Molière, Jean-Baptiste Poquelin, detto-

Indice

Biografia e opere

Commediografo francese (Parigi 1622-1673). Figlio di Jean Poquelin e di Marie Cressé, ebbe un'infanzia agiata, grazie alla professione del padre (tappezziere ordinario di Luigi XIII) e alla dote generosa portata dalla madre, di cui rimase orfano all'età di dieci anni. Molière venne messo a studiare al collegio Clermont (dove poi sorse il liceo Louis-le-Grand), che accoglieva il fior fiore della nobiltà parigina. Secondo taluni biografi egli si sarebbe legato d'amicizia, oltre che con Chapelle, con Cyrano de Bergerac e avrebbe ascoltato le lezioni di Gassendi. Studiò poi diritto a Orléans, ma la professione di avvocato non gli era congeniale. Nel 1643 conobbe i comici Béjart, a cui si legò in nome del comune amore per il teatro. Nello stesso anno, dopo aver rinunciato a conservare la carica paterna di cui nel 1637 aveva ottenuto il diploma, Molière formò con i Béjart la compagnia dell'Illustre-Théâtre che, nei primi tempi, venne diretta da Madeleine Béjart. Nel giro di due anni, dopo continue traversie, la compagnia si sciolse. Molière conobbe anni difficili; patì alcuni mesi di carcere, per debiti nel 1645, poi lasciò Parigi per la provincia. Ricostituì la compagnia a Bordeaux dove venne raggiunto da Madeleine Béjart e recitò a Tolosa, Albi, Carcassonne, Nantes, Grenoble, Avignone, Rouen, ecc. Le sue farse, ispirate alla Commedia dell'Arte italiana che fin da ragazzo andava ad ammirare al Pont-Neuf, a due passi da casa sua, avevano successo, cosicché, dopo tredici anni di lontananza, decise di tornare a Parigi, dove il 24 ottobre 1658 rappresentò, davanti a Luigi XIV, il Nicomède di Corneille e una sua farsa, L'amour médecin (L'amore medico). Il sovrano si divertì moltissimo, tanto da concedere al commediografo e capocomico l'uso, a giorni alterni con gli Italiani, della sala del Petit-Bourbon. Molière vi recitò Corneille, ma non ebbe successo; ne ebbe invece moltissimo con le sue opere L'étourdi (1655; Lo stordito), Les précieuses ridicules (1659; Le preziose ridicole), Sganarelle ou le cocu imaginaire (1660; Sganarello o il cornuto immaginario). Demolita nel 1660 la sala del Petit-Bourbon, la troupe, per intervento del re, poté usare la sala del Palais-Royal dove nel 1661 trionfò con Le depit amoureux (Il dispetto amoroso) e con L'école des maris (La scuola dei mariti) tratta dagli Adelfoe di Terenzio, ancora nella tradizione della Commedia dell'Arte. L'anno dopo Molière sposò Armande Béjart, sorella diciassettenne o diciannovenne di Madeleine, di cui un tempo egli era stato l'amante. Il matrimonio, per l'eccessiva differenza d'età, non fu felice. Armande era tanto vivace e smaniosa di vivere quanto Molière era ormai propenso alla meditazione. Sul finire del 1662, Molière rappresentò L'école des femmes (La scuola delle mogli), che fu insieme un successo e uno scandalo. Si formarono due partiti: l'uno per, l'altro contro l'autore. Molière entrò nella mischia a modo suo, scrivendo la Critique de “L'école des femmes” (1663). Il re si dichiarò per Molière che aveva rappresentato nella Scuola delle mogli i pericoli dell'amore in un matrimonio di disparata età (parlava anche per sé), tema che riprese nel Mariage forcé (1664; Il matrimonio per forza). A quest'opera comica fece seguire, il 12 maggio 1664, una delle sue commedie più polemiche, Tartuffe (Tartufo), la commedia che ferì a morte gli ipocriti, i falsi devoti. Tartufo, zelante bigotto, sconvolge la vita della famiglia dove si è introdotto e giungerebbe fino al punto di spogliarla di ogni bene se l'intervento del re non riportasse ordine e giustizia. Al re la commedia piacque, tuttavia su richiesta di Anna d'Austria e dell'arcivescovo di Parigi ne vietò la rappresentazione. Di questa prima versione del Tartufo non si sa quasi nulla, così come non ci è giunta la versione del 1667 dal titolo L'imposteur; il testo giunto a noi fu rappresentato nel 1669. Pierre Roullé, parroco di Saint-Barthélemy, scrisse un libello contro Molière degno, secondo lui, del fuoco purificatore per aver osato attaccare la religione. Molière supplicò il re di consentire la rappresentazione del Tartufo, ma ottenne solo di poterlo dare in spettacoli privati, non essendo auspicabile la guerra aperta alla Chiesa. Stessa accoglienza ebbe Don Juan ou le festin de pierre (1665; Don Giovanni o il convitato di pietra) anch'essa ritirata per nuove presunte offese ai principi della Chiesa. Il re, per ripagare Molière di tanta ostilità, gli concedette 6000 lire annuali di pensione e l'autorizzazione a fregiare la sua troupe del titolo di “Compagnia del re”. Amareggiato ma non vinto, Molière scrisse e rappresentò Le médecin malgré lui (1666; Il medico per forza), Le misanthrope (1666; Il misantropo), Amphitryon (1668; Anfitrione), L'avare (1668; L'avaro), George Dandin ou le Mari confondu (1668) e Le bourgeois gentilhomme (1670; Il borghese gentiluomo), musicata, al pari di altre sue commedie, da G. B. Lulli, col quale i rapporti non furono sempre sereni. Le misanthrope, considerato dalla critica il suo capolavoro, non venne dato alla presenza del monarca, in lutto con tutta la corte per la morte di Anna d'Austria. Commedia di caratteri e di costume, ricrea nell'intrecciarsi delle vicende di Alceste e di Célimène la vita di una società che si consuma vanamente nei salotti con dispute risibili e giornate vacue. Ma autentico capolavoro è anche L'avare, cinque atti in prosa, destinati a un successo perpetuo. Arpagone, il protagonista dell'opera di Molière, è immensamente più grande, più approfondito, ha più carattere dell'Euclione che Plauto mette in scena nell'Aulularia. Euclione è l'avaro svelato dalla sorte, in quanto lo diventa col possesso, con la scoperta di una cassetta di danaro che sconvolge la sua vita. In Molière Arpagone è l'avaro nato, colui che accumula, che trema di tutto, ma che profitta di tutto, che nel danaro rinnega figli e amici, dimentica amore e dovere. La sua vita è tutta e soltanto nel danaro. Perdendolo perde la ragione d'essere e l'intelletto; ritrovandolo gli si affida e vi si placa. Nonostante la sua salute, declinante, lo portasse a frequenti malumori, a ombrosità, all'incapacità di sopportare dispetti e intrighi in mezzo ai quali aveva pur sempre navigato, Molière continuava a lavorare con accanimento. Scrisse e rappresentò Les fourberies de Scapin (1671; Le furberie di Scapino) ed ebbe fortuna, se pur breve, con Les femmes savantes (1672; Le donne saccenti). Subito dopo preparò una delle sue farse più feroci contro la medicina nutrita dalla sua rabbia di eterno malato: Le malade imaginaire (1673; Il malato immaginario). Il successo fu enorme. Alla quarta rappresentazione (17 febbraio 1673) Molière si sentì male in scena, ma riuscì, con le risorse del mestiere, a mascherare la sofferenza. Morì a casa, solo, senza l'assistenza della moglie e senza la presenza di amici, corsi a cercarla, e neppure il solo prete che consentì di accorrere al suo capezzale (altri due chiamati prima rifiutarono) arrivò in tempo. Morto quindi senza confessione, gli venne rifiutata la sepoltura che, per il successivo intervento del re, gli fu infine concessa. La scomparsa di Molière, la cui vita si aprì e concluse nel segno del teatro, creò disagio alla compagnia, che la vedova cercò di mantenere unita, aiutata nella direzione da La Grange. Lulli si impadronì della sala del Palais-Royal, che già aveva costituito motivo di dissidio con Molière. La troupe si stabilì quindi in una sala di rue Guénégaud. Con essa si fuse quasi subito la compagnia del Marais e nel 1680, per un'ordinanza del re, alle prime due si associò la compagnia del Palazzo di Bourgogne. Nacque così la Maison de Molière, poi Comédie-Française.

La fortuna di Molière

Molière, che si dice sia stato scolaro, nella mimica e nella recitazione, del celebre italiano Scaramuccia, è considerato il più grande autore comico della Francia e uno dei classici del regno di Luigi XIV. La fortuna delle commedie conferma un giudizio che già era stato pronunciato dai contemporanei: la satira di Molière coglie il lato ridicolo dei costumi dell'epoca, ma nello stesso tempo, secondo i dettami dell'arte poetica degli antichi, esamina e ritrae l'uomo nella sua universalità. D'altro lato, per stare al gusto del pubblico e per seguire un'irresistibile natura di autore e attore comico, egli coglieva della vita gli aspetti caratteristici, dai gesti alle frasi, dagli usi alle esigenze sociali, e di tutto si valeva per raggiungere un suo effetto. Da notare è il linguaggio limpido e familiare da schietto parigino. In tal modo aveva fatto sua la lezione degli antichi seguendo la natura nella sua semplicità e genuinità. Su questa base, l'autore costruì una sua teoria dell'arte drammatica, espressa in più occasioni: egli non volle cadere in riferimenti personali ma colpire i vizi nella loro generalità. Nei suoi personaggi al ridicolo s'accompagna quasi sempre il dramma: il suo mondo è quello della commedia drammatica. Il riso ferisce, perché si ride sempre di se stessi, delle proprie miserie, dalle quali si è sopraffatti fino a esserne dominati o con le quali si è perennemente in lotta: amore, avarizia, presunzione, gelosia, falsi pudori, ipocrisia, adulazione. Così il tema, che tanto interessò e divise critici, scrittori e autori del tempo: se la commedia di Molière fosse morale, oggi non si pone più. Tutto ciò che aiuta a capire l'uomo, a far respingere il male come il nemico dell'uomo, è inequivocabilmente morale. La visione della vita in Molière era stata rafforzata dalle sue letture, sempre in omaggio alla natura e alle sue eterne leggi: l'esempio di Rabelais era stato essenziale per la formazione dello scrittore, anche per il dominio della lingua francese, vivace e forte. La meditazione di Lucrezio, dietro l'insegnamento del filosofo Gassendi, aveva allontanato Molière dall'ipocrisia della cultura ufficiale del tempo e lo aveva indotto a studiare a fondo la natura umana come depositaria di leggi insite nel mondo, da proclamare le sole valide. A colpire lo spettatore, a dar forza a quel teatro che tante polemiche suscitò, contribuì enormemente lo stile, condannato a volte dai puristi, ma che si affermò proprio perché era stile teatrale. La Bruyère e Fénelon lo biasimarono, opponendogli la purezza di Terenzio, ma il teatro di Molière è grande, perché se non ha lo stile di Terenzio, ha la forza di quello di Aristofane. Nessuno rimprovera più a Molière di essersi ispirato ad altri, così come nessuno osa fare la stessa colpa a Shakespeare. Molière come Shakespeare riplasma e ricrea creature cui l'arte conferisce vita autonoma e perenne.

P. Chapman, The Spirit of Molière, Princeton, 1940; M. Apollonio, Molière, Brescia, 1942; I. Siciliano, Molière, Milano-Venezia, 1947; L. Jouvet, Molière et la comédie classique, Parigi, 1967; F. L. Lawrence, Molière: the Comedy of Unreason, New Orleans, 1968; M. A. Bulgakov, Vita del signor di Molière, Milano, 1969; G. Macchia, La caduta della luna, Milano, 1973; R. Fernandez, Molière ou l'essence du génie comique, Parigi, 1979; G. Defaux, Molière ou les métamorphoses du comique: de la comédie morale au triomphe de la folie, Lexington, 1980; G. Conesa, Le dialogue moliéresque. Ètude stylistique et dramaturgique, Parigi, 1983; Fr. Mallet, Molière, Parigi, 1986; W. D. Howarth, Molière: uno scrittore di teatro e il suo pubblico, Bologna, 1987; A. Simon, Molière, une vie, Lione, 1987; J. Cairncross, L'humanité de Molière, Parigi, 1988; H. Wousters, Chr. de Ville de Goyet, Molière ou l'auteur imaginaire?, Bruxelles, 1990.

Quiz

Mettiti alla prova!

Testa la tua conoscenza e quella dei tuoi amici.

Fai il quiz ora