Michel de Montaigne
- Introduzione
- La vita
- Le opere
- I "Saggi"
- Approfondimenti
- Riepilogando
I "Saggi"
Per conoscersi ed essere conosciuto Montaigne creò una forma nuova, un monologo con se stesso, condotto dapprima attraverso il filtro degli amati autori antichi, con abbondanza di citazioni, quindi nella più assoluta libertà. La parola essai deriva dal verbo essayer, che significa "provare, saggiare, sperimentare, gustare" e anche "rischiare". Ne deriva un genere letterario del tutto nuovo, una forma aperta e frammentaria, la cui scrittura è una sorta di vagabondaggio che rifiuta deliberatamente ogni pretesa sistematica. Montaigne continuò ad aggiungere e a commentare se stesso, come si può cogliere nelle innumerevoli note in margine all'esemplare dell'edizione di Bordeaux.
Tale struttura frammentaria non fu solo una scelta estetica, rispondeva anche a un'esigenza antidogmatica: "Non descrivo l'essere. Descrivo il passaggio". Montaigne non è e non volle essere un filosofo. Ogni tentativo di leggere i Saggi in chiave stoica o scettica o mistica finisce per compiere qualche forzatura.
I temi
L'oggetto dei Saggi è la conoscenza dell'uomo. Per indagare quest'oggetto vario e sfuggente, Montaigne scelse di osservare e descrivere un uomo qualunque, se stesso. Egli non si propose di insegnare o ammonire, bensì di conoscere l'uomo, di pervenire a una descrizione quanto più possibile empirica e precisa dei costumi e del comportamento. Non prese le mosse da una valutazione universale dell'uomo, ma da una concezione realistica, basata sull'esperienza soggettiva. Egli non si propose neppure di descrivere un'esistenza eroica, straordinaria, esemplare.
Nel celebre capitolo sull'educazione dei fanciulli, Montaigne si pronunciò contro il principio di autorità: "Lo si metta davanti a questa varietà di giudizi: se può, sceglierà, altrimenti rimarrà in dubbio. Soltanto i pazzi sono sicuri e risoluti". Per Montaigne l'umanesimo ebbe dunque valore di strumento critico, necessario per elaborare conclusioni nuove, mai assolute.
Le certezze fiduciose dei primi umanisti erano scomparse, lasciando spazio a uno scetticismo inquieto, alla consapevolezza della complessità dell'uomo e del mondo. Lo scetticismo di Montaigne è un segno dei tempi. In pochi anni violenti mutamenti avevano rimesso in discussione la compattezza dell'universo medievale. Alla profonda inquietudine, all'ossessione dell'incostanza, al bisogno di norme e certezze, Montaigne rispose in modo paradossale, scegliendo il dubbio, ammettendo la tolleranza, suggerendo che l'unica verità dell'uomo è il suo essere instabile e relativo.
D'altra parte, lo scetticismo fu un modo di prendere distanza dalla violenza fanatica delle guerre di religione: mostrando l'uomo nella sua debolezza, diffidando delle pretese della ragione di conquistare la verità, Montaigne separò nettamente la fede dalla ragione. Ma la grazia, che sola può condurre a Dio, non scende mai sulle pagine di Montaigne e Dio rimane lontano, oggetto di una reverenza alquanto formale. L'uomo è una creatura determinata dalla sua condizione naturale, dalle esigenze del corpo, dalla paura della morte, dal bisogno di cercare la felicità; tutto quello che egli possiede veramente è la vita terrena, seppur fragile e tormentata ma amata.
Lo stile e la fortuna
La prosa di Montaigne esercita sul lettore un grande fascino. Il tono medio, il ritmo tranquillo eppure vivace, il linguaggio semplice e serrato, concreto e ardito, ondeggiante e nervoso, creano l'impressione di un'interminabile conversazione. L'apparente disordine del discorso nasconde la profonda influenza della retorica latina e le innumerevoli digressioni non fanno che suggerire in anticipo, come in una partitura musicale, i temi successivi. L'influenza di Montaigne sulla letteratura, non soltanto francese, è stata enorme. Al filone creato dai Saggi si ispirarono direttamente i moralisti, da La Rochefoucauld a La Fontaine, da Madame de Sévigné a La Bruyère, da Saint-Évremond a Rousseau.