La diseguaglianza
- Introduzione
- La povertà
- La schiavitù
- Razzismo e xenofobia
- Diseguaglianze generazionali
Razzismo e xenofobia
Il termine "razzismo" indica, in senso lato, un atteggiamento di intolleranza sociale che porta un individuo o un gruppo a non accettare l'esistenza di individui e gruppi con modi di pensare e di agire differenti dai propri. Se questa forma di intolleranza è stata spesso presente nella storia dell'umanità, è invece relativamente recente e specifica della cultura occidentale una concezione biologica del razzismo, basata sul pregiudizio pseudoscientifico che esistano razze "superiori" e razze "inferiori". Al razzismo in genere si accompagna la xenofobia. Questa è un'esasperazione dell'etnocentrismo, cioè della propensione a ritenere che gli usi e i costumi della propria comunità (i cui membri possono anche appartenere a razze diverse) siano superiori a quelli di qualsiasi altra e si concreta in un atteggiamento di forte avversione verso i membri delle altre comunità. Intolleranza, razzismo e xenofobia si sono variamente intrecciati nella storia degli ultimi secoli, avendo come radice comune il pregiudizio di una qualche "superiorità" del proprio gruppo d'appartenenza rispetto agli altri ("superiorità" della propria religione, del proprio sistema politico, di razza, etnia o, semplicemente, di sistema di vita). Tale pregiudizio fondamentale può avere cause storico-economiche (per esempio, il pregiudizio etnico e razziale è stato funzionale al dominio coloniale e perciò propagandato a giustificazione dello sfruttamento delle popolazioni dominate); cause socio-economiche, per cui in momenti di difficoltà, soprattutto quando particolari ceti sociali subiscono situazioni di frustrazione, determinati gruppi umani variamente individuabili (ebrei, neri, omosessuali, drogati, immigrati) sono pensati come la causa del malessere; cause psicologico-culturali, quali i pregiudizi connessi all'integralismo religioso o politico, o alla diffusione di determinati stili di vita, autoritari, egocentrici, egoistici, consumistici, assai rigidi nei confronti dell'accoglienza del diverso e del rispetto delle differenze. Ovviamente, cause storiche, economiche, sociali, culturali e psicologiche sono per lo più legate tra loro in modo inestricabile. Determinate situazioni sociali favoriscono l'insorgenza del pregiudizio: l'eterogeneità (razziale, religiosa, linguistica) della struttura sociale; l'incremento rapido della mobilità sociale; la tendenza all'aumento numerico di un gruppo di minoranza; il controllo dell'informazione da parte di gruppi interessati, per vari motivi, alla diffusione del pregiudizio.
Il confine tra razzismo e xenofobia è in realtà assai labile e le più recenti ricerche tendono a ridurlo, dando una definizione di razzismo che non si fonda soltanto sulla persuasione di differenze biologiche tali da giustificare una presunta superiorità o inferiorità razziale. Certamente l'alterità inquieta e la differenza sconcerta e preoccupa, oltre, talvolta, a sedurre. Quindi, il contatto con il diverso è inevitabilmente carico di tensione emotiva. Non è però il contatto difficile con il diverso a costituire razzismo, bensì una certa interpretazione della differenza, in gran parte dipendente da un contesto sociale e culturale. Si ha razzismo quando la differenza è utilizzata a proprio favore e a danno dell'altro, in modo che essa produca ineguaglianza e subordinazione (sociale, economica, politica ecc.). Da qui la definizione di razzismo adottata da Albert Memmi: "Il razzismo è la valorizzazione, generalizzata e definitiva, di differenze, reali o immaginarie, a vantaggio dell'accusatore e ai danni della vittima, al fine di giustificare un'aggressione o un privilegio". La differenza è quindi usata al fine di dominare il diverso, e dunque il razzismo si traduce in una serie di comportamenti di oppressione e aggressione. Apice del razzismo è la produzione di un discorso capace di persuadere il diverso a cui si riferisce di essere realmente "inferiore".