L'eloquenza religiosa e Bossuet
- Introduzione
- L'oratoria religiosa
- Jacques-Bénigne Bossuet
- Riepilogando
Jacques-Bénigne Bossuet
Jacques-Bénigne Bossuet (1627-1704) fu uno dei più grandi oratori religiosi del Seicento.
La formazione e la carriera ecclesiastica
Allievo del collegio dei gesuiti di Digione, sua città natale, completò gli studi di filosofia e teologia a Parigi, acquistando una profonda conoscenza della Bibbia e delle opere dei Padri della Chiesa. Ordinato sacerdote nel 1651, fu canonico di Metz fino al 1659, anno in cui Vincenzo de' Paoli lo chiamò a Parigi, dove ebbe inizio una carriera di brillante predicatore. La sua fama attirò l'attenzione del re e Bossuet cominciò a predicare davanti alla corte. Gli anni dal 1660 al 1670 rappresentano l'apogeo della sua arte oratoria: pronunciò i suoi sermoni più famosi e alcune orazioni funebri. Nominato precettore del Delfino (1670), rinunciò alla predicazione per dieci anni e si dedicò interamente al compito di educare l'erede al trono. Per il Delfino compose numerose opere, tra cui spicca il Discours sur l'histoire universelle (Discorso sulla storia universale, 1681) in cui presenta il cammino della storia come realizzazione di un disegno superiore. Nel 1681 ottenne il vescovado di Meaux. In quegli anni Bossuet fu senza dubbio la figura di maggior rilievo dell'episcopato francese: fu lui a redigere i Quattro articoli della dichiarazione del 1682, in cui, evitando abilmente qualsiasi frattura con il papato, sostenne il gallicanesimo, ovvero l'indipendenza del re di fronte al pontefice.
La difesa dell'ortodossia
Preoccupato dai pericoli che minacciavano la fede e la Chiesa, Bossuet dispiegò un'attività instancabile contro i nemici della religione, innanzitutto protestanti, ma anche giansenisti, liberi pensatori, cartesiani e quietisti. Approvò la revoca dell'editto di Nantes, che aveva concesso libertà di culto ai protestanti (1685). Attaccò duramente Fénelon e il quietismo nella Relation sur le quietisme (Relazione sul quietismo, 1698). Biasimò il cartesianesimo, giudicandolo una "falsa critica", l'inquietante tentazione del suo tempo. Neppure la letteratura si salvò da una dura condanna: le sue Maximes et réflexions sur la comédie (Massime e riflessioni sulla commedia, 1694) sono un'implacabile requisitoria contro il teatro, giudicato inutile e dannoso.
I "Sermoni"
Eppure, paradossalmente, lo stesso Bossuet può essere definito uomo di teatro. Già nei primi sermoni, ancora carichi di nozioni astratte e definizioni teologiche, si manifesta una sensibilità accesa, una potenza di immagini, un gusto per il particolare vivido e colorato. La sua eloquenza barocca, ispirata ai grandi modelli di sant'Agostino e Tertulliano, seppe profittare dell'esempio di san Vincenzo de' Paoli, da cui apprese l'efficacia della semplicità, priva di pesantezze teoriche. Infine il gusto raffinato del pubblico di corte lo aiutò a trovare un giusto equilibrio tra l'immagine concreta e l'eleganza della forma. I sermoni più grandi, Sur l'honneur du monde (Sull'onore del mondo, 1660), Sur la Passion (Sulla Passione, 1660), Sur la parole de Dieu (Sulla parola di Dio, 1661), Sur l'ambition (Sull'ambizione, 1662), Sur la mort (Sulla morte, 1662), Sur les devoirs des rois (Sui doveri dei re, 1662), rivelano un profondo dominio dei mezzi espressivi. Poeta e visionario, colpisce l'immaginazione e muove la sensibilità degli ascoltatori mediante la potenza di spettacoli grandiosi e terribili, in un simbolismo ricchissimo di evidente derivazione biblica.
Lo spettacolo della morte
La sua prosa raggiunse gli esiti più alti nelle dodici Oraisons funèbres (Orazioni funebri), in particolare in quelle per Enrichetta di Francia (1669), Enrichetta d'Inghilterra (1670), Maria Teresa (1683), la principessa palatina (1685), il principe di Condé (1687). Al centro della Chiesa, di fronte ai grandi di Francia, Bossuet evocava la morte, che scuote i troni e abbatte i potenti, suscitando una profonda emozione collettiva, che gli permetteva di affrontare i problemi religiosi dell'epoca e condurre i fedeli a meditare sul tempo umano e sull'eternità, costruendo con la potenza della parola la gloria di Dio. Apprezzato da Chateaubriand, esaltato da P. Claudel, giudicato severamente da Leopardi, che individuò i limiti della sua prosa, Bossuet si impone tuttavia per la sua profonda coerenza.