Il positivismo di Aristide Gabelli
Aristide Gabelli (1830-1891) può essere agevolmente considerato il maggior pedagogista italiano del secondo Ottocento, si colloca all'interno del movimento del positivismo che rispecchia l'orientamento culturale che prese l'avvio proprio intorno alla metà dell'Ottocento.
Esso si caratterizza, come dice il nome stesso del movimento, per un'attenzione ai fatti “positivi”, comprovabili, e di conseguenza fa particolare affidamento sul metodo scientifico, dedicandosi allo studio e all'analisi unicamente dei fatti concreti, senza nessuna concessione alla fantasia o ai ragionamenti metafisici che abbiamo visto essere tanto cari ai pensatori degli anni precedenti.
• Educazione, storia e società
Il realismo di Gabelli porta l'autore a una forte contestualizzazione dell'educazione, che non viene più pensata come un sistema con valenza universale, ma in funzione di una specifica situazione sociale, politica e culturale. Difatti Gabelli imposta il suo sistema pedagogico a partire dalla situazione dell'Italia postunitaria, dove – a suo parere – il più grande problema era dato dall'avanzato livello dell'istituzioni politiche e civili che avevano permesso l'unificazione della penisola contrapposto però a una notevole arretratezza a livello di popolo (costumi, coscienza civile e livello culturale in genere). Per Gabelli lo scopo dell'educazione deve essere il bene comune, e quindi assegna alla scuola – vista come luogo di promozione e diffusione della cultura – il delicato ruolo di formare gli italiani.
La sua proposta educativa, nel concreto, è comunque piuttosto moderata: si tratta di promuovere la libertà di pensiero attraverso l'impiego di una modalità di insegnamento basata sul metodo scientifico e sulla “superiorità dell'intelligenza sulla sensibilità”.
A livello metodologico, molto forte è la critica che il Gabelli avanza nei confronti delle strategie didattiche tradizionali, che non ritiene atte, con la loro impostazione volta a una trasmissione di un sapere preconfezionato, allo sviluppo critico dello “strumento testa”. Questo metodo “logico” (che verrà contrapposto a un metodo “psicologico”, e quindi più naturale) che parte non tanto dall'esperienza ma dalla logica astratta che sta dietro alle diverse materie è visto come coerente con un regime politico autoritario, ma del tutto inadatto a un regime a impostazione democratica.
Egli suggerisce dunque un investimento sul metodo scientifico, visto come formativo in quanto, partendo dall'esperienza diretta, esso porta allo sviluppo dello spirito di ricerca, della capacità di analisi, dello spirito critico. L'importanza della scuola è posta dunque dalle cose che vengono effettivamente insegnate a come vengono insegnate: non sono più solo i contenuti che vanno a incidere sulla formazione dello studente, ma anche il modo con cui gli vengono presentati.