La lirica della Magna Grecia
Stesicoro
Sulla vita di Stesicoro possediamo poche e incerte notizie, a partire dal nome. Il suo vero nome sarebbe stato Tisia.. Il nome Stesicoro (che in greco significa “ordinatore di cori”) gli fu dato (secondo quanto attesta il Lessico Suda, enciclopedia bizantina dell'antichità classica) perché sistemò per primo i canti corali in triadi composte da una strofe, un'antistrofe e un epodo. Nacque forse a Metauro, nella Magna Grecia, attorno al 630 a.C., ma visse quasi sempre a Imera, in Sicilia, circondato da grande prestigio e qui si svolse dunque la sua attività di poeta, ma fu anche chiamato nella Grecia continentale, in particolare a Sparta. Morì attorno al 550 a.C. probabilmente a Catania, dove si trova la sua tomba.
Poesia di miti
I filologi alessandrini raccolsero le sue composizioni in 26 volumi, ma di questa vastissima produzione restano solo titoli e scarsi frammenti. Tuttavia alcuni papiri da poco ritrovati hanno proiettato una luce nuova sulle opere di Stesicoro. Il Papiro di Lille, pubblicato nel 1977, contiene cospicui parti di una probabile Tebaide (di cui il frammento meglio conservato riguarda il discorso di Giocasta, madre e moglie di Edipo, ai figli Eteocle e Polinice). Nel Papiro di Ossirinco, del I sec d.C., recenti studi hanno attribuito a Stesicoro brani di un poema dedicato a un'impresa di Eracle, la Geroneide. In generale la produzione di Stesicoro ruota attorno a vicende e personaggi del mito, per lo più ispirati alla saga di Troia (come l'Iliupersis o Distruzione di Troia) o ad amori infelici (come la Calica e il Dafni).
Uno stile “grave e sublime”
Stesicoro utilizza il dialetto dorico nella sua espressione più aulica e letteraria e fonde lo stile formulare proprio dei poemi omerici con il linguaggio intimistico tipico dell'esecuzione monodica. I poeti successivi, soprattutto i tragici, ammirarono il periodare ampio, la narrazione solenne e gli sperimentalismi verbali stesicorei e ne trassero ispirazione. Stesicoro viene infatti ricordato per la sua megaloprépeia, ossia per la “gravità e sublimità dello stile” (espressione coniata da Dionigi di Alicarnasso) e per il forte peso della tradizione omerica all'interno della sua opera (come suggerisce l'anonimo del Sublime).