L'Impero: le dinastie Giulio-Claudia e Flavia
- Introduzione
- La dinastia Giulio-Claudia
- La dinastia Flavia
- Approfondimenti
- Riepilogando
La dinastia Giulio-Claudia
Alla morte di Augusto il potere passò a Tiberio, suo figlio adottivo e figlio naturale di sua moglie Livia e del primo marito Claudio Nerone (per questo la dinastia si chiamò, oltre che Giulia, dalla casata di Augusto, anche Claudia). Tiberio si era messo in evidenza nelle campagne militari contro i Germani. Augusto lo aveva quindi richiamato in patria dandogli incarichi di governo e raccomandandolo al senato come suo successore. Il senato stesso lo proclamò imperatore, nonostante egli avesse chiesto di potersi ritirare a vita privata. In politica estera Tiberio fece presidiare i confini settentrionali dal nipote Germanico che sconfisse più volte i Germani (14-16). Preoccupato della popolarità di Germanico, lo inviò in Oriente per affrontare i Parti e poi lo fece probabilmente uccidere (19), perdendo il suo prestigio presso il popolo. Tiberio iniziò così una serie di persecuzioni nei confronti dei suoi avversari e poi si ritirò a vita privata nella sua villa di Capri. Affidato il potere a Seiano, prefetto del pretorio, tornò a Roma e lo fece uccidere poiché aveva tramato di usurpare il trono (31). L'operato complessivo di Tiberio, nonostante l'intensificazione delle repressioni, ebbe anche lati positivi: lo Stato era in buone condizioni finanziarie, i confini erano sicuri e il potere centrale era ormai ben solido. Tiberio, morto nel 37, aveva segnalato come suoi successori i nipoti Gaio, detto Caligola (dai calzari militari, caliga, che era solito portare) e Tiberio. Il senato, approvato dal popolo, acclamò imperatore il primo poiché figlio di Germanico che ancora godeva di molta popolarità. Il suo breve governo (37-41) fu caratterizzato da atti di repressione nei confronti dei suoi nemici e dalla scarsa considerazione data al senato, manifestata tra l'altro con l'atto, passato alla storia, di aver nominato senatore il proprio cavallo. Caligola, nonostante gli atteggiamenti da sovrano orientale (pretese l'erezione di un tempio in suo onore, l'inchino e omaggi divini), fu molto popolare tra la plebe alla quale offriva giochi circensi ed elargizioni di denaro e cibo (da cui l'espressione panem et circensem, “pane e circo”, per intendere gli strumenti del controllo sulle masse). Fu vittima di una congiura ordita dai pretoriani (41) che posero sul trono suo zio Claudio. Per la prima volta l'imperatore veniva proclamato dai militari. Claudio aveva sempre evitato la vita politica e poco sembrava adattarvisi con il suo carattere timido e apparentemente debole. Il suo regno fu invece positivo. Rafforzò l'apparato burocratico e lo affidò alla segreteria imperiale di cui facevano parte anche alcuni liberti e ammise in senato anche cittadini delle province, iniziandone il processo di assimilazione all'Impero romano che si svilupperà con i suoi successori. In politica estera conquistò la parte meridionale della Britannia (44), dove sorse il primo nucleo della città di Londra (allora Londinium). La successione al trono fu costellata da una rete di intrighi. Claudio aveva avuto un figlio legittimo, Britannico, dalla prima moglie Messalina. In seconde nozze aveva sposato la nipote Agrippina che aveva già un figlio, Nerone. Per favorire il figlio, Agrippina fece uccidere il marito e tramò perché il senato esautorasse Britannico; nel 54 fu proclamato imperatore Nerone. Questi, appena diciassettenne, era sotto la tutela della madre e di due esponenti del senato, Afranio Burro, prefetto del pretorio, e il filosofo Seneca, suo precettore. Ben presto Nerone si liberò di Britannico, fece uccidere la madre e mandò in esilio Seneca. Alla morte di Burro governò circondato da seguaci fidati, assumendo atteggiamenti da sovrano assoluto e mandando a morte i suoi nemici. In politica estera ottenne un successo contro i Parti e impose il protettorato di Roma sull'Armenia. Nel 64 gran parte di Roma fu distrutta da un incendio, da cui Nerone prese pretesto per incolpare i cristiani (furono uccisi gli apostoli Pietro e Paolo forse negli anni 66-67). Corse però voce che Nerone stesso avesse provocato l'incendio, per fare spazio al suo grande palazzo, la Domus Aurea. Il governo dispotico dell'imperatore, unito alle spese per mantenere la sua fastosa corte e al suo istrionico amore per l'arte drammatica e i giochi, gli inimicò la nobiltà senatoria. Nell'ultimo periodo di regno sventò la congiura della famiglia dei Pisoni ed eliminò molti oppositori aristocratici. Vittime illustri furono i letterati Lucano, Petronio e lo stesso Seneca che si suicidarono. Inviso alla classe militare per aver fatto uccidere il generale Corbulone, Nerone fu costretto a suicidarsi in seguito alla rivolta delle truppe di stanza in Lusitania che proclamarono imperatore il loro comandante Galba (68).