Il tribunale della ragione: Voltaire
- Introduzione
- Voltaire: una nuova figura di intellettuale
- Le opere letterarie
- Riepilogando
Le opere letterarie
Anche in campo letterario la presenza innovativa di Voltaire ebbe modo di manifestarsi nei generi più diversi, dalla poesia al teatro e alla narrativa.
Il teatro e la poesia
Il gusto classico di Voltaire si esprime innanzitutto nella scelta dei generi cari alla tradizione, la tragedia e il poema. Fra le tragedie si ricordano: Oedipe (Edipo, 1718); Zaïre (Zaire, 1732); Mahomet (Maometto, 1742); Mérope (Merope, 1743); Irène (Irene, 1778). Voltaire è ammiratore di Shakespeare, ma le sue tragedie si attengono alle rigide norme del teatro classico francese: rispetto delle regole, purezza dello stile, eleganza e regolarità della costruzione. Ne risultano drammi un po' freddi, popolati da personaggi deboli, privi di potenza drammatica. Inoltre, per destare timore e pietà nello spettatore, Voltaire ricorre al patetico o addirittura al melodrammatico.
Tra le opere in versi si ricordano i poemi: La Ligue (La Lega, 1723); La Henriade (La Enriade, 1728), che esalta la tolleranza religiosa di Enrico IV; La Pucelle (La Pulzella, 1755), dissacrante parodia del mito nazionale di Giovanna d'Arco; La loi naturelle (La legge naturale, 1756), in cui espone la morale deista; Poème sur le désastre de Lisbonne (Poema sul disastro di Lisbona, 1756), ispirato dal catastrofico terremoto di Lisbona (1755), per confutare l'ottimismo filosofico; l'Épître à Horace (Epistola a Orazio, 1772). L'espressione poetica non si addice al temperamento focoso e polemico di Voltaire, che resta fedele a una concezione della poesia come mezzo per comunicare, confutare o educare. Meglio riusciti sono alcuni componimenti brevi di intento satirico, in stile rapido e mordace.
I racconti filosofici
Voltaire esplorò un nuovo genere, il racconto filosofico. Al primo, Zadig (1747), seguirono numerosi racconti, tra cui si ricordano: Micromégas (Micromega, 1752); Candide, ou l'optimisme (Candido, o l'ottimismo, 1759); L'ingenu (L'ingenuo, 1767); L'homme aux quarante écus (L'uomo dai quaranta scudi, 1768). Voltaire non nutriva simpatia per i romanzi, inadatti a esprimere il suo atteggiamento impegnato e battagliero. Il racconto invece era uno strumento agile e perfettamente adeguato ai suoi intenti, un veicolo per dimostrare una tesi e comunicarla in modo trasparente ed efficace. Gli espedienti, una palese artificiosità nella costruzione narrativa, le ripetizioni sono limiti riscattati dal brio, dalla verve polemica, dalla mirabile chiarezza intellettuale. Dal sorriso appena accennato al ghigno sarcastico, Voltaire sfrutta abilmente tutti i registri dell'ironia. Ne risulta una prosa agile e incisiva, talvolta acre, felice esito del razionalismo illuminista. Contro ogni ingenuo ottimismo, la vita dell'uomo appare a Voltaire una sequenza incoerente e dolorosa di tragiche casualità. Rifiutando illusioni consolatorie, lo scrittore afferma una concezione pessimista e scettica, che si risolve tuttavia nell'appello all'azione, nell'invito a ricercare una saggezza a misura d'uomo, a operare nel proprio piccolo per migliorare il mondo. Alla natura ostile egli contrappone instancabilmente la forza della ragione.
La fortuna
L'enorme successo letterario di cui Voltaire ha goduto nel Settecento non si è ripetuto nei secoli successivi. I romantici gli rimproverarono il "riso" e il razionalismo ristretto. C. Baudelaire lo attaccò come antipoeta per eccellenza. Anche la critica contemporanea, soprattutto impegnata, non gli ha perdonato di essere il rappresentante di quella borghesia che si è approfittata della rivoluzione e ha insistito sulla sua superficiale ironia. B. Russell ha però ammesso che Voltaire gli ha insegnato a evitare il dogmatismo. Detto ciò, è innegabile che Voltaire è, comunque, scrittore e filosofo che continua a ricoprire un posto eminente nel panorama della letteratura non solo francese e a cui si riconosce la forza del suo appello all'azione contro ogni arbitrio e ogni restrizione della libertà.