La raffinata espressività di György Kurtág
L'ungherese György Kurtág (Lugoj, Romania 1926) studiò a Budapest e successivamente a Parigi con D. Milhaud e O. Messiaen. L'apertura di orizzonti sollecitata dall'avanguardia degli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta gli ha permesso di esplorare zone espressive innovative e raffinate, nelle quali ogni minimo scarto dell'invenzione è carico di originalissimi significati, che affiorano da piccoli, spesso sofisticati giochi di analogie interne al materiale tematico, oppure da preziose allusioni letterarie (Kafka-Fragmente op. 42 per soprano e violino, 1986), evocate attraverso situazioni timbriche, armoniche o di grammatica compositiva. Tali caratteristiche sono presenti nel Négy Capriccio (Quattro capricci) op. 9 per soprano e complesso da camera, su testi di István Bálint (1972), in Omaggio a Luigi Nono op. 16 per coro a cappella (1979), in Eszká emlékzaj op. 12 (Rumore di Ricordo S.K.) per soprano solo e violino (1975) e nei due splendidi pezzi del 1981: Attila József fragments op. 20 per soprano solo e Scene da un romanzo op. 19 per soprano, violino, contrabbasso e cimbalom, su versi di Rimma Dalos. In ...quasi una fantasia... op. 27 n. 1 per pianoforte e gruppi di strumenti (1988), pur non rinunciando alla caratteristica essenzialità della sua scrittura, il materiale diatonico si dilata in forme più ampie.
Nel 1991 Claudio Abbado diresse a Vienna Samuel Beckett: What is the word? op. 30b per contralto recitante, voci e gruppi di strumenti, dove una grottesca tragicità lascia comunque aperte prospettive utopistiche.
Nel 1994 Kurtág affronta per la prima volta la grande orchestra con Stele op. 33, un lavoro dedicato a Claudio Abbado che lo diresse a Berlino.
Kurtág sperimenta l'apertura, la duttilità e la varietà di stimoli e risposte tipici della società contemporanea, affiancandosi alle esperienze cinematografiche, teatrali e letterarie più innovative di questi ultimi anni e levandosi come una delle voci più originali e significative del secondo Novecento.