Le teorie sulla devianza
"Labeling theory"
Sinora abbiamo visto teorie che hanno concentrato l'attenzione su fattori biologici e psichici del deviante, oppure sul contesto socioculturale in cui il deviante vive. Secondo un'impostazione che risale a Howard Becker e che prende il nome di labeling theory (cioè teoria dell'etichettamento), il nucleo dei processi devianti è da rintracciare nelle norme che definiscono un determinato comportamento come lecito o deviato. In sé, sostiene Becker, nessun comportamento è deviante, ma lo diviene nel momento in cui esso viene definito tale. Il problema diviene allora quello di capire quali gruppi sociali definiscono qualcosa come lecito o deviante e per quali fini. L'analisi della devianza manifesta allora i rapporti di potere vigenti in una determinata società. È infatti chi detiene il potere reale a imporre la propria definizione di norma, etichettando chi non vi si attiene come outsider. Accade così che le regole di definizione della devianza e i contesti a cui esse si applicano vengono stabiliti per lo più dai ricchi per i poveri, dagli uomini per le donne, dagli anziani per i giovani e dalle maggioranze etniche per i gruppi minoritari. Molti bambini, per esempio, fanno cose come entrare nel giardino degli altri, rompere finestre, rubare frutta o marinare la scuola. Ma questi comportamenti vengono considerati diversamente a seconda del contesto in cui si verificano. Così il medesimo fatto può essere considerato una "monelleria" in un quartiere borghese, un sintomo di devianza in una zona proletaria.
Questa diversa considerazione non rimane però priva di conseguenze: un individuo, una volta etichettato come delinquente, verrà considerato e trattato come tale, aumentando in tal modo la distanza con il resto della società. In proposito Edwin Lemert parla di devianza primaria. A questo primo momento della trasgressione segue, infatti, una volta che il soggetto stesso ha accolto l'etichetta di deviante e si percepisce dunque come tale, la devianza secondaria, un atteggiamento, cioè, che radicalizza la propensione trasgressiva del soggetto in questione. Da queste teorie trae spunto una critica alle istituzioni preposte a controllare il comportamento deviante: in altri termini, riformatori e prigione avrebbero come effetto il passaggio dell'individuo alla devianza secondaria. Da qui l'affermazione di Edwin Lemert secondo cui non è la devianza a richiedere il controllo sociale, ma è il controllo sociale a generare la devianza.