delle portiere (anche con telecomando), l'alzacristalli elettrico. Sempre più diffuso è il check-display posto sulla plancia che evidenzia su di una sagoma la mancata chiusura di una portiera; sulle automobili delle gamme superiori è spesso montato di serie il condizionatore (ormai optional per tutte le vetture), che può essere anche asservito alla centralina di bordo, in tal caso questa valuta vari parametri, in base al programma inserito nella sua memoria e ai dati forniti da sensori sulle condizioni ambientali esterne, e regola l'apparecchio in modo da rendere confortevoli temperatura e tasso d'umidità dell'abitacolo (climatizzatore). Tra gli optionals sono disponibili sempre nuovi accessori quali: il tergilavafari, il comando elettrico della posizione degli specchietti retrovisori e dei sedili, l'antifurto a codice digitale che impedisce l'avviamento del motore, i cristalli antiriflesso e antitermici, l'accensione automatica delle luci al tramonto o in galleria, gli indicatori della temperatura del liquido di raffreddamento e della pressione degli pneumatici; alcuni sensori-indicatori tengono sotto controllo la pressione dell'olio nel motore e nelle pompe dei freni e della frizione, nonché le condizioni del materiale di attrito di questi ultimi. Su molte vetture viene montato il check-control che, mediante una serie di interruttori-sensori, verifica, oltre alla chiusura di porte e cofani, anche il corretto funzionamento dei vari organi dell'apparato motore, delle pompe dei freni, della frizione e di tutti i dispositivi elettronici presenti a bordo: se qualcosa non funziona, una spia illumina il punto esatto dell'inconveniente su di un display raffigurante l'automobile; grazie a una speciale presa, installata sotto il cruscotto o nel vano motore, diventa anche possibile, in qualsiasi officina, testare l'intera vettura individuando esattamente dove è il guasto e provvedere alla riparazione. Fra i dispositivi elettronici sono diffusi negli USA il check-control e l'UDS. Il primo è un sofisticato apparecchio comprendente una centralina, che coordina vari sensori, posti nei punti essenziali della vettura, in modo da poter diagnosticare lo stato delle sue varie componenti, in particolare di quelle elettroniche; tramite un tester, permette di individuare ogni possibile guasto. L'UDS è, invece, una sorta di scatola nera in grado di registrare in ogni istante velocità, accelerazione laterale e longitudinale del veicolo, azionamento dei freni, spostamenti del volante, manovre di retromarcia, funzionamento o meno dei segnalatori ottici di direzione, delle luci, del clacson e di ogni dispositivo elettrico, meccanico ed elettronico di bordo. Tutti i dati memorizzati, compresi eventuali urti del veicolo sia in movimento sia da fermo, diventano particolarmente utili non solo per le revisioni periodiche e per studiare il comportamento di ciascun guidatore, ma anche per individuare la dinamica di un eventuale incidente.
Tecnica: l’automobile ecologica
Le Case automobilistiche, abbandonati per decenni i tentativi di produrre automobili di serie, con propulsori diversi da quelli oggi in uso, hanno ripreso studi relativi ad applicazioni concrete da quando sono diventate inderogabili la salvaguardia della salute dell'uomo e la difesa dell'ambiente per il crescente inquinamento atmosferico, dovuto alla diffusione dei gas di scarico dei motori termici, e acustico. Nonostante l'adozione delle marmitte catalitiche, che hanno ridotto la quantità di gas nocivi emessi dalle singole vetture, l'inquinamento, soprattutto nelle città, rimane elevato così come il rumore che, malgrado tutti gli accorgimenti odierni usati, non riesce a essere portato a livelli accettabili. Sebbene gli attuali motori siano molto efficienti con basso consumo di carburante e l'uso di marmitte catalitiche riduca la diffusione nell'aria di inquinanti, a mano a mano che queste e le sonde lambda si “avvelenano” vengono prodotti dalle marmitte stesse altri inquinanti, soprattutto particolati (PM 10), per cui occorre trovare soluzioni diverse più efficienti in attesa di poter disporre di automobili veramente ecologiche quali i veicoli con motori elettrici o alimentati a idrogeno, la cui combustione produce solo emissioni di vapor d'acqua. Poiché quest'ultima soluzione è in fase di prototipo e la produzione a basso costo di veicoli elettrici è ancora in sperimentazione si è fatto ricorso a soluzioni “alternative provvisorie”. Innanzitutto sono stati migliorati i sistemi motore che utilizzano quali carburanti il GPL e il metano, che non contengono zolfo, principale causa di avvelenamento delle marmitte catalitiche, rendendole inutili. La principale difficoltà per l'adozione di questa soluzione è rappresentata da vari fattori quali la sicurezza, la mancanza di un'efficiente rete di distribuzione e soprattutto dal fatto che l'ingombro delle bombole riduce di molto la capacità del portabagagli, anche se sono state realizzate bombole ultrapiatte installabili sotto il pianale del portabagagli, che però diminuisce di volume, perciò i motori a metano (il più redditizio) costituiscono una valida alternativa solo per veicoli adibiti al trasporto pubblico, che possono essere riforniti facilmente dalla rete cittadina di distribuzione del gas durante le soste ai capolinea.
Tecnica: l’automobile ibrida
Quali automobili a basso impatto ambientale per il momento vengono costruiti diversi tipi di vetture dette ibride, ovvero dotate di motori termici e motori elettrici: la Citroën ha proposto una sua originale soluzione con una versione della Berlingo che è dotata di motore elettrico e di un motore termico ausiliario da 500 cm3 funzionante a GPL il quale alimenta delle batterie al nichel-cadmio che assicurano una autonomia di 80 km; per tragitti più lunghi interviene direttamente il motore termico che nel frattempo ricarica le batterie; il passaggio da un sistema all'altro viene gestito direttamente da un calcolatore secondo vari programmi immessi nella sua memoria. Interessante anche il progetto della Mitsubishi Eclipse Concept-E, una vettura coupé ibrida con motore a benzina da 250 cv ed elettrico da 204 cv. Il più efficace sistema ibrido è quello ideato dalla Honda per la sua berlina Insight: un motore a scoppio di tre cilindri molto compatto e ultraleggero, in grado di utilizzare miscele magre, aziona un motore-generatore elettrico ultrasottile che è disposto in serie con quello endotermico e viene alimentato da 20 batterie al nichel-idruri metallici di potenza doppia rispetto a tutte le altre; per rendere più leggera la vettura sono state utilizzate strutture metalliche in alluminio riciclabile. Interessante è anche la soluzione adottata dalla Toyota Prius che monta un motore elettrico a magneti permanenti, integrato sullo stesso blocco al motore endotermico, alimentato da batterie al nichel-idruri metallici, dotato di cambio automatico e con autonomia di oltre 100 km che diventano 1400 con la ricarica delle batterie attuata in meno di 5 ore. Tali soluzioni sono allo studio di molti altri costruttori (Citroën, Ford, BMW, FIAT, Renault, General Motors, Chrysler), che stanno sperimentando anche nuovi motori Diesel-elettrici: il Diesel del tipo ecobasic, cioè a basso inquinamento, alimenta direttamente i motori elettrici i quali azionano le due coppie di ruote (come avviene per le motrici ferroviarie); questo non riduce gli ingombri interni ma evita la dislocazione a bordo delle batterie; inoltre i nuovi Diesel dovrebbero avere la possibilità di utilizzare miscele molto magre ed essere in grado di offrire consumi inferiori ai 3 litri per 100 km. Le soluzioni studiate per le automobili sono varie e tecnicamente soddisfacenti, ma presentano, finora, alcuni seri limiti, anche se consentono alle vetture di tenere buone velocità in accordo con i limiti imposti per legge. Le automobili attualmente prodotte possono assicurare solo una limitata autonomia, prima di dover ricaricare o sostituire le batterie necessarie, che per il loro numero e dimensioni creano un eccessivo ingombro, occupando gran parte del vano bagagli e riducendo di molto la capacità dell'abitacolo. Per utilizzare queste automobili con facilità occorrono frequenti punti di rifornimento e sostituzione delle batterie, forse anche superiori a quelli degli attuali distributori di benzina. L'uso delle automobili elettriche, comunque, si prospetta sempre più possibile come city car, furgoncini per trasporto locale di merci, piccoli mezzi di servizio pubblico e minibus, quali lo Hijet EV della Daihatsu o il Porter Electric dell'italiana Piaggio. La ricarica delle loro attuali batterie al piombo-gel è possibile, in sole cinque-otto ore, direttamente dalla rete elettrica, anche nel garage di casa, attraverso trasformatori-regolatori di tensione. I motori più usati possono essere a corrente continua ed eccitazione in serie con chopper elettronico (FIAT Panda Elettra e Cinquecento Elettra, Piaggio Porter Electric, Zaz Tavria, Daihatsu Hijet EV), a corrente alternata, asincrono con inverter (Liger Optima Sun, Mitsubishi Libero EV), e sincrono a magneti permanenti con inverter e regolatore a modulazione d'impulsi (Renault Clio Electro). Quasi tutti i modelli hanno motore e trazione anteriori (posteriore il Porter), raffreddamento ad aria forzata, cambio a quattro o cinque rapporti e automatico o con presa diretta fra albero motore e riduzione finale (Liger). In genere sono tutte piccole vetture tranne le grosse berline della Mitsubishi e della Zaz e i minibus. La velocità di punta varia da 65 a oltre 135 km/h e l'autonomia fra 80 e 110 km; la meccanica è analoga a quella delle automobili tradizionali, così pure il sistema frenante, ma, rispetto ai modelli dai quali derivano, queste vetture sono molto più silenziose, soprattutto se adottano la presa diretta al motore elettrico tramite frizione automatica. Pur non essendo direttamente inquinanti, hanno consumi energetici abbastanza elevati, che dipendono dalla fornitura di elettricità prodotta da centrali spesso termiche o nucleari. Ma l'automobile elettrica più funzionale ed economica è quella già in circolazione in Norvegia, costruita da una piccola Casa, la Think, sostenuta dalla Ford: è dotata di un motore elettrico anteriore trasversale asincrono trifase in grado di sviluppare velocità fino a 90 km/h con autonomia di oltre 100 km, che viene alimentato da batterie al nichel-cadmio ricaricabili in 6 ore, e ha una carrozzeria in plastica lunga meno di 3 m in grado di ospitare due comodi posti, struttura in acciaio e lega leggera e peso complessivo di 940 kg. Tale vettura gode di notevoli agevolazioni da parte del governo norvegese (ricarica gratuita delle batterie, esenzione pagamento tasse, pedaggi e parcheggi gratuiti) con la finalità di renderla la city car usata da tutti nelle città. Nei Paesi occidentali è molto sentito il problema dell'inquinamento nelle città, per cui sono allo studio diversi provvedimenti per facilitare l'introduzione di veicoli totalmente elettrici: in Italia, è allo studio un progetto di legge che prevede forti incentivi per l'acquisto di automobili ecologiche e per la costituzione di un parco veicoli pubblici con almeno il 20% di vetture con motori elettrici, che dovrebbe salire progressivamente al 50% entro la metà del XXI secolo. Le vere automobili non inquinanti, però, sono quelle alimentate dall'energia elettrica rinnovabile prodotta dalle celle solari di cui sono dotati i satelliti artificiali: i veicoli che le impiegano, comunque, restano ancora a livello di pura curiosità, date le forme strane che sono costretti ad avere a causa dell'estensione delle celle e della loro posizione sulla vettura.
Tecnica: l'automobile a idrogeno
Il sistema che sembra avere le migliori chances è quello che abbina il motore elettrico a un generatore di corrente, la cosiddetta "cella a combustibile", senza parti in movimento e alimentabile da combustibili "puliti" come per esempio l'idrogeno. Il sistema ha il pregio di un'alta efficienza (rapporto tra energia consumata lavoro prodotto) pari al 60-70% rispetto al 20-30% dei motori a scoppio. Il rendimento sale fino all'85% se si utilizza anche il calore prodotto dalla reazione. Il processo è silenzioso e non inquinante; nel caso di alimentazione con idrogeno, il prodotto residuo è infatti solo vapore acqueo. L'idrogeno è il carburante ideale per le "celle a combustibile", ma queste possono essere alimentate anche da una serie di altri prodotti come acido fosforico, metano, carbonati fusi, metanolo, etanolo, gas di petrolio liquefatto (GPL), non altrettanto privi di emissioni inquinanti. Rispetto alle tradizionali batterie che necessitano di una ricarica elettrica, le "celle" hanno inoltre il vantaggio di un rapido rifornimento. Mentre la tecnologia delle "celle a combustibile" permette ormai di realizzare dispositivi di dimensioni e peso abbastanza contenuti per poter essere installati in un'automobile, il maggiore ostacolo che ancora frena l'impiego del sistema a idrogeno è il serbatoio. L'idrogeno può essere trasportato in forma liquida solo se mantenuto a una temperatura di –253 gradi con serbatoi isolati termicamente. La tecnologia è quella impiegata per i vettori spaziali, ma non facilmente applicabile a un'automobile che può restare anche ore parcheggiata sotto il sole. All'aumentare della temperatura nel serbatoio l'idrogeno evapora e occorre farne uscire una piccola parte per evitare un pericoloso aumento di pressione. Ma l'idrogeno è infiammabile e basterebbe una sigaretta per provocare un disastro. Al momento è quindi adottato un serbatoio con pareti molto robuste con idrogeno gassoso ad alta pressione, da 250-300 a 600-700 atmosfere. Per contenere i 5 kg di gas che permettono un'autonomia di 500 km occorre però un serbatoio che pesa 75 kg. La soluzione a tale problema viene cercata nei cosiddetti idruri metallici, composti di metallo e idrogeno in grado di "assorbire" il gas. Occorrono però da 33 a 50 kg di idruri per assorbire 1 kg di idrogeno e un serbatoio di 165 kg per 500 km di autonomia. E ciò grazie all'alto rendimento delle "celle a combustibile". Se infatti la stessa quantità di idrogeno fosse bruciata in un normale motore a scoppio, l'autonomia si ridurrebbe alla metà. La soluzione a questo problema potrebbe venire da un sistema per immagazzinare l'idrogeno a temperatura ambiente in microfibre di carbone. Le molecole di gas sarebbero assorbite per capillarità dalle microfibre in ragione di 1 g di idrogeno ogni 2 g di carbone. Per 500 km di autonomia sarebbe sufficiente un serbatoio di 10 kg di microfibre che contiene 5 kg di idrogeno. Per superare i problemi dei serbatoi contenenti idrogeno e per risparmiare sui costi, si sta tentando anche la sua produzione direttamente a bordo dell'automobile, partendo da sostanze come metanolo o la stessa benzina. Ricorrendo a un processo chimico noto come reforming, si vaporizza la benzina in presenza di aria con un processo di ossidazione parziale. Gli atomi di carbone e di idrogeno contenuti nella benzina si separano producendo una miscela di idrogeno e ossido di carbonio con cui alimentare la "cella a combustibile". Un'apparecchiatura del genere è stata messa a punto dalla Chrysler. Fra le iniziative industriali, la più avanzata è rappresentata dal minivan Necar-V della Daimler Chrysler equipaggiato con una "cella" realizzata dalla società canadese Ballard alimentata con idrogeno creato a bordo partendo dal metanolo. La Honda FCV-V2 e la Nissan R'NESSA FCV utilizzano una tecnologia similare. Anche le tre grandi case automobilistiche degli USA (Ford, Chrysler e General Motors) hanno studi nel settore. La Toyota FCHV4 utilizza un serbatoio di idrogeno puro a 250 bar e ha una velocità superiore ai 150 km/h, la Hyundai FCEV ha 200 km di autonomia, mentre la Mercedes prevede di commercializzare una versione FCH della sua Classe A. La General Motors sostiene che il futuro costo di produzione in serie del complesso "cella" più motore elettrico equivarrà a quello di un motore a combustione interna con le stesse prestazioni. Toyota e Nissan hanno lanciato un programma comune denominato new sunshine e prevedono di usare un serbatoio a idruri metallici in grado di raddoppiare il contenuto di idrogeno. Anche il governo USA è direttamente interessato: il Dipartimento dell'Energia sta sperimentando tre autobus con "celle" Ballard mentre altri due bus sono stati realizzati dal Dipartimento dei Trasporti. La Difesa è inoltre interessata a possibili impieghi su veicoli militari, mentre la Marina e la Guardia Costiera sono interessate a veicoli a "celle" per propulsione navale. Un altro progetto prevede l'utilizzo di un nuovo tipo di cella a combustibile in grado di bruciare il metano per produrre direttamente energia elettrica senza necessità di passare dal reforming e con emissioni altrettanto pulite di quelle di una cella a idrogeno. L'uso del metano permette di riutilizzare tutta la rete di distribuzione già esistente e non richiede speciali serbatoi per il contenimento del gas a bordo dei veicoli. La transizione da benzina a elettrico, passando per la cella a combustibile a metano, sarebbe così graduale e permetterebbe di ammortizzare gli investimenti in un periodo più lungo consentendo la dismissione graduale dei reparti di fabbricazione dei motori a ciclo otto.
L'industria dell'automobile: i pionieri
"Per l'industria e la circolazione di autoveicoli nel mondo vedi planisfero e tabelle al lemma del 3° volume e dell’Aggiornamento 1995." Anche se l'industria automobilistica "I dati riguardanti l’industria e la circolazione di autoveicoli nel mondo sono a pag. 203 del 3° volume." , intesa nel senso moderno, cominciò a formarsi solo dopo la prima guerra mondiale, non si possono ignorare i primi costruttori che, con metodi non sempre strettamente artigianali, dettero vita alle prime officine specificamente destinate alla fabbricazione di automobili. Anzitutto va segnalato un primo gruppo di pionieri, tutti francesi, degli anni fra il 1887 e il 1894: il marchese A. De Dion associato al meccanico G. Bouton, R. Panhard ed É. Levassor, A. Peugeot. Le loro officine derivavano da produzioni merceologicamente differenti: Bouton fabbricava giocattoli, Panhard e Levassor macchine per la lavorazione del legno, Peugeot utensili e biciclette. I primi veri industriali dell'automobile si possono individuare, invece, in L. Renault e nei componenti il gruppo fondatore della FIAT, promotori, sul finire del secolo, di fabbriche sorte ex novo per la produzione dell'automobile; nonché nel tedesco G. Daimler, che passò dalla produzione di motori a quella di automobili complete, e nel suo connazionale C. Benz, fondatore in pochi anni di due distinte fabbriche di automobili. Tutti questi stabilimenti e le innumerevoli altre officine, di dimensioni più o meno grandi, sorte nei primi anni del sec. XX un po' ovunque in Europa e in America, conservavano metodi di fabbricazione di carattere tipicamente artigianale, anche se talvolta quantitativamente impegnativi. La prima industria dell'automobile nasce negli USA, nel 1908, con H. Ford, che avvia la produzione di serie del modello T sulla base di concetti già parzialmente realizzati negli anni precedenti. In Europa il fenomeno non si registra che molto più tardi, in pratica soltanto negli anni Venti; da questa epoca in poi l'industria dell'automobile inizia progressivamente la sua spettacolare dilatazione, sia sul piano delle unità complessivamente prodotte sia su quello della moltiplicazione dei costruttori, di pari passo con il diffondersi dell'automobile sulla duplice spinta della domanda di consumo e delle componenti psicologiche legate al suo ruolo di simbolo di agiatezza. Sino alla fine degli anni Trenta tale evoluzione si protrae senza interruzioni sul piano quantitativo, mentre relativamente più modesta è quella sul piano tecnico, soprattutto in Europa; dovunque, però, nella seconda metà di questo periodo, si registra la caduta di un certo numero di costruttori coinvolti in errate politiche aziendali o produttive. Parallelamente alle grandi fabbriche fioriscono, specialmente in Europa, numerose officine di carrozzeria, che, pur non avendo abbandonato gli originali metodi di produzione artigianale, trovano la propria ragione di vita e di prosperità nell'elevata domanda di “fuoriserie”. Negli Stati Uniti, frattanto, si sono già avviati i macroscopici processi di concentrazione industriale destinati a sfociare nella costituzione di tre “giganti dell'automobile” (General Motors, Ford, Chrysler), presto dominatori pressoché incontrastati del settore. Questo fenomeno è provocato da fattori economico-produttivi che non mancheranno di avere analoghi effetti quando, trent'anni più tardi, l'Europa si troverà in presenza delle stesse componenti. La seconda guerra mondiale, pur causando una drastica riduzione della fabbricazione di automobili per usi civili, soprattutto in Europa, porta a una radicale trasformazione dei metodi e dei criteri produttivi: all'avanguardia si pongono gli Stati Uniti che razionalizzano la produzione di serie, con l'adozione di grandi linee meccanizzate che consentono il rapido montaggio di decine di migliaia di veicoli le cui singole parti vengono assemblate in altre catene di produzione di pezzi lavorati in grandi serie. Questo impulso, dovuto alle esigenze belliche che richiedono in continuità non solo nuove vetture ma anche e soprattutto parti di ricambio, porta, nel dopoguerra, al positivo effetto di mettere le industrie automobilistiche nelle condizioni di offrire al mercato prodotti numerosi e affidabili, a costi contenuti, favorendo il “consumo” di massa dell'automobile che diventa non solo status symbol ma anche prodotto di larga diffusione. L'industria dell'automobile diventa così il nucleo fondamentale dello sviluppo dei Paesi occidentali industrializzati: essa sollecita la ricerca di nuovi materiali, la sperimentazione di tecniche produttive più efficienti (in grado cioè di rispondere tempestivamente alle richieste di un mercato che si “autoalimenta” in quanto essa stessa lo induce a cambiare), il progresso negli studi teorici non solo nel campo della meccanica, e inoltre provoca lo sviluppo delle industrie metalmeccaniche e, soprattutto, la nascita di un gran numero di attività parallele e ausiliarie, più tardi definite “indotto” (basti pensare ai settori degli accessori, dei ricambi, delle carrozzerie, delle autofficine), diventando fonte di lavoro per centinaia di migliaia di persone.
L'industria dell'automobile: dopo la seconda guerra mondiale
Nel ventennio seguito alla fine della seconda guerra mondiale, le industrie dell'automobile rappresentano, quindi, i settori industriali di punta non solo negli USA ma anche in Europa e poi in Giappone; ciò richiede l'impiego di ingenti risorse economiche necessarie alla continua espansione produttiva, creando in Europa, già verso la fine degli anni Sessanta, nuovi fenomeni di concentrazione che si attuano con l'assorbimento delle case automobilistiche minori (anche se viene conservato di norma il nome di ciascuna marca). Viene così configurandosi nelle sue grandi linee il panorama di un settore il cui enorme giro di affari si realizza attraverso una produzione che va oltre i 60 milioni di unità all'anno (comprendendo i veicoli industriali costruiti generalmente dalle medesime case automobilistiche o da marche a queste collegate). Questa enorme massa viene prodotta sia negli stabilimenti direttamente costruiti e gestiti dai maggiori gruppi, sia in fabbriche da questi impiantate in vari Paesi, soprattutto quelli a basso sviluppo industriale, per la costruzione su licenza, ma più di frequente per il semplice montaggio delle parti inviate dalle case madri. Beneficiando degli scambi di tecnologie, intensi nei Paesi industrializzati dell'Occidente, non solo i costruttori europei, ma anche quelli giapponesi, diventano in grado rapidamente di competere con i colossi statunitensi: in particolare, la Volkswagen in Germania, la British Leyland nel Regno Unito, la Renault e la Peugeot in Francia, la FIAT in Italia, la Toyota e la Nissan in Giappone, conquistano sempre maggiori fette del mercato non solo nazionale ma anche internazionale. Una caratteristica specifica dell'industria automobilistica italiana, che non ha riscontri in altri Paesi, è rappresentata dallo sviluppo di vere e proprie industrie di carrozzeria (Pininfarina, Bertone, Zagato ecc.) che producono non solo parti non meccaniche di vari modelli di prestigio delle maggiori case costruttrici europee, ma anche vetture “fuoriserie”, assemblate con meccanica di automobili di serie di media e grossa cilindrata, “elaborata” da officine specializzate. Già alla fine degli anni Sessanta, il Giappone si affaccia sulla scena internazionale quale più temibile concorrente: dotato di un'industria nuovissima, in grado di imitare, assimilare ed elaborare in tempi brevissimi i progressi tecnologici euroamericani, getta sul mercato asiatico e sudamericano, e poi su quello statunitense, milioni di automobili, spartane nella concezione, ma affidabili e a prezzi decisamente concorrenziali; ciò gli è permesso dal fatto che la produzione è fortemente concentrata e realizzata con tecniche operative all'avanguardia, che richiedono un limitato impiego di manodopera a basso costo in gran parte poco specializzata, cui si richiedono elevatissimi indici di produttività. I primi a risentire della invasione delle automobili giapponesi sono i colossi statunitensi, per di più penalizzati da severe leggi federali in materia di sicurezza e d'inquinamento: questi sono costretti ad avviare in tempi brevi una riconversione dei prodotti, imposta dall'esigenza di abbandonare la formula delle mastodontiche vetture di grossa cilindrata sostituendole con berline di dimensioni e consumi più contenuti. Come conseguenza di questa situazione si registra una gravissima crisi finanziaria per la Chrysler, per cui l'amministrazione federale è costretta a intervenire con l'erogazione di ingenti aiuti economici. Le industrie automobilistiche statunitensi, inoltre, cercano sia aperture sul mercato europeo dove procedono all'acquisto di piccole case automobilistiche in difficoltà (come la Opel e la Taunus in Germania da parte, rispettivamente, della General Motors e della Ford, la Simca in Francia da parte della Chrysler), sia alla realizzazione di nuove consociate in grado di procedere al montaggio di modelli originari ma prodotti in loco. La medesima strategia viene rapidamente seguita dalle grandi industrie europee che nei propri Paesi danno origine a massicce concentrazioni nel settore (come la FIAT che assorbe la Lancia e l'Autobianchi, la Peugeot che assorbe la Citroën e strappa alla Chrysler la Simca che diviene marca Talbot, la British Leyland che raggruppa la maggior parte delle piccole case produttrici inglesi di cui però mantiene il nome) e tentano la strada delle consociazioni all'estero (ne sono esempi, poi in alcuni casi abbandonati, quelli della FIAT con la spagnola Seat, della Renault con la spagnola Fasa, della British Leyland con l'italiana Innocenti). Nel corso degli anni Settanta, soprattutto per contrastare l'espansionismo giapponese, anche le industrie europee accentuano il fenomeno della costruzione di impianti di montaggio e produzione su licenza in vari Paesi del Terzo Mondo, avvalendosi anche della collaborazione tecnologica delle case automobilistiche statunitensi; per alcuni costruttori la vendita di tecnologie e impianti “chiavi in mano” va assumendo, in prospettiva, un peso gestionale crescente. Sempre nell'ambito di questa strategia, si assiste alla stipula di particolari contratti internazionali, che scavalcano le limitazioni imposte dagli USA, in virtù dei quali alcuni grandi gruppi dell'Europa occidentale costruiscono complessi produttivi di grandi dimensioni in Paesi dell'Est europeo fortemente arretrati nello sviluppo della motorizzazione (ne è un esempio quello di Togliattigrad, impiantato nell'URSS dalla FIAT). Altro segno distintivo dell'epoca è rappresentato dalla graduale evoluzione dei singoli mercati nazionali che, di pari passo con l'avvicinarsi delle rispettive motorizzazioni alla quota di saturazione, vanno trasformandosi in “mercati sostitutivi”, ossia basati sul rinnovo del parco auto, con la contemporanea spinta a moderati aumenti della classe media delle vetture. La crisi petrolifera, con le sue gravi ripercussioni nel mondo economico e occupazionale, spinge, nella seconda metà degli anni Settanta, non solo a razionalizzare il modo di produrre le automobili ma anche ad abbassarne i costi, al fine di ottenere elevati profitti che consentano di affrontare il riacutizzarsi dello scontro internazionale sul possesso di ampie quote di mercato. Le industrie di tutto il mondo agiscono sia sul piano tecnologico sia su una drastica riduzione della manodopera: si intensifica l'introduzione di sistemi automatizzati tesi a ottimizzare i livelli produttivi delle catene transfer; aumenta progressivamente l'impiego dei robot in molti settori del ciclo produttivo; si studiano nuovi procedimenti di lavoro; per la prima volta, in Svezia, viene sperimentato un processo non più basato sulla tradizionale catena di produzione ma su “isole” automatizzate che, rendendo partecipi gli operatori, portano a un notevole miglioramento della qualità e all'incremento della produttività. Per venire incontro alla cresciuta esigenza della clientela in fatto di economicità di esercizio, si registra anche un costante impegno verso una più razionale disposizione degli organi meccanici delle vetture (dirette a contenere i tempi di manodopera per gli interventi di riparazione) e verso un graduale allargamento degli intervalli per la manutenzione periodica, fondato su una maggiore affidabilità delle vetture. Nel campo dei materiali vengono fatti notevoli progressi: verniciatura a polvere con eliminazione dell'inquinamento da solvente; trattamenti termici più sofisticati; produzione di lamiere d'alluminio saldabili e stampabili, in alternativa all'acciaio, che è possibile utilizzare nelle catene transfer già in funzione senza bisogno di alcuna modifica degli impianti. Nello stesso periodo la contrazione delle vendite e la spietata concorrenza internazionale gettano in crisi non solo le medie industrie anche dal nome prestigioso (basti pensare all'italiana Alfa Romeo o all'inglese Jaguar), ma perfino colossi quali la British Leyland che è costretta a drastici ridimensionamenti della sua produzione e a cedere alcune delle più prestigiose marche a produttori stranieri. Nei Paesi dell'Europa orientale, dove il mercato automobilistico comincia a svilupparsi, si verifica una sensibile battuta d'arresto che rende impossibile alle industrie occidentali aprire nuovi centri di produzione o di stabilire vantaggiose joint-ventures. I grandi complessi, soprattutto negli USA e in Europa, sono costretti a rivedere ancora una volta i loro piani di sviluppo procedendo a nuovi, drastici licenziamenti di massa della manodopera. Gli inizi degli anni Ottanta vedono le case automobilistiche europee impegnate in difficili trattative reciproche, miranti ad accordi per la produzione in comune di motori (per esempio tra FIAT e Peugeot) ma soprattutto di parti componenti, così da creare le premesse di una vantaggiosa economia di scala europea per far fronte alla micidiale concorrenza giapponese. Contemporaneamente le autorità della CEE vengono messe di fronte alla necessità di decidere eventuali misure protezionistiche. Alcuni produttori europei (British Leyland, Alfa Romeo) tentano la strada di accordi separati con singole case produttrici nipponiche, al fine di realizzare modelli a basso costo che consentano loro di uscire dal proprio stato di crisi (Arna dell'Alfa Romeo, Metro della British Leyland). In questi anni si accentua anche la necessità, per le industrie dell'automobile, di affrontare il problema dell'inquinamento prodotto dai motori, che già aveva indotto il governo statunitense a emanare severe leggi entrate in vigore con il 1985. In tutto il mondo vengono condotti studi non solo per rendere meno inquinanti i motori, ottimizzandone le prestazioni e sperimentando l'alimentazione con miscele di metanolo, ma anche per realizzare propulsori diversi da quelli a ciclo Otto o Diesel, soprattutto di tipo elettrico. Nella seconda metà degli anni Ottanta la ristrutturazione del settore automobilistico appare stabilizzata e la crisi superata, grazie alla massiccia introduzione di lavorazioni robotizzate, che escludono l'intervento umano, e a nuove “filosofie industriali” nella progettazione dei veicoli. A partire dal 1985 negli USA e dal 1986 in Europa si verifica addirittura un consistente aumento delle vendite di automobili, soprattutto nel segmento medio; su questo, tempestivamente, converge l'attenzione dei Giapponesi che, per rendere appetibili i propri prodotti, si rivolgono agli stilisti italiani per la progettazione delle carrozzerie, dotando per di più i loro modelli venduti all'estero di molti accessori e dispositivi elettronici. Poiché il mercato automobilistico non viene più considerato esente da crisi, condizionato com'è dai problemi dei costi energetici e dai rischi derivanti sia dal traffico sia dall'inquinamento, quasi tutte le case costruttrici hanno intrapreso, per la definizione delle caratteristiche di base delle automobili di futura realizzazione, e in particolare della struttura della scocca e dei motori, la strada dell'analisi computerizzata e del precalcolo per via analogica delle sollecitazioni dinamiche del veicolo e del comportamento del motore, ivi comprese le emissioni inquinanti. Parallelamente è andato generalizzandosi il sistema delle valutazioni preliminari delle caratteristiche aerodinamiche mediante esame alla galleria del vento di modelli a grandezza naturale. In questi anni, inoltre, le varie case automobilistiche puntano alla creazione di una propria immagine facendosi addirittura paladine della lotta contro l'inquinamento, sostenendo la riduzione dei consumi energetici e affermando la possibilità di realizzare automobili sicure ma nel contempo potenti e veloci. Specchio di questa “filosofia dell'immagine” sono i numerosi prototipi, elaborati in propri centri di ricerca, caratterizzati da originali soluzioni stilistiche e meccaniche. Questi veicoli, oltre a essere veri e propri laboratori su ruote, servono alle case produttrici quali vetrine in cui esporre la loro creatività in occasione dei grandi saloni dell'automobile (Torino, giunto nel 2000 alla sua 68a edizione e poi sospeso, Bologna Motor Show, Parigi, Tōkyō, Francoforte, Ginevra, Chicago, Stoccolma, Amsterdam, Barcellona, Birmingham, Los Angeles, Detroit, Bruxelles). Le automobili da salone, nel senso moderno del termine, nascono, in realtà, già dalla fine degli anni Cinquanta come veicoli fuoriserie, spesso commissionati da clienti “privati”, con meccanica derivata dai più prestigiosi modelli di serie ma con carrozzeria studiata da designer-carrozzieri (Pininfarina, Bertone, Zagato, Giugiaro ecc.). Più tardi sono le case automobilistiche stesse a commissionare a stilisti e carrozzieri veicoli che spesso preannunciano tendenze e temi stilistici poi trasferiti nella produzione di serie; accanto a questi rimangono comunque gli “studi” stilistici presentati in proprio dai carrozzieri. In seguito sono state le industrie a produrre direttamente veicoli “promozionali”: così, le due interpretazioni del prototipo, come dream car (in cui si privilegia l'aspetto formale) e come concept car (in cui prevale l'aspetto tecnico) assumono una nuova connotazione. I costruttori, del resto, puntano soprattutto sul secondo tipo di veicolo, proprio perché vettura-laboratorio e banco di prova di un gran numero di tecnologie. Per chi è in grado di coniugare i due aspetti del prototipo si è aperta, inoltre, la possibilità di un nuovo mercato elitario che gradisce la rivisitazione del concetto di “fuoriserie” non più inteso quale esemplare unico, ma come vettura di prestigio prodotta in serie limitate (Porsche 959, Ferrari F 40). In tempi più recenti, l'industria dell'automobile ha cercato di riacquistare il suo ruolo primario nello sviluppo dei Paesi industrializzati o anche emergenti, valendosi dell'apertura di nuovi mercati non solo nei Paesi del Terzo Mondo (Africa, Asia sudorientale) ma anche nei Paesi dell'Europa orientale. Nel contempo, il mutato atteggiamento dell'opinione pubblica, soprattutto in materia di sicurezza e inquinamento, ha portato a un diverso atteggiamento delle grandi Case automobilistiche: nasce il cosiddetto “marketing sociale”, per cui l'industria è rivolta non solo a produrre e vendere, ma anche a rispettare l'ambiente e l'uomo; pertanto viene accentuata la ricerca che deve sostenere la nuova immagine di automobile intesa come mezzo tecnologico all'avanguardia ma accessibile a un vasto pubblico. Si punta a modelli con carrozzeria “sicura”, equipaggiati con motori di diverse cilindrate, all'estensione dell'autonica anche sulle vetture medio-piccole, alla messa a punto di propulsori ad alto rendimento, bassi consumi specifici e meno inquinanti, all'impiego di turbocompressori anche su automobili di tipo utilitario. Nel campo della produzione, le varie industrie continuano nella strategia degli alti rendimenti ottenuti con basso impiego di manodopera, attraverso l'introduzione massiccia dell'informatizzazione nei cicli operativi . Un'applicazione abbastanza recente dell'informatizzazione riguarda la conduzione di impianti automatizzati che simulano l'utenza delle vetture per verificarne l'affidabilità. È il caso di veicoli o di parti di essi per i quali si effettua un ciclo di prova che si ripete per un certo numero di volte per un particolare solo o, nel caso del controllo di produzione, una volta per tutti i particolari (controllo automatico di fine linea). È questa la premessa per future produzioni totalmente automatizzate che limitano la presenza umana al solo controllo e alle manutenzioni (in Giappone si è giunti a sperimentare addirittura una minifabbrica completamente automatica gestita da un computer).
L'industria dell'automobile: i livelli di produzione
La produzione mondiale di auto è stata nel 2004 di 49.244.320. In Europa domina come sempre la Germania con oltre 4,8 milioni di unità prodotte, seguita nell'ordine da Francia, Spagna, Gran Bretagna, Belgio e Italia. In crescita l'Europa Orientale, in particolare Repubblica Ceca, Polonia, Romania e Russia. Il mercato più produttivo è il Giappone, davanti agli Stati Uniti che soffrono la crisi di General Motors e Ford. Il colosso di Detroit mantiene la testa tra i costruttori (8.407.734 unità), con la Toyota (6.177.603) e la Ford (5.914.957). Quarto il gruppo Volkswagen, con 4.811.513 veicoli, seguito da Renault-Nissan (4.759.914) e Daimler Chrysler (3.311.404). Settimo posto per la Honda. Il Giappone, che come detto si colloca al primo posto, produce sia nell'isola di Honshū (Tōkyō, Yokohāma, Osaka), dove sono concentrati gli impianti delle due grandi multinazionali Toyota e Nissan, sia nell'Europa del Nord con le fabbriche cosiddette transplant, dove si assemblano componenti già prefabbricate in Asia. Le altre case giapponesi di rilevanza internazionale sono la Subaru (specialista nelle trazioni integrali) e alcune case automobilistiche note già dall'inizio del sec. XX, come la Mazda, la Mitsubishi, la Daihatsu, la Suzuki, come pure la Honda che è specializzata in motori con elevate prestazioni e vetture di classe alta. Negli Stati Uniti gli impianti sono localizzati prevalentemente a Detroit, Flint, Lansing, Pontiac, Cleveland, Buffalo, Chicago, Indianapolis, Saint Louis, Los Angeles, Milwaukee. I tre grandi colossi, che possiedono anche consociate in Europa e in altre parti del mondo, sono la General Motors (con le marche Buick, Cadillac, Chevrolet, Oldsmobile, Pontiac, La Salle), con oltre il 50% della produzione nazionale, la Ford, anch'essa con molte consociate estere (riunisce le marche Lincoln, Mercury, Continental), e la Chrysler, con le marche De Soto, Dodge, Imperial, Plymouth; minore importanza hanno l'American Motors, la Jeep e la International. La Germania, già prima della riunificazione del Paese, occupava il terzo posto nella produzione mondiale; la gran parte della produzione era svolta da Volkswagen (con le marche Audi, Seat, Skoda), Opel (della General Motors), Daimler-Benz (Mercedes), BMW (con le marche Mini e Rolls-Royce), Premier Automotive Group che comprende Jaguar, Volvo, Aston Martin e Lincoln, tutte controllate dalla Ford che tuttavia, dal 2002, ha spostato i centri di produzione in Russia e in Spagna, lasciando in Germania solo il sistema direzionale. Il quarto posto è conteso tra la Corea e la Francia, la cui industria è concentrata soprattutto nel bacino di Parigi e nella valle della Senna; praticamente comprende i due gruppi Renault (con la Saviem e la Berliet) e Peugeot (con le marche Citroën e Talbot). Dato il notevole sviluppo degli impianti e della produzione, al sesto, settimo e ottavo posto vi sono su un piano di quasi parità la Spagna (grazie a joint-ventures con grandi Case straniere), la Cina e il Canada, seguiti a ruota dal Brasile. Decimo posto per la Gran Bretagna, rappresentata quasi esclusivamente dalla British Leyland e da consociate dei grandi gruppi statunitensi e giapponesi; gli impianti sono localizzati nell'area di Londa, Manchester, Birmingham, dove si trovano pure alcune piccole case automobilistiche di prestigio come la Rolls-Royce o la Bentley passate tuttavia alla BMW. La Russia, che come Unione Sovietica occupava il quinto posto, scende all'undicesimo a causa dello smembramento che le ha sottratto le quote delle ex repubbliche. L'Italia rappresenta circa il 2% del totale mondiale e si trova in quattordicesima posizione, preceduta da India e Belgio: la produzione è concentrata nel gruppo FIAT Auto, che ha acquisito le marche Autobianchi, Lancia, Ferrari, Abarth e, dal 1986, Alfa Romeo. La produzione di prestigio, oltre naturalmente alla Ferrari, è tutta nelle mani di piccole case come la Maserati (acquisita dalla FIAT) e la Lamborghini. Seguono altri Paesi nei quali l'industria delle automobili ha mantenuto vecchie tradizioni, come la Svezia che produce vetture di prestigio (Volvo, Saab), oppure sono in fase di sviluppo grazie a produzioni eseguite su licenza o da industrie di montaggio, anche se non mancano modelli di ideazione locale (Corea del Sud, Cina). Tuttavia, anche nell'industria automobilistica si è affermato il criterio di delocalizzazione non solo per la fabbricazione dell'autovettura, ma anche per le varie sue componenti. Questo stato di cose fa sì che ormai di norma un'automobile progettata da una Casa di un determinato Paese venga di fatto montata, oppure completamente costruita, in un altro che consente costi di produzione molto più bassi rispetto a quelli che si avrebbero se l'automobile fosse realizzata nella sede della Casa madre. Non è raro il caso che determinati modelli idonei per uno specifico mercato vengano studiati e progettati negli impianti produttivi “locali”, cioè non dalla Casa madre; significativi per tutti i modelli Mondeo ed Escort della Ford Europa. Infine, si verifica anche che un determinato modello, destinato soprattutto al mercato nazionale, venga praticamente costruito altrove, come nel caso della FIAT Seicento, fabbricata in Polonia, o che un'automobile venga realizzata con parti provenienti da produttori di Paesi diversi: emblematico il caso della monovolume francese Twingo, progettata dalla Renault in Francia, ma per la quale i motori e i cambi sono fabbricati sia in Francia, sia in Spagna e Portogallo. Questa tendenza alla “globalizzazione” dei criteri di realizzazione di un'automobile è destinata a rafforzarsi nel tempo. Nonostante il continuo aumento del costo dei trasporti, risulta economicamente vantaggioso acquisire dall'esterno della fabbrica vera e propria molti dei singoli componenti, anche essenziali. Le moderne tecnologie produttive, infatti, consentono ai fabbricanti specializzati di costruire a costi assai bassi quanto è necessario per tutti i vari modelli di automobili, in serie variabili con grande flessibilità e nei quantitativi esatti richiesti dalle diverse case automobilistiche; le reti informatiche permettono ormai di trasmettere in tempo reale ogni variazione di progetto ai singoli produttori dell'indotto, i quali sono in grado di adattare il proprio ciclo produttivo alle esigenze dei committenti, evitando sprechi e perdite di tempo e quindi abbassando di fatto i costi. L'automazione e l'informatizzazione dei sistemi produttivi hanno inoltre consentito (e consentono) drastiche riduzioni del personale addetto alla fabbricazione delle automobili: il settore automobilistico ha perso negli ultimi cinque anni del sec. XX oltre il 60% della forza lavoro prima impegnata, e tale calo è continuato anche negli anni successivi. La concorrenza fra le varie case automobilistiche si è fatta, infatti, sempre più accentuata e la necessità di tagliare i costi porta alla diminuzione di forza lavoro, alla delocalizzazione e all'automazione sempre più spinta. Per quel che riguarda le politiche aziendali, la concorrenza nel mercato automobilistico si concentra sempre più su alcune direttrici essenziali: dotazione di serie di accessori prima considerati optionals; estensione alle cilindrate medio-basse di soluzioni tecniche elaborate per le cilindrate superiori e soprattutto condizioni di vendita allettanti per la clientela. In quest'ultimo campo, le Case europee e statunitensi hanno seguito la logica dei produttori giapponesi: rateazioni di lungo periodo, con uno o due anni a interessi zero e supervalutazione dell'usato che consente, tra l'altro, di eliminare dal parco macchine in circolazione vetture con più di sette anni di età, che le Case produttrici preferiscono demolire. "Per approfondire vedi Libro dell'Anno '97 p 424" "Per approfondire vedi Libro dell'Anno '97 p 424"
Musei delle automobili
Sono stati raccolti e ordinati, in sezioni di musei o in musei appositi, esemplari di vari tipi di automobili e di parti staccate. Essi offrono, unitamente a numerose collezioni private, una concreta documentazione dell'evoluzione tecnica di questo mezzo. Le principali collezioni pubbliche o private nel mondo si trovano in Francia (Musée de la Voiture et du Turisme a Compiègne, Musée Berliet a Lione, Conservatoire National des Arts et Métiers a Parigi, Musée Automobile de Bretagne a Rennes, Musée d'Automobiles Anciennes a Clères, Musée Automobile de la Sarthe a Le Mans, Musée Français de l'Automobile H. Malartre a Rochetaillée-sur-Saône), in Germania (Daimler-Benz A. G. Museum a Stoccarda, Deutsches Museum der Technik a Monaco di Baviera), in Italia (Museo dell'Automobile Carlo Biscaretti di Ruffia a Torino, Museo Alfa Romeo ad Arese, Museo della Motorizzazione Militare a Roma, Centro Storico FIAT a Torino, Museo Lancia a Torino, Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica Leonardo da Vinci a Milano), in Gran Bretagna (Science Museum a Londra, Montagu Motor Museum a Beaulieu, Brighton Motor Museum a Brighton, Museum of Science and Industry a Birmingham, City Museum a Bristol, Transport Museum a Hull, Art Gallery and Museum a Glasgow, Herbert Art Gallery and Museum a Coventry), negli Stati Uniti (United States National Museum a Washington, H. Ford Museum a Dearbon, Long Island Automotive Museum a Southampton, Indianapolis Motor Speedway Museum Corporation a Indianapolis, The Museum of Science and Industry a Chicago) e ancora in Svizzera (a Lucerna e sul lago di Neuchâtel), in Svezia (Stoccolma), in Portogallo (Caramulo e Lisbona), nei Paesi Bassi (Leidschendam), in Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Austria e Giappone.
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