Le nuove forme
L'origine delle nuove forme musicali barocche è italiana. La loro elaborazione è graduale e ciò si riflette nella terminologia che, per un certo periodo, sino a metà Seicento, non distinse univocamente tra balletto e suite, tra canzone (o canzona) e sonata, tra sinfonia e concerto.
La suite
Fu la genesi stessa della sua forma strumentale a comportare alla suite l'iniziale ambiguità e indistinzione in rapporto al balletto. La suite è infatti suddivisa in più movimenti, ricavati appunto da danze di origine popolare, movimenti unificati dalla comune tonalità e la cui successione avviene secondo criteri di contrasto ritmico ed espressivo. La suite trovò ambiente favorevole nella cultura del Rinascimento, proseguendo la tendenza già medievale al raggruppamento di danze. Si vennero così a creare coppie di balli per esempio, pavana/salterello o pavana/gagliarda uniti dal ricorso a una sola tonalità fondamentale, ma contrapposti quanto al tempo, costituito nella successione di una danza lenta a una veloce. Furono i liutisti italiani d'inizio Cinquecento a inquadrare la coppia pavana/salterello fra altri pezzi strumentali, associando così quattro o cinque danze appoggiate tutte su un'unica tonalità.
La suite giunse a forma compiuta nel Seicento, quando il compositore tedesco J.J. Froberger (1616-1667), che ne è considerato il codificatore, fissò la struttura definitiva della suite in una successione di quattro danze (allemanda, corrente, sarabanda, giga), con la frequente introduzione, fra le due ultime, di altre danze, come la bourrée, la gavotta, il rigaudon, il minuetto.
Durante l'età del barocco, l'esecuzione della suite era affidata sia a strumenti solisti (clavicembalo, liuto, violino, viola da gamba, flauto), sia all'insieme strumentale comprendente uno strumentista per parte, sia all'orchestra. La suite per strumento solista conobbe grande sviluppo, perché favoriva l'espressione personale e il virtuosismo. Nella seconda metà del Seicento, composero suite per clavicembalo grandi maestri, quali Purcell in Inghilterra, Froberger in Germania, Champion de Chambonnières in Francia.
La sonata
La sonata reca nel nome stesso la propria origine dalla base musicale della canzone e questa ambiguità che per qualche tempo l'accompagnò. Dal senso generico di pezzo strumentale, di "canzona da sonar" che ebbe soprattutto nel XVI secolo, con ancora un forte richiamo alla polifonia vocale, la parola passò poi a un significato più definito precisamente nel corso del XVII secolo, con lo sviluppo della sonata a tre e della (meno frequente) sonata per violino e basso continuo. L'iniziale prossimità della sonata al precedente modello della canzone polifonica vocale è percepibile esemplarmente nella Sonata pian e forte di G. Gabrieli, per quanto essa aderisca poi all'estetica barocca per la ricerca dei contrasti dinamici. La sonata in trio è pensata per due parti soliste, cioè principali (generalmente due violini), sostenute dal basso continuo (clavicembalo od organo).
Con riferimento alla destinazione delle opere, si possono distinguere due tipi di sonate, la sonata da camera (riservata al concerto) e la sonata da chiesa. La sonata da camera si confonde ancora con la suite di danze, di cui riprende i caratteri. La sonata da chiesa mette in opera da tre a cinque movimenti, designati dal loro tempo: lento, vivace, lento, vivace. Ma resta chiaramente percepibile anche qui lo spirito della danza: il secondo movimento lento ricorda l'aspetto di una sarabanda, mentre il finale ricorda quello di una giga.
Agli inizi, la sonata fu un genere puramente italiano e destinato alla famiglia dei violini. Nella prima metà del Seicento trionfò la scuola di Modena, con M. Uccellini e i suoi successori Stradella e Colombi; gli sviluppi più importanti si ebbero a Bologna con M. Cazzati, G.B. Vitali e, soprattutto, a Roma con A. Corelli.
Due maestri della sonata:
Arcangelo Corelli e Domenico Scarlatti
Compositore e violinista, Arcangelo Corelli (Fusignano 1653 - Roma 1713) si formò a Bologna, dove ebbe come maestri di violino G. Benvenuti e L. Brugnoli; dal 1671 si stabilì a Roma e qui svolse la massima parte della sua attività: presso la chiesa di San Luigi dei Francesi, al servizio del cardinale B. Pamphili dal 1685 al 1689, poi del cardinale P. Ottoboni fino alla morte. Non esiste una sicura documentazione sui suoi viaggi a Parigi e in Germania: fu tuttavia in rapporto con corti tedesche, come possono attestare anche gli influssi che esercitò in Germania. Nel 1681 Corelli pubblicò l'op. 1, comprendente, come le successive opp. 2, 3 e 4 (rispettivamente del 1685, 1689 e 1694), 12 sonate a tre: da chiesa nelle opp. 1 e 3, da camera nelle opp. 2 e 4. Si tratta di sonate in cui si è visto rappresentato l'apogeo della sonata barocca.
Nel 1700 pubblicò la celebre op. 5, costituita da 12 sonate per violino e basso (6 da chiesa e 6 da camera), dedicata alla principessa Sofia Carlotta, divenuta l'anno seguente prima regina di Prussia. L'opera è di grande importanza nella successiva storia della sonata europea e dello sviluppo delle scuole violinistiche, che vi trovarono il proprio testo fondamentale, tanto da essere ristampata più di 50 volte nel corso del Settecento da editori diversi. Con Corelli, infatti, il violino conseguì una prima compiuta valorizzazione in senso espressivo. Del rigore con cui Corelli perseguì tali risultati sono testimonianza l'esclusiva concentrazione della sua attività compositiva sulla musica strumentale (in un ambiente in cui trionfava il teatro d'opera) e lo scarso numero di opere pubblicate, sottoposte probabilmente a un accurato lavoro di lima e caratterizzate da una concezione di misurato, classico equilibrio. Non minore importanza dell'op. 5 ebbero i 12 concerti grossi dell'op. 6, pubblicati postumi nel 1714 (ma contenenti composizioni risalenti anche agli anni intorno al 1680) e appartenenti ai primi esempi significativi del nuovo genere. Enorme fu l'influenza esercitata sui contemporanei, tanto che le scuole violinistiche europee in qualche modo discendono tutte da Corelli.
Domenico Scarlatti nacque a Napoli nel 1685. Sesto figlio di Alessandro, con il quale compì gli studi musicali, nel 1701 fu nominato organista della cappella reale di Napoli, dove esordì nel 1703 come compositore teatrale. Soggiornò per studi a Firenze, Roma, Venezia. Trasferitosi a Roma, fu maestro di cappella della regina Maria Casimira di Polonia e poi maestro di cappella in San Pietro. Nel 1719 si trasferì a Lisbona, dove ebbe l'incarico di maestro di cappella presso la corte del re del Portogallo e si dedicò all'istruzione musicale dei principi, in particolare della principessa Maria Barbara di Braganza. Nel 1733 seguì a Madrid Maria Barbara, divenuta regina di Spagna, al cui servizio rimase per il resto della propria esistenza. Morì a Madrid nel 1757.
Scarlatti fu autore di una quindicina di melodrammi, dei quali solo due, Tetide in Sciro (1712) e Narciso (1720), sono pervenuti nella loro interezza. Pagine di alto valore ha la sua musica religiosa, che lo rivela in possesso delle più sofisticate risorse della tecnica contrappuntistica: notevole, in particolare, è uno Stabat Mater per 8 voci e basso continuo.
La parte più alta della produzione di Scarlatti è però rappresentata dal corpus di 555 sonate per clavicembalo (di cui solo una cinquantina furono pubblicate durante la vita del compositore), che costituiscono una delle espressioni più alte della musica strumentale settecentesca. Il problema della loro cronologia non è ancora stato risolto, anche se molti indizi farebbero supporre che la maggioranza delle sonate fu composta nell'ultimo periodo della sua vita. Direttamente legate alla sua pratica di virtuoso di clavicembalo, le sonate di Scarlatti hanno un'aderenza strettissima alle caratteristiche di questo strumento, il che toglie loro qualsiasi rigidezza o astrattezza di concezione. Il loro schema consueto (un movimento basato su un unico tema e diviso in due parti con ritornello) conosce nella pratica applicazione un numero sbalorditivo di varianti; parimenti ricchissimi sono i riferimenti al mondo musicale contemporaneo, dal concerto al melodramma alla cantata a espressioni popolari. Anche a livello timbrico, la sonorità del clavicembalo è piegata a riprodurre o a suggerire con inesauribile fantasia e con acutissima sensibilità le più svariate sonorità, da quelle dell'orchestra a quelle della chitarra spagnola.
La singolarità dell'esperienza compositiva di Scarlatti, benché già riconosciuta nell'Ottocento da personalità quali M. Clementi, C. Czerny, J. Brahms, fu pienamente apprezzata solo nel XX secolo, con l'avviarsi di una verifica filologica e critica.
Il concerto
Nel Cinquecento, quando l'arte concertistica iniziò ad affacciarsi sulla ribalta musicale europea, con il termine "concerto" si intendeva designare un pezzo musicale caratterizzato dall'unione di voci e strumenti o dalla contrapposizione di diversi raggruppamenti sonori. In tal senso si parlava di "concerto" per indicare la musica suonata assieme da esecutori capaci di far risaltare sia l'unione, sia le individualità degli strumenti. Infatti, le prime testimonianze cinquecentesche del concerto si riferiscono per lo più a pezzi caratterizzati dall'unione di voci e strumenti o dalla contrapposizione di diversi raggruppamenti sonori (basti pensare ai Concerti di G. Gabrieli).
Analogamente a quanto accadde con la suite e la sonata, anche nel caso del concerto il termine rimase ambiguo fin verso la metà del Seicento, quando ancora si potevano formalmente confondere concerto, sinfonia, canzona e sonata, in quanto basate tutte sul principio dello stile concertante (si pensi alle Sacrae Symphoniae di G. Gabrieli).
Tuttavia, dopo la metà del Seicento, e segnatamente dopo il 1680, cominciarono a delinearsi con chiarezza i tratti fondamentali del concerto barocco, a opera di A. Stradella (1639-1682), della scuola bolognese (con G. Torelli) e romana (con A. Corelli), seguiti dalla grande fioritura della scuola veneziana nei primi decenni del Settecento. Accanto al concerto solistico dominò il concerto grosso, in cui al grosso, o ripieno (l'orchestra), si contrapponeva il concertino, inizialmente costituito dall'organico della sonata a 3 (2 violini e basso continuo), poi anche da altri strumenti, come nei concerti grossi di G.F. Händel e di A. Vivaldi o nei Concerti brandeburghesi di J.S. Bach, summa del concerto barocco.
Giuseppe Torelli (Verona 1658 - Bologna 1709) fu attivo come violinista e compositore a Bologna, Vienna e alla corte di Brandeburgo-Ansbach. L'opera compositiva di Torelli raggiunge una maggiore precisione sia della forma, sia dello stile concerto. La forma concerto si afferma infatti nelle sue opere perfezionandosi nello schema in tre movimenti: allegro, adagio, allegro. Torelli si segnala tra gli esponenti più significativi del tardo barocco italiano, con 8 raccolte a stampa di sonate, di concerti grossi e solisti, di suite e di sinfonie; particolarmente significativa è l'ultima raccolta (12 Concerti grossi con una Pastorale per il Santissimo Natale), anche se non va relegata in secondo piano l'op. 8. La sua opera (che annovera anche una cinquantina di lavori manoscritti, per lo più concerti e sinfonie) segna una tappa fondamentale nello sviluppo del concerto grosso e solistico.