Schiller tra teatro e riflessione estetica
In sintesi
Redazione De Agostini
La vita | Studiò presso la Karlsschule di Stoccarda, un'accademia militare provvista di eccellenti insegnanti, dove si laureò in medicina nel 1780. Sulla scorta di letture plutarchiane e shakespeariane e di ideali libertari, scrisse il dramma I masnadieri pubblicandolo a proprie spese. Il sovrintendente al teatro di Mannheim lo mise in scena con immenso successo nel gennaio 1782. Nonostante il successivo secondo dramma risultasse un mezzo fallimento, Schiller assunse l'incarico di drammaturgo stabile del teatro di Mannheim. Nel 1788 si recò a Weimar, dove conobbe Wieland e Herder, e soltanto l'anno dopo Goethe, che era allora in Italia. All'inizio del 1791 si ammalò di polmonite e dovette ridurre al minimo l'attività: un provvidenziale aiuto finanziario gli venne dal principe danese di Augustenburg, al quale Schiller dedicò per riconoscenza il suo capolavoro filosofico, le Lettere sull'educazione estetica dell'uomo. Nel 1796 avviò con il giovane editore Cotta di Tubinga la pubblicazione della rivista "Die Horen", alla quale parteciparono tutti i migliori intelletti della Germania. Proprio in tale occasione Schiller strinse un intenso rapporto di amicizia con Goethe. Lasciata Jena per Weimar, operò fianco a fianco con Goethe nel locale teatro curando traduzioni, adattamenti e messinscene. Ripetuti attacchi di febbri e coliche lo condussero però non ancora quarantaseienne alla morte. |
Il teatro | Gli esordi teatrali di Schiller avvengono sotto il segno dello Sturm und Drang. Il suo primo fortunato dramma, I masnadieri, scritto in una prosa aspra e tumultuosa e sostenuto da una tessitura drammatica di grande efficacia, mette in scena un affresco della società dell'epoca e delle sue ingiustizie. Anche Don Carlos, la prima tragedia in versi di Schiller, e la successiva trilogia di Wallenstein (Il campo di Wallenstein, I Piccolomini e La morte di Wallenstein) si muovono sul terreno della rappresentazione storico-politica, ripercorrendo le profonde connessioni esistenti fra destino e carattere, libertà dell'immaginazione individuale e peso atroce delle circostanze reali. Il conflitto tra moralità e politica, da Schiller giudicato inconciliabile, ricompare nella sua opera teatrale forse più felice, la Maria Stuarda. L'ultima opera teatrale compiuta di Schiller è la tragedia Guglielmo Tell, di grande senso scenico e ammirevole semplicità di dizione poetica, dà voce alla collettività assetata d'indipendenza dallo straniero. |
La lirica | Sotto l'influsso di Wieland, Schiller elaborò uno stile disteso e aggraziato, del quale rivestì la commossa idealizzazione dell'antichità classica ne Gli dei della Grecia e poi gran parte delle composizioni successive, dal poemetto Gli artisti alle poesie filosofiche (La spartizione della terra, La statua velata di Sais, Gli ideali e soprattutto L'ideale e la vita). In queste, inoltre, già compare la visione drammatica del conflitto tra aspirazione morale e vita reale che informa anche gli scritti critici coevi e il teatro dell'età matura. Un posto a sé occupano le ballate, la cui popolarità in Germania continua a essere immensa, benché la critica vada da tempo avanzando riserve sul loro valore poetico. |
Gli scritti estetico-filosofici | La più originale riflessione estetica di Schiller, imperniata sul tentativo di superare la definizione puramente soggettiva del bello data da Kant, si trova in un progettato dialogo Kallias o della bellezza. Nel saggio Grazia e dignità, tenta un'armonizzazione tra imperativo morale e bellezza. Nelle Lettere sull'educazione estetica dell'uomo, Schiller individua nel cosiddetto "istinto del gioco" la via per uscire dalla parcellizzazione e meccanizzazione proprie della società moderna, per arrivare a una conciliazione tra la parte materiale e quella spirituale dell'uomo: tocca all'attività estetica il compito di "educare" il genere umano alla libertà. Lo stesso argomento, ma da un punto di vista più strettamente storico-letterario, è affrontato nel saggio Sulla poesia ingenua e sentimentale, unanimemente considerato il suo capolavoro critico. In esso viene formulata la celebre distinzione tra la poesia naturale e immediata degli antichi greci, appunto "ingenua", e quella dei moderni, riflessiva, idealizzante e perciò in sé; scissa e tormentata. |