Thomas Hobbes
L'inglese Thomas Hobbes (Malmesbury 1588 - Hardwick 1679), in seguito allo scontro fra la corona e il parlamento all'origine della prima rivoluzione inglese, decide di trasferirsi a Parigi, dove lavora alla costruzione di un vasto sistema filosofico, articolato in tre parti: De cive (Il cittadino, 1642), De corpore (Il corpo, 1655), De homine (L'uomo, 1658). Al partito parlamentare e antimonarchico della rivoluzione inglese Hobbes oppone nel Leviatano (1651) la più coerente e radicale teoria della sovranità assoluta.
Materialismo e convenzionalismo
Hobbes definisce con precisione l'ambito della "filosofia prima", che è il corpo materiale ed esteso, facendo tabula rasa del mondo qualitativo dell'esperienza comune, con tutti i suoi vizi di soggettività e illusorietà. Vuole così spezzare il rapporto da copia a originale che nella tradizione unisce l'idea all'oggetto e fa dell'idea l'effetto finale di una serie di azioni meccaniche, prodotte da corpi in movimento. Mentre toglie così realtà al mondo della rappresentazione, spoglia contemporaneamente il mondo reale di ogni connotato qualitativo e finalistico per ricondurlo alle nude qualità primarie, geometriche e cinetiche, di cui Galilei già aveva mostrato l'efficacia. Se i concetti sono sempre individuali e singoli e consistono in immagini della mente, l'universale non è altro che nome, frutto di un'imposizione arbitraria a livello fonetico e semantico, poiché non esistono nelle cose specie o essenze universali che gli corrispondano. La scienza viene allora ricondotta a uno scheletro di nomenclatura, con la sua base nelle definizioni "prime" da cui discendono deduttivamente tutte le altre "verità".
Il "corpo artificiale" e la politica
Se il principio generale della filosofia di Hobbes richiede che ogni conoscenza vera si eserciti mediante l'individuazione del processo causale e dei suoi effetti, la politica è oggetto di "scienza" in quanto consiste nella costruzione, quasi geometrica, di quel "corpo artificiale" che è lo Stato, a partire dalle "cause" reperibili nelle proprietà di un particolare tipo di corpo, l'uomo. Ne consegue che la politica, ma anche la morale, ha un imprescindibile fondamento nello studio dell'antropologia e della psicologia. A partire da una rappresentazione realistica del soggetto umano, tutto teso all'autoconservazione e a incrementare i mezzi che la favoriscono (in definitiva, il "potere"), Hobbes formula l'ipotesi logica dello stato di natura, inteso come quella condizione di uguaglianza originaria e di illimitato diritto di tutti a tutto la cui inevitabile conseguenza è il bellum omnium contra omnes (la guerra di tutti contro tutti), in cui ciascuno finisce per essere il nemico dell'altro (homo homini lupus: l'uomo è lupo per l'uomo). È vero che la "legge naturale" consiglia di cercare la pace, finché è possibile, di rendersi utili agli altri, di rispettare l'uguaglianza, di essere moderati, ma nello stato di natura non vi è alcuna autorità che abbia il potere di costringere a rispettarla. Occorre pertanto che gli uomini si sottomettano a un potere in grado di obbligarli a rispettare le norme: ciò avviene mediante un patto, con il quale i contraenti rinunciano al diritto illimitato originario, in favore di un altro uomo, o di un gruppo di uomini, i quali assumono in questo modo il potere sovrano. Si assiste così alla nascita, del tutto "artificiale", dello Stato, il grande Leviatano, o mostro biblico. Soltanto una sovranità assoluta può porre fine al conflitto tipico dello stato di natura o impedire che il corpo politico si disgreghi sotto la spinta delle tendenze anarchiche sempre latenti.