Gli organi del fallimento
Data la complessità del procedimento, la legge ne ha affidato lo svolgimento a una pluralità di organi, in modo che ciascuno di essi, secondo le sue specifiche competenze, possa seguirne lo sviluppo e attuarne le finalità. Questi organi sono: il tribunale fallimentare, il giudice delegato (dal tribunale) alla procedura fallimentare, il curatore fallimentare, il comitato dei creditori.
Le competenza degli organi preposti alla procedura fallimentare sono state profondamente modificate dalla riforma del 2006. Rispetto alla visione originaria, incentrata sull'intervento dell'autorità giudiziaria, si è imposta la volontà di valorizzare i singoli operatori economici.
In particolare, il giudice delegato ha perso i poteri di direzione e gestione della procedura: l'asse gestionale si è così spostato verso il curatore affiancato dal comitato dei creditori.
Il giudice delegato esercita finzioni di vigilanza e controllo sulla regolarità della procedura.
Il curatore ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell’ambito delle funzioni ad esso attribuite. È nominato con la sentenza di fallimento.
Possono essere chiamati a svolgere le funzioni di curatore: a) avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti; b) studi professionali associati o società tra professionisti; c) coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società per azioni, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali e purché non sia intervenuta nei loro confronti dichiarazione di fallimento. Nell'esercizio delle sue funzioni, il curatore è pubblico ufficiale.
Il comitato dei creditori è l'organo cui la riforma ha apportato le maggiori innovazioni. È nominato dal giudice delegato ed è composto di tre o cinque membri, scelti tra i creditori in modo da rappresentare in misura equilibrata quantità e qualità dei crediti ed avuto riguardo alla possibilità di soddisfacimento dei crediti stessi.
Le deliberazioni del comitato sono prese a maggioranza dei votanti. Il comitato dei creditori vigila sull’operato del curatore, ne autorizza gli atti ed esprime pareri nei casi previsti dalla legge, ovvero su richiesta del tribunale o del giudice delegato. Il comitato e ogni componente possono ispezionare in qualunque tempo le scritture contabili e i documenti della procedura e hanno diritto di chiedere notizie e chiarimenti al curatore e al fallito. Oltre all’eventuale compenso. i componenti del comitato hanno diritto al rimborso delle spese.
La dichiarazione di fallimento
Il fallimento è dichiarato su ricorso del debitore, di uno o più creditori, su richiesta del pubblico ministero oppure d'ufficio. Il pubblico ministero presenta la richiesta 1) quando l'insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell'imprenditore, dalla chiusura dei locali dell'impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell'attivo da parte dell'imprenditore; 2) quando l’insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile. Il tribunale: 1) nomina il giudice delegato; 2) nomina il curatore; 3) ordina al fallito il deposito dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché dell’elenco dei creditori; 4) stabilisce luogo, giorno e ora dell’adunanza in cui si procederà all’esame dello stato passivo; 5) assegna ai creditori e ai terzi che vantano diritti reali o personali su cose in possesso del fallito il termine perentorio di trenta giorni prima dell’adunanza per la presentazione in cancelleria delle domande di insinuazione.
Gli effetti del fallimento
L'effetto fondamentale della sentenza dichiarativa di fallimento è l'apertura del concorso dei creditori sul patrimonio del fallito. La sentenza che dichiara il fallimento priva il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento. Tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori. Nella massa attiva sono compresi anche i beni che pervengono al fallito durante il fallimento, dedotte le passività incontrate per l'acquisto e la conservazione dei beni medesimi. Lo spossessamento, tuttavia, non si estende a tutti i beni del fallito. In particolare, non sono compresi nel fallimento: 1) i beni ed i diritti di natura strettamente personale; 2) gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia; 3) i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, 4) le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge.
Ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione, nonché ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare deve essere coinvolto nel procedimento di accertamento del passivo, che ha lo scopo di verificare quanti creditori esistono e quanti tra loro vantino titoli preferenziali.
Conformemente allo spirito generale della riforma, la dichiarazione di fallimento non comporta per il fallito gravi limitazioni della libertà, salvo quanto strettamente legato alla procedura. L'imprenditore è tenuto a consegnare al curatore la propria corrispondenza, inclusa quella elettronica, relativa ai rapporti compresi nel fallimento. L'obbligo di residenza viene abolito e sostituito da quello di comunicare eventuali variazioni di residenza al curatore. Nella stessa prospettiva, che vede nel fallito non un reietto, ma un soggetto cui si offre una seconda opportunità, è stato abolito il pubblico registro dei falliti ed è stata introdotta la nozione di esdebitazione (vedi oltre).