L'Europa carolingia e il Sacro Romano Impero
- Introduzione
- Dai Merovingi ai Pipinidi
- Il Sacro Romano Impero
- Approfondimenti
- Riepilogando
Il Sacro Romano Impero
L'incoronazione di Carlo come imperatore fu preparata da una serie di fattori rilevanti: la coesione dei territori conquistati, la sicurezza dei confini e il legame sempre più stretto con la Chiesa di Roma. Nel 795 era diventato papa Leone III che, accusato quattro anni dopo di spergiuro e adulterio da un gruppo di dignitari ecclesiastici, fuggì presso la corte di Carlo. Il 23 dic. dell'anno 800 Carlo scese in Italia e, con un pubblico giuramento, fece giustificare il papa delle accuse lanciategli; due giorni dopo, nella basilica di San Pietro, lo stesso papa nominò Carlo imperatore. Questo titolo poneva Carlo apertamente in contrasto con l'Impero d'Oriente il cui sovrano (allora l'imperatrice Irene) portava ancora il titolo di “Re dei Romani”. In funzione antibizantina Carlo strinse rapporti d'amicizia con alcuni principi musulmani e soprattutto con il califfo di Baghdad, Haroun-el-Rashid (il califfo delle Mille e una notte). Il riconoscimento da parte di Bisanzio avvenne solo nell'812 in cambio della rinuncia di qualsiasi pretesa dei Franchi su Venezia. Venezia e la zona lagunare erano infatti intermediarie dei traffici commerciali con l'Oriente e quindi oggetto di interesse sia per Franchi che per Bizantini. Il figlio di Carlo, Pipino, reggente nel Regno longobardo, cercò di conquistare la città ma fu respinto da una flotta bizantina e si arrivò così all'intesa dell'812.
L'organizzazione dell'Impero. L'uso del sovrano di distribuire terre in cambio del giuramento di fedeltà, era già consolidato al tempo dei re Merovingi che si erano fatti affiancare nell'esercizio del potere da uomini fidati, i conti (comites). Così anche il territorio del nuovo Impero fu diviso in grandi circoscrizioni, contee e marche (queste ultime erano le zone di confine), rette da conti e marchesi che svolgevano funzioni amministrative, come la riscossione delle imposte, giudiziarie e militari (in quest'ultimo caso reclutavano uomini per l'esercito, funzione definita eribanno). Il compito di controllare l'operato di conti e marchesi fu affidato ai missi dominici (“messi del Signore”, dell'imperatore), nominati in coppia, un laico e un ecclesiastico. Il potere centrale era costituito dal palatium (palazzo), cioè dal sovrano e dalla sua corte di cavalieri e chierici, senza che vi fosse una capitale fissa anche se Carlo privilegiò Aquisgrana. All'interno del palatium aveva estrema importanza la cancelleria, retta da un chierico che compilava atti legislativi, curava gli archivi di Stato e si occupava di affari ecclesiastici. Le leggi emanate dal palatium avevano valore su tutto il territorio ed erano dette capitolari, poiché redatte in brevi paragrafi; spesso più che vere e proprie ordinanze erano piani di sviluppo e programmi governativi. Il capitolare di Sassonia dettava le norme di sottomissione dei Sassoni; quello detto “de villis” regolò la conduzione delle aziende agricole del Regno; il capitolare di Quierzy emanato da Carlo il Calvo nell'877 riconobbe l'ereditarietà delle contee (fino ad allora il territorio dato in beneficio doveva infatti essere restituito al benefattore quando il beneficiario fosse morto). Due volte l'anno i grandi dell'Impero si riunivano in assemblee dette placita nel corso delle quali venivano emanati i capitolari. In campo religioso, Carlo costituì nuove circoscrizioni metropolitane, convocò sinodi, promosse la vita monastica accordando benefici ai monasteri, intervenne nelle nomine dei vescovi che sottopose al controllo dei missi dominici.
La “rinascita carolingia”. La corte dell'Impero fu anche promotrice di una rinascita culturale, incrementando l'istruzione e raccogliendo attorno a sé, nella Schola Palatina, i maggiori intellettuali del tempo, tra cui Paolo Diacono, Alcuino, Rabano Mauro, Teodolfo d'Orléans, Giovanni Scoto Eriugena, autori di opere di carattere religioso e teologico.
La dissoluzione dell'Impero. Alla morte di Carlo Magno nell'814, gli succedette l'unico figlio rimasto in vita, Ludovico il Pio che rinunciò ai titoli di re dei Franchi e dei Longobardi, riunendoli nell'unico titolo di imperatore. Nell'817 emanò l'Ordinatio Imperii con cui tolse autonomia al Regno Longobardo che da allora si chiamò Regnum Italiae. Ludovico progettò di dividere l'Impero tra i figli: a Ludovico sarebbe toccata la Germania (per questo fu detto Germanico), a Lotario, insieme al titolo imperiale, i territori compresi tra il mare del Nord, il Tirreno e l'Adriatico, a Carlo il Calvo i territori occidentali. Nell'842 Ludovico e Carlo strinsero a Strasburgo un patto d'alleanza contro il fratello, giurando in francese e in lingua germanica perché entrambe le popolazioni da loro guidate lo capissero. Con il Trattato di Verdun dell'843, Lotario accettò la spartizione di fatto dell'Impero. Nei quarant'anni seguenti i monarchi carolingi entrarono spesso in conflitto tra loro. Il potere imperiale passò da Lotario al figlio Ludovico II, che combatté in Italia contro il Ducato di Benevento e i Saraceni, e poi a Carlo il Calvo. La crisi dell'Impero, già fiaccato dalle tendenze centrifughe delle forze aristocratiche, i cui possedimenti maggiori erano diventati ereditari (capitolare di Quierzy), fu accelerata dall'invasione di Normanni, Magiari, Saraceni che saccheggiarono intere regioni. Nell'884, Carlo il Grosso, figlio di Ludovico il Germanico riunificò tutti i territori imperiali, ma la rinnovata unità ebbe breve vita. Non essendo riuscito a far fronte a una nuova incursione normanna, Carlo fu deposto (887). Arnolfo, suo nipote, divenne re di Germania, il conte Eude re di Francia, in Italia il potere fu conteso tra Berengario, marchese del Friuli, e Guido, duca di Spoleto. In Francia prenderà ben presto il potere la dinastia dei Capetingi, mentre Arnolfo, sceso in Italia per essere incoronato, unì la dignità imperiale alla corona di Germania.